Svegliati Bambinello
24 sabato Dic 2022
24 sabato Dic 2022
20 martedì Dic 2022
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inTutto è vanità in questo mondo.-
Parole di Qoelet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
Vanità delle vanità, dice Qoelet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno
per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro meta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole….
14 mercoledì Dic 2022
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02 venerdì Dic 2022
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inEra una mattina strana. Dalle fessure delle finestre appena socchiuse, non arrivava tanta luce. Fuori, il sole aveva di certo difficoltà a farsi spazio tra i nuvoloni scuri che già il giorno prima avevano preso possesso della porzione di cielo sopra il paese.
Faceva freddo, e il letto era un nido caldo da cui non si riusciva a uscire. Eppure gli uccellini erano in giro da un pezzo: li sentiva scambiarsi cinguettii, mentre saltavano da un ramo a un altro degli alberi che popolavano il suo giardino. Ma Lucia non aveva voglia di dare inizio alla sua giornata.
Richiuse gli occhi e si riaddormentò. Si vide seduta su uno scoglio emerso da una spiaggia nera, dove, qua e là, apparivano cespugli verdi che abbracciavano piccoli fiori gialli. Non c’era nessuno su quella battigia, faceva freddo e il mare sembrava irrequieto. Cosa lo turbava?
Sentì quell’irrequietezza scivolarle dentro e il suo animo iniziò a agitarsi. Quante cose aveva da chiedere al mondo? E quelle onde, quante risposte cercavano tra il fragore dell’acqua mossa dalle correnti?
A un tratto si vide travolta da un’onda.
Avvolta dall’acqua, si vide trasportata lontano mentre si diffondeva, in quel turbinio, il racconto che il mare stava recitando a gran voce ai suoi abitanti. Ebbe paura.
– Annego! – gridò.
Si svegliò madida di sudore.
Fuori aveva iniziato a piovere. Lo scroscio dell’acqua piovana arrivava nitido nella stanza. Il sole , quel giorno, non sarebbe entrato e Lucia preferì rimanere nascosta tra le lenzuola calde del suo letto.
01 giovedì Dic 2022
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inE ora,
che l’unico con cui fare i conti
è il mio Io più profondo,
mi trovo sempre in guerra,
in lotta con mille perché
e esagerate discussioni.
Ma quanto chiacchieri
anima mia?
Mi racconti di strade,
di volti indefiniti,
di immagini lontane,
e intanto scavi
nel pozzo della memoria
dove si trova un castello
con le sue innumerevoli stanze,
che a contenerle tutte nella mente
mi confonde e
mi rattrista.
Piove di pianto tenero e commosso
su l’anima mia
che si erge a giudice
tra chi fugge e chi resta
nella lotta
dei perché senza risposta.
18 venerdì Nov 2022
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inDi certo una fata aveva seminato, in quell’anima piccola, i semi della tristezza. Aveva trovato terreno fertile, humus poco adatto alla dimenticanza. Era arrivata di notte, ascoltando il pianto di una bimba bisognosa dell’abbraccio della sua mamma.
Aveva piantato i suoi semi perché crescesse forte e tristezza l’aiutasse a essere sempre coerente con sé stessa, e riuscisse sempre a trovare soluzioni alla sua sopravvivenza.
Imparò presto che non era con le bugie che si ricostruivano le storie e che la coerenza era un frutto raro e solo in pochi la coltivavano con responsabilità. Imparò che il mondo offre mille occasioni per adattare le proprie idee a nuove situazioni, e che al mondo non si deve per forza essere tutti uguali per volersi bene. Imparò che la diversità è una landa che ha bisogno di essere irrorata di rispetto, scambio generoso e disinteressato, prudenza e occhi buoni per vedere fin dove ci si può spingere. Imparò che le parole sono importanti: sono loro che aprono i cuori o li serrano con i catenacci del disaggio e dell’incomprensione.
La fata non era più andata a trovarla, ma, di tanto in tanto, l’avvertiva tra i cinguettii gioiosi dei passerotti che si fermavano sul suo balcone, distraendola mentre, immobile, osservava alcuni palazzoni di cui non sentiva il respiro e le limitavano la vista: dietro c’era il mare.
