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sefossionda

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: fantasia

Pietre, fantasia

04 sabato Feb 2023

Posted by paolina campo in Senza categoria

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Alcina, battigia, fantasia, pietre

 Delle pietre si dice che siano senza vita. Non respirano, non si nutrono, non si riproducono. Popolano la Terra. Semplicemente. Esistono in forme e colori diversi. Ce ne sono grandi, piccole; pesanti e leggere; ruvide e lisce; grigie chiare e grigie scure; rosa, bianche e striate.

            Lungo una battigia raggiunta da onde salate, stanno vicine, compatte come a darsi sostegno, a rivolgere un ultimo addio a qualcuna di esse che il destino ha voluto fosse trascinata nel mare.

            E se dentro ogni pietra ci fosse la voce di un prigioniero di Alcina, la maga che chiudeva in un albero o in un minerale le vittime della sua crudeltà? O anche, ci fosse racchiuso un pensiero sfuggito a qualcuno che non è mai riuscito a domare, un pensiero che voleva raggiungere il mare?

            La mente arriva lontano, sfonda certezze e le trasforma in grovigli di sogni che stanno insieme, compatti come le pietre su una battigia che aspettano un’onda per scivolare attraverso spazi senza confini, lungo vie  liquide di inaspettata libertà.  

Pensieroso

01 mercoledì Feb 2023

Posted by paolina campo in pensieri

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amicizia, fantasia, nuvole

Faceva proprio freddo quel giorno. Aveva piovuto tanto e dalla terra si alzava un buon odore di germogli nascosti, di erba verde ristorata dall’acqua del cielo.

            Appollaiato tra i rami dell’albero, suo amico da sempre, discorreva dei tempi passati e della gioia di riuscire ancora ad arrampicarsi su per quei rami. Era quello il luogo dei giochi d’infanzia, della fantasia, dello sguardo indiscreto sulle cose laggiù e su quelle che si muovevano lente nel cielo. Vedeva la gente uscire di casa, i ragazzi correre allegri per le stradine del paese, e le massaie che aprivano porte e finestre perché quell’odore di terra bagnata invadesse le stanze e circolasse libero tra le mura domestiche.

            – Sai alberello, la mia vita è speciale perché ho te che sei sempre pronto ad accogliermi. Quando sentirò che le forze mi verranno meno, non scenderò più da qui.

            L’albero strinse i suoi rami e lo avvolse come in un tenero abbraccio. Chiuse allora gli occhi, Pensieroso. Che nome era il suo! Glielo avevano affibbiato perché stava sempre assorto a pensare qualcosa.

            – Lui non parla con noi, discute con la mente – diceva qualcuno.

            Pensieroso, quel giorno che aveva piovuto, rifletteva sul fatto che tutti devono avere un lavoro, di quelli di cui si è proprio contenti e che hanno bisogno di fantasia perché su un prodotto finito, si possa sognare di fare di più e dare spazio alla mente perché costruisca idee sempre nuove. Lui lavorava con il padre, faceva il fornaio. Gli piaceva impastare acqua e farina e vedere lievitare i panetti: c’era vita lì dentro. Poi creava le forme e spesso suo padre lo riprendeva perché le sue erano strane, ricordavano nuvole sparse nel cielo.

            – Sai alberello, vorrei essere un pittore. Vorrei disegnare nuvole nel cielo.

            Tra quei rami tutto era possibile. Chiudeva gli occhi, afferrava un ramo più lungo di tutti e raggiungeva il cielo: nuvole a forma di cappello, rosse di raggi di sole al tramonto; nuvole bianche striate di grigio come i capelli di una bella signora; nuvole tonde come astronavi o allungate come fiumi di latte.  

            – Ci vediamo domani.

            Giorno dopo giorno, finito il lavoro di fornaio, Pensieroso raggiungeva il suo albero e continuava il lavoro ad occhi chiusi.

            Poi, un temporale, che insisteva da giorni in paese, impedì al ragazzo di salire sull’albero. Un giorno, due giorni e altri ancora ne passarono chiuso in casa o al panificio.  Quando finalmente la pioggia cessò, corse dal suo amico e non ebbe il coraggio di arrampicarsi. Da qualche tempo la pianta soffriva, era vecchia e la linfa saliva a fatica lungo il suo fusto. Dov’erano i frutti succosi, le foglie che godevano al sole rendendo il suo albero orgoglioso e tanto forte? I rami pendevano arrendendosi al truce destino.

