
Avevano ragione gli antichi filosofi, pensatori di un mondo fatto di contrari che si scontrano e si sviluppano in un eterno ritorno di rinnovata bellezza.
18 sabato Dic 2021
Avevano ragione gli antichi filosofi, pensatori di un mondo fatto di contrari che si scontrano e si sviluppano in un eterno ritorno di rinnovata bellezza.
29 venerdì Ott 2021
Una creatura che viveva tra i monti e il mare, si fermò una volta ad ascoltare un tale che diceva di chiamarsi Telestoria. Un tipo davvero particolare: andava in giro a chiedersi il perché e il per come di ogni cosa, scoprendo, qua e là nel mondo, ciò per cui valeva la pena soffermarsi e pensare.
-La vista è più importante tra tutti i sensi- diceva, e per questo aveva il vezzo di spiegare tutto per immagini.
La creatura ascoltava e, più rifletteva su quello che diceva Telestoria, più arricciava il naso. Pensava a quando chiudeva gli occhi davanti al mare in tempesta per meglio sentirne il rumore e assaporarne l’odore salmastro; a come, ascoltando il vento intonare le sue melodie e le sue marcie trionfali, si sentisse leggera e immaginava di volare. E poi, come le batteva forte il cuore quando le sue mani accarezzavano morbide lenzuola, soffici cuscini, tenere guance di bambini!
Telestoria si commosse e, distogliendo l’attenzione dai suoi studi e dai suoi ragionamenti, si rivolse alla creatura, rassicurandola.
-La vista abbraccia tutti i sensi e rende tutti importanti. Vedi una rosa, distingui il suo profumo, accarezzi i petali profumati, ascolti il fruscio delle foglie attraversate dal vento. Tutto ha un solo nome: meraviglia.-
01 giovedì Lug 2021
“Per vedere ogni ben dentro vi gode
l’anima santa che ‘l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode:
lo corpo ond’ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace.”
Dante, La Divina Commedia, Paradiso, X 124-129
Mediterraneo. Se si dovessero contare gli uomini che nei secoli l’hanno attraversato; le civiltà che si sono succedute nella conquista di sbocchi importanti su questo mare; se si dovessero contare le battaglie, le scorrerie piratesche e le navigazioni a scopo commerciale, bisognerebbe esprimersi attraverso una serie di numeri infiniti. Nella foto e nei versi di Dante il Mediterraneo, il mare non c’è. Eppure, la Basilica citata da Dante custodisce una storia che ha attraversato il Mediterraneo per approdare a Pavia. La storia riguarda un grande filosofo nato a Tagaste, in Algeria, nel 354 d.C. ed eletto vescovo di Ippona, sempre in Algeria, dopo essere stato battezzato da Ambrogio, vescovo di Milano. Sant’ Agostino, attraversò più volte il Mediterraneo. Insegnò retorica prima a Roma e poi a Milano dove seguì le prediche del vescovo Ambrogio che lo battezzò e lo ordinò sacerdote. Tornato a Roma, raggiunse Ostia per imbarcarsi, attraversare il Mediterraneo e raggiungere la sua terra. Divenuto vescovo di Ippona continuò la sua attività letteraria volta a combattere l’eresia manichea, oltre che allo studio del rapporto tra ragione e fede che il filosofo non vide mai in contrasto, ma anzi in perfetta armonia. Il suo capolavoro, le Confessioni, vedono la luce nel 400 e in quest’opera autobiografica, Agostino loda il Signore per averlo condotto verso la luce della Verità. Il vescovo di Ippona morì il 28 agosto del 430, mentre i Vandali di Genserico assediavano la città algerina. Per mettere in salvo le reliquie dall’assalto dei barbari, il corpo di Sant’Agostino fu trasportato fino a Cagliari, in Sardegna. Il Mediterraneo avrebbe ancora visto le spoglie del filosofo viaggiare sulle sue acque. Circa tre secoli più tardi, il pio re longobardo Liutprando prese a cuore le sorti delle sante reliquie e nel 722 offrì un’ingente somma di denaro per riscattare il corpo del Santo Padre Agostino che ancora una volta attraversa il mare da Cagliari a Genova. Liutprando, con il suo esercito, raggiunse le sacre reliquie a Savignone e, percorrendo la via del sale, le trasportò fino a Pavia, capitale del suo regno. Il Corpo di Sant’Agostino fu deposto nella Basilica di San Pietro in Ciel d’oro, dove già riposavano i resti di un altro grande filosofo, Severino Boezio. Pavia continuò ad onorare il santo filosofo e nel XIV secolo si pensò di costruire, all’interno della Basilica, una magnifica Arca a Sant’ Agostino. Il pericolo non erano più i barbari, ma l’umidità: l’Arca avrebbe degnamente custodito le spoglie del Santo racchiudendole e proteggendole sontuosamente. La nuova “casa” del filosofo fu costruita in marmo di Carrara e su ogni lato furono scolpite scene della vita del Santo.