11 venerdì Nov 2022
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inNel 1436 nacque a Königsberg Johan Müller che si fece chiamare col nome latino del suo luogo di nascita, Regiomontanus: Königsberg, infatti, sta per montagna del re, da cui lo pseudonimo. Matematico, astronomo, traduttore, egli incarnò l’ideale dell’uomo rinascimentale, coltivando la passione per i classici ed accogliendo con entusiasmo le novità del suo tempo. Durante i suoi viaggi in Italia, Regiomontano imparò il greco ed ebbe la possibilità di conoscere la cultura classica. Maturò, quindi, il desiderio di raccogliere, tradurre e divulgare le opere dell’antichità. La stampa, grande invenzione del secolo, avrebbe potuto dare al Regiomontano la possibilità di realizzare il suo progetto. Tornato in Germania, impiantò a Norimberga, una stamperia e il primo osservatorio astronomico europeo, da cui osservò la grande cometa del 1472 (poi detta di Halley). Tradusse e commentò un trattato di fondamentale importanza per l’astronomia e la trigonometria: la Sintassi matematica, meglio nota con il nome di origine araba Almagesto, di Claudio Tolomeo. Trigonometria è una parola che deriva dal greco τρίγωνον = triangolo e μέτρον = misura. Fino al XV secolo la trigonometria fu una trigonometria sferica, cioè una geometria applicata all’astronomia. Nel trattato De triangulis omnimodis del 1464, Regiomontano presentò la trigonometria come disciplina indipendente dall’astronomia.
Anche Tirrenomaroso amava i numeri. Lui era nato nel mar Tirreno in una data indefinita così come indefinita era stata la data della sua morte. Per secoli aveva viaggiato solcando quel mare che aveva scelto come suo pseudonimo. I numeri che più affascinavano Tirrenomaroso erano i numeri magici, quelli che nascondevano e discutevano di infinito, di mete irraggiungibili e per questo, dominio assoluto della fantasia, dell’irrazionale. Erano questi che nuotavano e vivevano tra le onde scatenando stupore e, per secoli, paura di qualcosa di cui non si poteva parlare se non in termini magici e indefiniti. Numeri aurei e sezioni auree esprimevano una potenza di “ecceterazione” per cui si poteva pensare a una storia che attraversava i mari, saliva su nel cielo, raggiungeva la luna, le stelle e poi tutto l’universo, le galassie. E poi ancora verso un infinito che pulsa dentro ogni uomo spinto dalla curiosità di sapere cosa c’è dopo.
07 lunedì Nov 2022
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inTravolte dalla valanga della dimenticanza, tutte le storie erano annegate nel profondo di un pozzo dove desueta era considerata qualsiasi tipo di tenerezza. Il pozzo era profondo, buio e le pareti esterne di mattoni pesanti erano battute dalle canzoni del mare: le note arrivavano a stento ad attraversare quel muro di silenzio e le storie diventavano più tristi, costrette in quella stentata percezione di armonia. Le parole del mondo vagavano stanche, indebolite dalla perdita di significato che avevano subito, dopo che le radici che trasportavano loro la linfa per potersi sempre trasformare e raccontare, erano state spezzate. In una stagnazione di tempo senza tempo, non riuscivano a scambiarsi vocali e consonanti per dire e indicare pensieri, per legarsi ancora a vecchi simboli, a antiche storie per crearne ancora. Erano diventate tutte uguali, sbiadite, prive di forza di significato.
Bisognava trovare un modo per liberare le storie dal pozzo. Si decisero quindi a partire. Attraversarono strade, colline, montagne e arrivarono in un bosco di alti castagni dove un folletto regalò loro un ramoscello d’oro, la chiave di accesso al pozzo lambito dalle onde. Scivolarono lungo una stradina odorosa di vento, di mare e colorata di ibiscus e piante profumate di terra generosa che aspettava di essere raccontata.
Come foglie trasportate dal vento, leggere discesero all’interno del pozzo. Il ramoscello d’oro illuminava le pareti e segnava il cammino all’interno di quello spazio oscuro. Man mano che si proseguiva, il buio si faceva più fitto, le ombre delle storie lanciavano lamenti, richiami malinconici. Il ramoscello d’oro si lanciò sul fondo del pozzo e migliaia di raggi luminosi invasero le pareti tenebrose. Le storie vivificate da quella luce nuova, raggiunsero presto le parole fortificandosi e lanciandosi alla volta del cielo e del mare.
Il ramoscello d’oro aveva sprecato tutta la sua energia e, quando la sua missione fu conclusa si spense come seme che muore per donare nuova vita.
Ciò detto la veggente antica aggiunse:
«Ma ora avanti! Ora il cammin riprendi
l’opra compiendo che intrapresa incalza!
Già l’alte mura vedo costruite
nelle fumanti fabbriche dell’Etna,
e l’arco della porta ci fronteggia
ov’è prescritto a noi di porre il dono.»
Ciò detto, insieme, e per oscure vie
l’interposta distanza superando,
s’appressano alla soglia; ed ivi giunto
di pure linfe asperse Enea le membra
e il ramoscello al limitare affisse.