            – Non morire, ti prego – e intanto dei rami si spezzavano e cadevano a terra come soldati che avevano perso la guerra.

            – Chiudi gli occhi e portami lassù tra le tue nuvole. Sarò sempre lì ad accoglierti.

            Pensieroso abbassò le palpebre e immaginò di disegnare una nuvola a forma di albero e altre come uccellini che si posavano leggeri sui rami  dove immaginava di continuare a salire .

Harry

02 mercoledì Nov 2022

Posted by paolina campo in Eolie, storia

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Tag

'Nto scurari, eruzione, fantasia, inglesi, storia, vecchio post, vulcano

Tutto può accadere nei sogni, anche di vedere un albero in mezzo al mare che ha radici negli abissi e rami persi tra le nuvole. Con foglie larghe come quelle di un banano, ma non è un banano. E foglie piccole come quelle di un ulivo, ma non è un ulivo.

Un albero. In mezzo al mare.

– Era meglio che rimanevo al mio paese e marcire in carcere invece di seguire quel pazzo di Mr. Stevenson!

Harry parlava, si arrabbiava e remava. Sbuffava e se la prendeva con i pesci che nuotavano liberi e seguivano la sua barca.

– Cosa avete da guardare? Cosa ne sapete voi della fame? E’ per colpa sua che sono qua ora!- e intanto gli rimbombavano nella mente e nel cuore i boati di Vulcano e il frastuono della sua vita.

Conosceva bene la solitudine, in tutte le sue forme, anche quella che si sceglie per difendersi, per continuare a sentire che respiri ancora. I suoi genitori l’avevano abbandonato per strada e questa era diventata la sua casa. Aveva conosciuto ladri, ubriaconi, approfittatori. Imparò l’arte di arrangiarsi. Imparò che doveva bastare a se stesso, che guardarsi intorno era l’unico modo per sopravvivere sia quando i crampi allo stomaco lo spingevano a rubare o elemosinare qualcosa, sia quando il sonno arrivava inesorabile a chiudergli gli occhi,  a spingerlo a piegarsi in un angolo di marciapiede per trovare un fugace rifugio.

Un giorno la polizia lo prese, dopo una corsa tra le vie più impervie di quella città dove neanche la nebbia, quella volta, lo aveva protetto e nascosto.

Finì in carcere e pensò che almeno per un po’ avrebbe avuto un tetto sulla testa. I giorni cominciarono a susseguirsi stanchi, lenti, scanditi dalle voci di malfattori e assassini che trascorrevano il tempo tra imprecazioni e racconti che impregnavano l’aria di sangue e vendetta. Harry ne aveva sentite di storie strane di fattucchiere, streghe, scope volanti e maghi e folletti che apparivano e sparivano tra il buio e la nebbia dei vicoli della sua città. Di notte la città di Glasgow era popolata da ubriaconi, donne grasse dagli occhi terribili e poveracci che si rannicchiavano sotto le panchine per ripararsi dal gelo. Di giorno, su quelle stesse strade sfilavano superbi ricconi e bellissime dame. Harry li guardava, li osservava e non capiva se per quella gente provava invidia, rabbia o ammirazione. Proprio uno di loro lo aveva reclutato, insieme ad altri galeotti, per formare l’equipaggio di una nave a vapore che avrebbe solcato l’oceano e superato lo stretto che separava Europa e Africa, per raggiungere il Mediterraneo. Qualcuno gli aveva detto che il viaggio sarebbe stato lungo e faticoso, ma sarebbero arrivati in un posto dove il mare abbracciava isole che profumavano di vino ambrato, dolce e inebriante; dove le donne lavorano nei campi e conoscevano i pesci, il vento e il mare, e alcune di loro la notte si spalmavano di oli e volavano verso terre lontane per tornare all’alba nei loro letti, a scaldare i loro uomini. Harry non sapeva nulla delle mire egemoniche inglesi descritte su articoli dei  giornali, ma quel viaggio soddisfaceva la sua curiosità di gran sognatore.