“-Il mare siamo noi…siamo noi…- e intanto il vento accompagnava la leggerezza di quel volo simile a quello dei petali di un bouganville che maestoso ornava case bianche e luminosi terrazzi.
La voce incalzava, voleva sapere.
-Dove andate? Che gioco è questo?-
-Ci aspetta…Ci aspetta la casetta dagli occhi di cielo!-
Quando arrivava la sera, la casa accoglieva le dodici lettere e le combinava in varia maniera perché formassero parole che descrivessero la vita, la gioia, il dolore. Così cominciava
Mare-mito-morte
Entrare-etere-errato
Denaro- dare- dire- dote
Idea-iter-ira
Terra- tradire- temere-tenero
Era-Ermete
Remo-ramo-rete
…..”
Paolina Campo, ‘Nto Scurari
20 martedì Apr 2021
Quante conchiglie possiamo contare sulla battigia di una spiaggia assolata? Cento, mille, un milione, infinite. Per contarle non bastano certo le dita delle mani, primo strumento di misurazione discreta per cui ad ogni numero è possibile associare una realtà specifica. Se poi volessimo essere così cervellotici da chiederci quanti granelli di sabbia abitano il nostro lembo di riva, ci imbatteremmo nel dilemma più grande che ha interessato le più eccelse menti matematiche di tutti i tempi.
Ci sono alcuni, o Gerone, che ritengono i granelli di sabbia essere una moltitudine infinita…
Archimede, L’ARENARIO
Per i matematici antichi l’infinito era un concetto difficile da spiegare, anzi era un concetto che descriveva qualcosa di incompleto, addirittura associato al male. Archimede ( Siracusa, 287 a. C.-Siracusa 212 a. C. ), grande matematico dell’antichità, pensò che l’infinitamente grande, opposto all’infinitamente piccolo, potesse essere contato usando, come unità di misura, la MIRIADE. Nell’ Arenario, trattato che Archimede dedicò a Gerone, tiranno di Siracusa, il pensatore siracusano, valutando la grandezza di un granello di sabbia, immaginò che 10.000 granelli di sabbia potessero essere contenuti in una sfera della grandezza di un seme di papavero. Partendo da questo seme e proseguendo nel considerare volumi e sfere sempre più grandi, arrivò a considerare la sfera del cosmo (cioè la sfera avente per raggio la distanza Terra-Sole, secondo i calcoli di allora) e la sfera delle stelle fisse. Dopo aver fatto tutti i calcoli, Archimede provò che il numero dei granelli di sabbia contenuti nel cosmo erano una miriade di miriade della miriade-miriadesima riga della miriade-miriadesima colonna di una gigantesca tabella. Archimede si cimentava, per la prima volta nella storia della matematica, nel calcolo di misure infinitamente grandi.
Ma quanto è grande l’infinito? Sicuro grande più del mare. E’ l’immensità dove annega il pensiero; è la porta attraverso cui passano tutte le intelligenze possibili; è lo spazio dove si liberano i sogni; è il mondo, la casa di ogni mente che guarda sempre oltre una siepe.
27 venerdì Nov 2020
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Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare mi fecero arrivare, poscia chele dee mi portarono sulla via molto celebrata che per ogni regione guida l’uomo che sa. ………………… L’asse nei mozzi mandava un suono sibilante, tutto in fuoco ( perché premuto da due rotanti cerchi da una parte e dall’altra) allorché si slanciarono le fanciulle figlie del Sole, lasciate le case della Notte, a spingere il carro verso la luce, levatisi dal capo i veli. ……… La dea mi accolse benevolmente con la mano la mano destra mi prese e mi rivolse le seguenti parole: -O giovane che insieme a immortali guidatrici giungi alla nostra casa con le cavalle che ti portano, salute a te! Non è un potere maligno quello che ti ha condotto per questa via ( perché in verità è fuori del cammino degli uomini), ma un divino comando e la giustizia. Bisogna che tu impari a conoscere ogni cosa, sia l’animo inconcusso della ben rotonda Verità sia le opinioni dei mortali, nelle quali non risiede legittima credibilità. Ma tuttavia anche questo apprenderai, come le apparenze bisogna giudicasse che fossero chi in tutti i sensi tutto indaghi.- Sulla natura, vv. 1-32, in I Presocratici, vol.I, pp.269-70Parmenide, filosofo presocratico nato ad Elea, sulle coste dell’attuale Campania, immagina di fare un viaggio verso la luce, verso la verità. Le figlie del Sole lo portano al cospetto di Dike, la dea della giustizia, che gli rivelerà quale sia la vera conoscenza che, per il filosofo eleatico, è quella razionale, quella che si identifica con la “ben rotonda verità”, come la sfera, uguale in tutte le parti e per questo omogenea. La conoscenza rivelata dalla dea è diversa da quella seguita dai mortali, basata sull’ opinione, sulla doxa, sempre mutabile e per questo destinata a fallire. Dike, per i greci, indicava la giustizia, la misura invisibile che regola tutte le cose, qualcosa originariamente nascosto e poi si rivela, come il sole al suo sorgere. Dike è figlia di Nomos, la legge, ma non c’ è coincidenza tra loro. Le leggi sono scritte dagli uomini e l’ esistenza della legge è un’ evidenza che non c’è giustizia a questo mondo dove gli uomini realizzano un diritto coerente con certe loro premesse.
