una parte della materia oscura potrebbe essere costituita da miliardi e miliardi di questi piccoli, delicati buchi bianchi, che ribaltano il tempo dei buchi neri, ma non troppo, e fluttuano lievi nell’ universo, come libellule….
come gelsomini che la notte si aprono per ammirare la luna e al mattino raggiungono la terra, aspettando che un soffio di vento li porti via.
Un grande albero osserva me mentre io osservo il dispiegarsi della storia. Ne ascolto il battito, il respiro, immaginando di leggere tra le pieghe del paesaggio, osservando ogni pietra, ogni elemento da cui evaporano parole e immagini. Una colata di asfalto raggiunge antichi basolati in pietra. Corde tese scorrono attraverso carrucole, in un andare e venire di bucato che profuma di pulito e di futuro: vestiti stesi al sole, rigeneratore di vita, raccontano di bambini che popoleranno la piazza nel pomeriggio, quando saranno liberi dai loro impegni scolastici. Non è grande questo scrigno circondato di storia che si perde nei secoli. In queste ore del mattino, il palazzo Asmundo, che da’ il nome alla piazza ed è uno splendido esempio del barocco catanese, resta all’ombra come una vecchia signora che ha paura di esporsi alla luce del sole: guarda con orgoglio la via Crociferi che le sta di fronte ( tra vecchie e nobili signore ci si intende) e si fa espressione di quella rinascita cittadina avvenuta dopo il terribile terremoto del 1693. Da un lontanissimo passato sento lo scalpitio rumoroso e cadenzato dei cavalli del conte Ruggero, al cui seguito la famiglia Asmundo aveva raggiunto la Sicilia. Originari di Pisa, ricoprirono importanti ruoli nella storia politica e culturale dell’isola. 1434: Adamo Asmundo, insieme a Battista Platamone, membro di un’altra famiglia prestigiosa nel ‘400, fondava l’Università degli studi di Catania, una delle più antiche d’Italia e del mondo.
Cosa nasconde l’ albero che continua a guardarmi, che continua a stuzzicare la mia curiosità? Un edificio, grande, maestoso e severo alle sue spalle odora di rigore e sapienza: un antico monastero dei gesuiti ormai dismesso, dimenticato. Le imponenti finestre si affacciano su via della Mecca e consegnano all’ albero le voci sapienti dei monaci che nel ‘700 popolavano il convento. Via della Mecca. No, non è un riferimento ad antiche religioni orientali, ma al grande sogno di un uomo che agli inizi del ‘900, aveva pensato a una casa cinematografica, l’ Etna Film, che nell’ idea di don Alfredo Alonzo doveva essere guardata come un miraggio, come un grande esempio per tutto il mondo.
Tra i rami del grande albero maturano storie e leggende e come frutti ormai troppo maturi, aspettano che qualcuno le raccolga e ne apprezzi il sapore.
Una creatura che viveva tra i monti e il mare, si fermò una volta ad ascoltare un tale che diceva di chiamarsi Telestoria. Un tipo davvero particolare: andava in giro a chiedersi il perché e il per come di ogni cosa, scoprendo, qua e là nel mondo, ciò per cui valeva la pena soffermarsi e pensare.
-La vista è più importante tra tutti i sensi- diceva, e per questo aveva il vezzo di spiegare tutto per immagini.
La creatura ascoltava e, più rifletteva su quello che diceva Telestoria, più arricciava il naso. Pensava a quando chiudeva gli occhi davanti al mare in tempesta per meglio sentirne il rumore e assaporarne l’odore salmastro; a come, ascoltando il vento intonare le sue melodie e le sue marcie trionfali, si sentisse leggera e immaginava di volare. E poi, come le batteva forte il cuore quando le sue mani accarezzavano morbide lenzuola, soffici cuscini, tenere guance di bambini!
Telestoria si commosse e, distogliendo l’attenzione dai suoi studi e dai suoi ragionamenti, si rivolse alla creatura, rassicurandola.
-La vista abbraccia tutti i sensi e rende tutti importanti. Vedi una rosa, distingui il suo profumo, accarezzi i petali profumati, ascolti il fruscio delle foglie attraversate dal vento. Tutto ha un solo nome: meraviglia.-
PASSEGGERE. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatto io, o quella del principe, o di chi altro?O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
VENDITORE. Lo credo codesto.
PASSEGGERE. Nè anche voi tornereste indietro con questo fatto, non potendo in altro modo?
VENDITORE. Signor no davvero, non tornerei.
PASSEGGERE.Oh che vita vorreste voi dunque?
VENDITORE. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
PASSEGGERE. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
VENDITORE. Appunto.
Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere.
Buon anno a tutti, che ci si possa sempre stupire davanti al sole che sorge al mattino senza scendere a patti con il cielo, le nuvole e il vento, per regalarci un giorno nuovo, e poi un altro, e poi un altro ancora. Che la meraviglia ci colga, sempre e ” a caso”.
Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Segno ne è l’amore per le sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendente dalla loro utilità, e, più di tutte amano la sensazione della vista. In effetti, non solo ai fini dell’azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose.
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Che, poi, essa (la sapienza) non tenda a realizzare qualcosa, risulta chiaramente anche dalle affermazioni di coloro che per primi hanno coltivato filosofia. Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori; per esempio riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’ intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia.
Aristotele, LA METAFISICA, Capitolo Primo
E il mio Natale in blu è stato un’esplosione di meraviglia.
Ci sono stelle la cui esistenza è segnata da ritmi che non dipendono più dalla loro capacità di pulsare. A un certo punto della loro vita sono “costrette” a pulsare perché spinte dall’ esterno da una forza che le fa ancora brillare. Così, con il passare del tempo, aumentano e diminuiscono la loro lucentezza in un’ altalena di luminosità che dipende da quella spinta che a volte tarda ad arrivare. Le Cefeidi, stelle ormai vecchie, in questa fase della loro vita, attendono di brillare o di spegnersi per sempre. Un poco come quelle persone che hanno lottato da sempre per avere uno spazio, una voce, un pensiero; che al mattino si svegliano per capire cosa fare, cosa dire; che la sera si abbandonano a pensieri che, lo sanno, voleranno lontano e nessun peso avranno in questo mondo strano. Un mondo che non ha occhi ne’ tempo per la meraviglia di un tramonto o di un arcobaleno che valgono più di parole sconnesse che ti portano via dallo stupore del cuore e da un tempo che non è somma di attimi ma un fluire di vite che all’ infinito si spingono perché nessuna Cefeide possa mai svanire.