 Mr James Stevenson, ricco imprenditore inglese, aveva fiutato un buon affare proprio in mezzo al Mediterraneo dove spagnoli, francesi e inglesi si contendevano terre, sbocchi sul mare e traffici proficui come quello dello zolfo e dell’allume.  Il ricco imprenditore scozzese aveva comprato l’isola di Vulcano, nell’arcipelago delle isole Eolie, da un generale dell’esercito borbonico, dopo la caduta del Regno delle due Sicilie. Partì quindi con tutta la sua famiglia, per ingozzarsi di potere e di denaro. Era il 1885 e Harry si imbarcò su una nave a vapore per lavorare come fuochista, insieme ad altri galeotti che insieme a lui furono chiusi in grandi cabine dove il rumore dei motori era assordante e il calore toglieva loro il respiro. Si lavorava a gruppi e una volta, stremato dalla fatica, crollò per terra prima di raggiungere un giaciglio dove potersi distendere.

Si addormentò poi, seduto in un angolo e sognò uno strano albero: era grande, grandissimo, e sorgeva tra le onde del mare. Aveva radici che si allungavano nelle profondità degli abissi e i rami si allungavano fino a perdersi tra le nuvole. Foglie larghe, foglie strette, a forma di cuore o tonde e smerlate componevano una chioma irregolare e strana. Ogni tanto una delle foglie cadeva in acqua e sembrava portasse impresso un messaggio. Allora arrivava un’onda, raccoglieva la foglia e la portava con sé. Dove la chioma si diradava appena, piccoli gnomi scrivevano e sembrava avessero tanto da fare: sulle foglie larghe scrivevano storie; su quelle medie messaggi, aforismi; su quelle piccole, le parole che mai devono essere dimenticate. Harry si vide trasportato da una nuvola fino a raggiungere uno degli infaticabili scrivani che appena lo vide, gli sorrise e gli spiegò che stava scrivendo proprio la sua storia. Ma che storia era la sua? La storia di un povero disgraziato che non sapeva neanche dove era finito.

Fu svegliato da un vocione che gli intimava di tornare al lavoro. Harry aveva sempre creduto ai sogni e sicuramente tra le onde del mare delle donne volanti, doveva esistere un albero che nasceva dal mare e non dalla terra.

L’isola di Vulcano apparve come un’immensa miniera d’oro agli occhi di Stevenson, e una meravigliosa, magica apparizione agli occhi dei fuochisti sporchi di carbone: il blu del mare, il verde di piante selvatiche che a chiazze prendeva il posto del giallo dello zolfo che spargeva nell’aria un pesante odore di uova andate a male. E poi il bianco dei vapori che qua e là si aprivano un varco tra la roccia e che sembrava manifestare l’esistenza di giganti fuochisti dentro la montagna che lavoravano incessantemente per dare vita a quel posto.

Sbarcati sull’isola, si pensò subito ad avviare la fabbrica per l’estrazione dello zolfo e Harry e i suoi compagni furono alloggiati in grandi cameroni attigui alla fabbrica. Stevenson si fece costruire un elegante dimora e visse tra gli agi, fino a che i diavoli del vulcano non uscirono dai crateri e lanciarono grosse  pietre che distrussero la fabbrica. Un masso a crosta di pane si conficcò proprio sul tetto della bella casa dei ricchi scozzesi che corsero in cerca di una barca per fuggire da quell’isola infernale. Scapparono via mentre i diavoli di Vulcano se la godevano sguazzando tra i bollori dell’acqua sulfurea.

L’imprenditore non tornò più sull’isola. Harry, preso da una grande paura, era sceso anche lui in riva al mare e sulla battigia aveva preso un gozzo e aveva cominciato a remare, affannandosi e imprecando. Era il 3 agosto del 1888, un giorno che non avrebbe mai più dimenticato. Si trovò al largo, stanco e confuso. Frenò la sua ira e non remò più e, disteso a poppa del gozzo, si fece trasportare dalle onde. L’aria era limpida e l’odore del mare lo raggiungeva come una carezza. Chissà come è stato: all’improvviso una grande foglia gli si posò sul viso. La prese tra le mani e lesse la sua storia. In lontananza, tra la folta chioma di un grande albero, uno gnomo scrivano lo salutava. Harry pensò che aveva ragione: ai sogni bisognava credere e quell’albero ne era la prova.

Continuò quindi a dormire, lasciando che le onde si occupassero di lui e segnassero il suo destino.