23 sabato Feb 2019
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Il mare di Taormina
L’eloquenza è una pittura del pensiero: perciò coloro che, dopo aver dipinto, aggiungono qualcos’ altro, invece di un ritratto, fanno un quadro.
Blaise Pascal, Pensieri, OSCAR MONDADORI, 1969, Milano, pag. 68
Dipingere con i colori, con la mente. Un vecchio libro, un grande pensatore e un’immensa ricerca della vita che si muove impetuosa nell’animo umano.
11 lunedì Feb 2019
-Buongiorno! Ecco le arancine calde calde! Dai mangiate!-
La nonna era scesa presto e da buona palermitana era andata a comprare le arancine per fare colazione.
-Nonna, noi prendiamo il latte la mattina-
-Mangia questa delizia del palato che ti viene il sorriso solo solo-
E sì, i palermitani, o almeno sua nonna e sua zia, erano così: festaioli a cominciare da cosa si mangiava al mattino.
-Arancina, nonna? Hai sbagliato, si chiama arancino.-
-Senti, non mi fare arrabbiare cu sti parrati catanisi. Arancina si chiama perché è tonda e arancione come l’arancia. A Catania non le sanno fare- sentenziò la donna.
A Cettina piaceva tantissimo quel modo di parlare, quel modo di fare così immediato, senza ripensamenti!
-Oggi si va al mercato! E poi al mare!- disse la zia
Attraversarono via Maqueda e si trovarono immerse all’interno del mercato di Sant’Agostino, un tripudio di scarpe, calzini, abiti, stoffe dove entrava e usciva come un venticello allegro un forte e invitante odore di sfincione.
-Cavuru cavuru è!!!- gridava il venditore dal carretto trainato da un somarello stordito dalle grida del padrone e dall’odore.
-Sfincione?! Ma è una pizza che odora di cipolla e formaggio! A Catania lo sfincione è fatto con il riso ed è fritto. E poi ha la forma di un bastoncino.-
-Ed è dolce, con lo zucchero spruzzato sopra!-
Le due sorelline erano curiose e divertite: una stessa parola indicava cose diverse se ci si spostava di qualche centinaio di chilometri in quella Sicilia bedda, come diceva la nonna.
-Arancino, arancina; sfincione. E’ storia, è tradizione. Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme. Apri una parola e ci trovi i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi e i sicani. Vi racconto una cosa divertente: una volta è stato ospite da noi un ragazzo del messinese, un ragazzo semplice, figlio di contadini. Guardando una foto che si trovava su un mobile, ci chiese: -murù?-
Noi, a Palermo, alla parola “murù” ne facciamo corrispondere tre: “me lo dai”. Quindi in uno slancio di cortesia, lo invitammo a prendere quella foto: sembrava che ci tenesse tanto! Continuammo in questo sforzo interpretativo, fino a quando lui con un gesto della mano non ci fece capire che voleva sapere se la persona nella foto fosse morta! No! Incredibile! Tre parole per dire la stessa cosa! A distanza di qualche centinaio di chilometri! A Palermo diciamo “muriu”, per indicare qualcuno che è morto. A Catania, “mossi”, non è vero? Murù, muriu, mossi, cioè “è morto”-
Risero: quella zia riusciva a farle divertire anche con cose che potevano sembrare noiose.
-Ora comunque prendiamo un bel pezzo di sfincione e ce lo portiamo per uno spuntino al mare.- disse la zia, ormai immersa nell’ idea di realizzare una giornata fantastica.
E fantastico lo era stato davvero quel giorno: il mare, il sole, una passeggiata a Villa Favorita, la Palazzina cinese, il museo Pitrè e Palermo in tutto il suo splendore.
La dinamica tra LANGUE e PAROLE ipotizzata da Saussure è complessa e stratificata e la mediazione fra fatto sociale e individuale si può configurare nella capacità della mente umana di contemplare associazioni mentali individuali, accanto ad associazioni mentali ratificate dal consenso sociale.
AA.VV., La mente, a cura di Stefano Gensini e Antonio Rainone, Carocci editore, Roma, 2009, pag.197
15 mercoledì Nov 2017
Posted filosofia, mare, silenzio
inSe sono amico al mare e a tutto ciò che somiglia al mare, e più amico che mai quando esso furibondo mi contraddice:
se c’è in me quel voglioso cercare che spinge le vele verso l’inesplorato, se in questa mia voglia è voglia di marinaio:
se mai il mio giubilo proruppe:« La costa è scomparsa-ora è caduta la mia ultima catena-
-lo sconfinato mugghia intorno a me, lontano risplendono spazio e tempo, avanti! Avanti, vecchio cuore!»
oh, come potrei non essere preso dal desiderio del nuziale anello degli anelli,- l’anello del ritorno?
NIETZSCHE, Così parlò Zaratustra