Virgilio, ENEIDE, libro sesto
05 sabato Nov 2022
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in28 venerdì Ott 2022
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Cusciuta, era cusciuta!
Cusciulera, vo diri?
Cusciuta o cusciulera, sempre a cusciuliari era!¹
Camminava, correva. Andava al mare e poi in montagna. Distribuiva sorrisi e afferrava esperienze. Tornava a casa quando era sazia di sguardi, di parole nuove da usare, di pensieri gioiosi da sognare. Cusciuta, era cusciuta. Sì, una volta. Le piaceva cusciuliari, imbarcarsi sulle sue cosce e andare in giro ad ascoltare voci che avevano sempre tanto da raccontare.
-Irù, portaci u pani o zu Vanni- e lei partiva e portava una pagnotta a un vecchio cieco che viveva in una stanza che si affacciava su una grande terrazza che dominava tutto il paese; che era attraversata sempre dall’odore del mare; che ascoltava la voce imponente del vento che arrivava alla pelle e alla mente di quel malandato vecchio che di nulla aveva bisogno, se non di un pezzo di pane e un bicchiere di vino, dove ammorbidire il profumo del grano, e sentire l’ odore che lo portava tra i filari delle viti con pampini enormi e le cantine odorose di mosto.
-Zu Vanni, qua c’è il pane.-
Lui sorrideva e Irù raccoglieva quel sorriso sdentato e se lo portava a cusciuliari. Poi tornava a casa e su dei fogli scriveva parole su parole, descrivendo storie e sensazioni, segnando ricordi e emozioni. Giorno dopo giorno.
Cusciuta, era cusciuta! Sì, una volta. Poi, chissà come fu, quei fogli si trasformarono in un corpo mostruoso che vegliava notte e giorno su di lei e tenevano la sua mente stretta dentro un guscio terribile come una caverna dove non c’erano sorrisi, ma sguardi arrabbiati; e non c’erano parole, ma grida intrecciate e confuse; e non c’erano strade dove andare a cusciuliari. Tutto era buio. In quel buio, arrivava di tanto in tanto un soffio di vento che le attraversava i piedi. E lei camminava. Con il vento ai piedi, arrivava lì dove erbe selvatiche crescevano libere al limitare di una falesia, facendo da cornice alla bellezza infinita del mare.
Succedeva allora che sentiva il cuore gonfiarsi di malinconia, di grande nostalgia per quel mare a cui desiderava consegnare la sua vita. Cosa ne era stato di quella vita? Cosa ne era stato di quel suo cusciuliare in lungo e in largo, credendo che era gioia per sé e per gli altri incontrarsi? In cosa aveva creduto se non esisteva più niente di quello di ciò che era stata e voleva essere?
Girò piano lo sguardo, come per vedere se il mare avesse qualcosa da dirle. Vide onde che guizzavano allegre e nuvole bianche che vagavano lente aspettando che il vento dirigesse sicuro la musica del mondo.
Girò ancora lo sguardo e vide un velo di pioggia bianchissima come neve che faceva da tenda a un variopinto arcobaleno, che emergeva da un cerchio salato per poi nascondersi dietro il sipario di acqua di cielo.
…e Ares le dette i cavalli dai frontali d’oro:
lei montò sopra il cocchio, disperata in cuor suo,
accanto le saliva Iris e prendeva in mano le briglie,
frustò alla corsa e quelli, non contro voglia, presero il volo.
Subito poi raggiunsero la sede degli dei, l’Olimpo scosceso;
qui fermò i cavalli Iris veloce, che ha nei piedi il vento,
li sciolse dal carro e a loro gettò foraggio immortale;
intanto la divina Afrodite s’abbandonava in grembo a Dione,
sua madre; e lei strinse tra le braccia la figlia sua,
l’accarezzò con la mano, articolò la voce e disse:
«Chi ti ha fatto una cosa così, figlia mia, tra i Celesti,
senza ragione, quasi avessi fatto del male sotto i suoi occhi?»
Le rispondeva allora Afrodite che ama il sorriso:
«Il figlio di Tideo m’ha ferito, il tracotante Diomede,
perché io il figlio mio volevo sottrarre alla guerra,
Enea, che fra tutti mi è di molto il più caro.
Ormai la battaglia crudele non è più tra Troiani ed Achei,
ma anche agli immortali adesso i Danai fanno la guerra»².
Iris, che ha nei piedi il vento, percorse tutti i colori dell’arcobaleno e sparì dietro la tenda di acqua di cielo dove le nuvole, cusciute, seguivano il vento.
² Omero, Iliade, libro V, 363-380