∗http://www.ct.ingv.it

∗http://www.giornaledilipari.it/lalbum-dei-ricordi-leruzione-del-1888-a-vulcano/

∗http://www.nuovarivistastorica.it/?p=3211

∗Guy de Maupassant, Viaggio in Sicilia, trad. e note Carlo Ruta, Edi.bi.si., Palermo, 2004, pag.61

∗Gastone Vuillier, La Sicilia-impressioni del presente e del passato, nota intr. di Francesco Brancato, Edizioni Grifo, Palermo, 1995, pag. 401 

Al fianco mio

16 giovedì Giu 2022

Posted by paolina campo in pensieri

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Tag

Armida, fantasia, nuvole, realtà, Rossini, sogno

In aereo

È vita vera quella descritta dai sogni? Cosa ci fa essere spettatori e protagonisti allo stesso tempo? Sgomenti, scivoliamo fuori dalla scena su cui ci aveva posto il sonno, mentre ci viene incontro la fantasia che piove copiosa sui tetti dell’immaginazione.

C’era nel cielo un tappeto bianco che scendeva giù come una cascata. Da lì partivano le nuvole a coprire emozioni e storie impossibili, desideri, angosce, ansie e paure. Per proteggere gli amori di maghi e paladini .

 -Ove son io?- chiedeva stordito Ronaldo che dentro una nuvola aveva viaggiato, per trovarsi poi nel  giardino dell’innamorata Armida.

-Ove son io?

-Al fianco mio.

Più tardi la nuvola si sciolse, l’inganno fu svelato e la maga al suo fianco non trovò che se stessa.

Al fianco mio,

vicino a me,

con me.

Ci sono solo io.

Scivolo piano

lungo il tappeto di bianco vestito.

Mi guardo, mi riconosco.

Al fianco mio, vicino a me, con me.

Sento le persone che amo.

Meraviglia

29 venerdì Ott 2021

Posted by paolina campo in filosofia, pensieri

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Tag

anagramma, Aristotele, fantasia, meraviglia

Una creatura che viveva tra i monti e il mare, si fermò una volta ad ascoltare un tale che diceva di chiamarsi Telestoria. Un tipo davvero particolare: andava in giro a chiedersi il perché e il per come di ogni cosa, scoprendo, qua e là nel mondo, ciò per cui valeva la pena soffermarsi e pensare.

-La vista è più importante tra tutti i sensi-  diceva, e per questo aveva il vezzo di spiegare tutto per immagini.

La creatura ascoltava e, più rifletteva su quello che diceva Telestoria, più arricciava il naso. Pensava a quando chiudeva gli occhi davanti al mare in tempesta per meglio sentirne il rumore e assaporarne l’odore salmastro; a come, ascoltando il vento intonare le sue melodie e le sue marcie trionfali, si sentisse leggera e immaginava di volare. E poi, come le batteva forte il cuore quando le sue mani accarezzavano morbide lenzuola, soffici cuscini, tenere guance di bambini!

Telestoria si commosse e, distogliendo l’attenzione dai suoi studi e dai suoi ragionamenti, si rivolse alla creatura, rassicurandola.

-La vista abbraccia tutti i sensi e rende tutti importanti. Vedi una rosa, distingui il suo profumo, accarezzi i petali profumati, ascolti il fruscio delle foglie attraversate dal vento. Tutto ha un solo nome: meraviglia.-

Insonnia

30 venerdì Apr 2021

Posted by paolina campo in poesia, Salina, tramonto

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Tag

decennio avvicinamento delle culture, fantasia

Molto grata a Luisa Zambrotta che mi ha invitata su Facebook a partecipare al DECENNIO DI AVVICINAMENTO DELLE CULTURE-Esposizione internazionale virtuale. Pubblicherò dieci poesie, una al giorno, per dieci giorni.

3° giorno

INSONNIA

Una bella gallinella

uscì presto quella mattina.

Era stanca e avvilita

di restare chiusa in gabbia

mentre tutte le sorelle

intonavano le note

di un torpore assai profondo.

Che nottata era trascorsa!

A lei il sonno

non la prendeva,

e restò tutta la notte

aggrappata ad un pensiero.

Solo la luna, bella e bianca,

ascoltava i suoi silenzi.

Che stranezze per una dolce gallinella!

Che trovasse un bel galletto

e covasse le sue uova

piuttosto che pensare

al mare

al vento

e

ai concerti.

Volle andare quella mattina,

e sul bordo di una falesia,

vide il sole salutare

l’impossibile suo amore

che pian piano

scivolava aldilà dell’orizzonte;

ascoltò le melodie delle onde spumeggianti,

che ora piano e poi più forte,

si allungavano sul lido

mentre il vento di lì passava

e con garbo la livrea le accarezzava.

Le fu appresso una stellina

che nella notte s’era persa,

ed insieme viaggiarono

per il cielo decorato

da quel sole che nasceva.

Befè, Viscottu e Minè-Poesie metasemantiche

12 martedì Gen 2021

Posted by paolina campo in Sicilia

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Tag

fantasia, parole metasemantiche, siciliano

Cos’è una poesia metasemantica? E’ una poesia dove le parole, vere e inventate, corrono come onde sulla superficie del mare e rumoreggiano, parlano, costruiscono un linguaggio sonoro così che è possibile sentire ” ‘u scrusciu “, il rumore di ciò che si racconta. Nella poesia metasemantica la fantasia vola. Come non pensare al ” Lonfo” di Fosco Maraini:

IL LONFO

Il lonfo non vaterca né gluisce

e molto raramente barigatta,

ma quando soffia il bego a bisce bisce

sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta.

È frusco il lonfo! È pieno di lupigna

arrafferìa malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna

se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio lonfo ammargelluto

che bete e zugghia e fonca nei trombazzi

fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi, in segno di sberdazzi

gli affarfaresti un gniffo. Ma lui zuto

t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

Nella tradizione popolare siciliana ci sono diversi esempi di poesie, filastrocche che potrebbero rientrare nella categoria di poesie metasemantiche. Parole come tirittuppete, pitipinchiuni, firriolu hanno un forte valore onomatopeico; improbabili nomi propri come Mao, Befè, Viscottu, Minè aprono finestre fantastiche di personaggi inesistenti eppure così realistici.

C’era na vota un Mao

tirittuppete e cariu

vinni ‘u mericu e muriu.

Ahi! Moru! Cu cappeddu e u firriolu.

Una caduta ( tirittuppete ), un medico e il fantomatico Mao che si lamenta di morire con il cappello e il firriolo, un bastone che per vanità faceva firriari, girare.

C’era na vota un re Befè Viscottu e Minè

c’aveva na figghia Bifigghia Viscottu e Minigghia.

Sta figghia Bifigghia Viscottu e Minigghia

aveva n’aceddu Befeddu Viscottu e Mineddu.

Aceddu Befeddu Viscottu e Mineddu

un ghiornu vulò.

Allura u re Befè Viscottu e Minè

lanciò un bannu:

CU TROVA L’ ACEDDU BEFEDDU VISCOTTU E MINEDDU

CI RUGNU A ME FIGGHIA BIFIGGHIA VISCOTTU E MINIGGHIA.

Si prisintò un picciotto vavusu fitusu viscottu e minusu.

Allura lu re Befè Viscottu e Minè ci dissi:

e io pi n’aceddu befeddu viscottu e mineddu

ti rugnu a me figghia Befigghia Viscottu e Minigghia?

Vattinni! Vavusu fitusu murbusu viscottu e minusu!

Un re non potrebbe mai sopportare di dare in moglie la propria figlia a un vagabondo.

La fata e le stelle

28 lunedì Ott 2019

Posted by paolina campo in luna

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Tag

cielo, fantasia, favola, mare, stelle

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-Dà, dà ama a vardari!- (Là, là dobbiamo guardare)

I pescatori sapevano che, nello spazio di mare che guardava in direzione del grande arco di una casa che profumava di mosto, era possibile pescare calamari di giorno e totani la notte. Con la luna calante.

C’erano sere e c’erano notti che nessuno andava in quel tratto di mare.

C’erano sere e c’erano notti che al grande arco guardava una fata, amica della luna che illuminava il mare quando sorgeva rossa del fuoco del sole, appena scomparso all’orizzonte.

C’erano sere e c’erano notti che dal grande arco si librava una scia di stelle che avvolgeva la fata, le illuminava i capelli e la sollevava leggera nel cielo.

-Vai!- le diceva la luna.

C’era un sogno da salvare, rimasto incastrato tra le pieghe oscure di una costellazione lontana. A bordo della scia di stelle, la fata attraversava il cielo. Salutava i falchetti che durante il giorno avevano giocato con le onde del mare; sorrideva alle caprette bianche come nuvole di primavera che vivevano su una roccia inaccessibile agli uomini, lì dove arbusti verdi e grotte sicure garantivano loro una vita tranquilla scandita dal rumore del mare che lassù arrivava come un monito divino, dal susseguirsi delle piogge e delle stagioni, dall’amore della loro madre, la luna.

La fata raggiunse il sogno che era volato troppo lontano. Era arrivato sino alla Costellazione del Cigno, attirato dalla bellezza che evocava quel nome. C’era lì un grosso buco nero che lo attirava con messaggi incantatori. Il sogno aveva cominciato a girare intorno all’orizzonte di quella massa enorme e presto capì che voleva inghiottirlo. La fata ordinò alle stelle che l’avevano portata nello spazio, di formare una lunga catena di luce più forte dell’energia della massa oscura, intimando loro di non avvicinarsi troppo all’orizzonte degli eventi ma di prendere il sogno e strapparlo al vortice malefico. Il Cigno osservava e mandò delle stelle-soldato a rinforzare la scia di luce. Il sogno passò una volta e poi ancora una seconda volta, girando vorticosamente intorno a quel buco. Una, due, tre e più volte tentò di aggrapparsi alle stelle. Finalmente si lanciò con forza e con tutte le stelle partì alla volta del mondo. Tutte insieme salutarono il Cigno e attraversarono leggeri la volta celeste. La fata accompagnò il sogno fino al grande arco della casa che profumava di mosto, perché gli uomini hanno bisogno dei sogni e di fate per guardare e viaggiare lontano e poi sempre tornare.

-Dà, dà ama a vardari!-

Poi piovve su l’alta fantasia…

20 venerdì Ott 2017

Posted by paolina campo in mare, silenzio

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Dante, Efesto, fantasia, mare, sogno, tramonto

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Navigarono tutto il giorno con il sole che muoveva come marionette le loro ombre sulla chiglia, a poppa e a prua e scandiva il tempo di quella  estenuante traversata. Navigavano con il cuore pieno di speranza e con il corpo carico di stanchezza. Al tramonto l’orizzonte marcò forte la sua presenza e segnò con determinazione il confine tra il mare e il cielo. Il guscio di legno su cui si erano imbarcati sembrava stesse per essere inghiottito dal silenzio dei colori che parlavano di fate e spiriti maligni.

-Tieni questa coperta. Adesso comincia a fare freddo-

La voce di suo padre, uscita dal silenzio, gli arrivò nitida per poi dileguarsi tra le fitte maglie di quell’intreccio magico di colori e aria tutto intorno.

Si avvolse nella coperta e fissò il suo sguardo lontano fino a che le palpebre si chiusero, la testa si accoccolò su una spalla e il corpo si piegò per trovare rifugio e riposo sulla chiglia del guscio di legno. Dormiva. O almeno credeva che stesse dormendo, perché si vide seduto sull’orizzonte con le gambe penzoloni verso uno spazio occupato da un bagliore di fuoco che, sembrava, avesse sciolto ogni cosa per levigare e addolcire gli angoli spigolosi del giorno passato e consegnare rinnovata bellezza.

Detto così, la lasciò dove stava e tornò ai suoi mantici:

li rivolse al fuoco e comandò loro di agire.

I mantici, venti in tutto, soffiavano sopra i crogioli,

mandando ogni tipo di refolo, che attizzasse il fuoco,

che allorché s’affrettava spirasse, altra volta smettesse,

come Efesto voleva, concluso il lavoro.¹

Sentì di provare un’ incredibile vertigine e, alzando lo sguardo, vide che le stelle si facevano sempre più prossime e la luna gli porgeva il candido lenzuolo dei sogni. Sollevò una mano e toccò le pareti infinite del cielo. Poi, cominciarono a piovere immagini, emozioni, storie, sorrisi e pianti e si vide muovere dentro ogni goccia mentre ancora restava seduto.

O imaginativa, che ne rube

tal volta sì di fuor, ch’uom non s’accorge

perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se il senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa

per sé o per voler che giù lo scorge.²

Poi piovve dentro a l’alta fantasia³ e fissò lo sguardo dentro una goccia, o forse era una stella, e sentì risa di bambini e giochi tra le onde, schizzi di acqua e un odore di dolci ripieni di mandorle appena raccolte. E poi c’era sua madre che volava lontana e suo padre che stanco aspettava un sorriso e costruiva per sé delle ali per poterla raggiungere.

-Svegliati! Siamo arrivati. Dormiremo qui stanotte. Domani ripartiamo.-

Da una goccia di pioggia della sua fantasia si staccò la voce del padre. Lasciò  allora l’orizzonte e tornò sul suo gozzo.

 

 

 

¹Omero, Iliade, Libro XVIII, 468-473

²Dante, Divina Commedia, Purgatorio XVII, 13-18

³Ibid, 25

 

 

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