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Se ami la terra, questa ti da soddisfazione

Così mi aveva detto una volta un contadino, mentre con orgoglio mi mostrava un campo di rigogliose piante di ortaggi, viti e alberi da frutto. Quell’uomo dalle mani forti e rugose, mi spiegava che  amare la terra significa innanzitutto rispettare l’avvicendarsi delle stagioni che scandiscono le feste comandate e  il lavoro  nei campi: c’è un tempo per zappare, uno per concimare e uno per seminare.

 A Malfa, piccolo comune dell’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, con forti e ricche tradizioni contadine, dopo Natale si potano le viti e si ammausa.  Ammausare  nel gergo eoliano significa legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri.

L’arte di ammausare, che volendo azzardare un’etimologia della parola potrebbe proprio significare usare le mani, è affidata alle donne. Tra gennaio e febbraio, uomini e donne vanno insieme nella vigna: gli uomini avanti per potare e dietro le donne per ammausare. Con l’arrivo della primavera, i tralci si moltiplicano, sostenendo i primi racimoli d’uva vestiti di grossi pampini.  Il sole d’agosto completa il periodo di colorazione dell’uva che ora si mostra nera, bianca o dorata e il contadino ha un altro appuntamento: trascorso il tempo di festa per il santo patrono di Malfa, San Lorenzo, il 10 di agosto, si torna alla vigna per spogliare i grappoli ormai consistenti e mostrarli finalmente a quel sole che li farà completamente maturare. Arriva quindi il tempo della vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus, vino e demia, forma del verbo demere, levare via, prendere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto.

Tutta l’uva è destinata al palmento, tranne quella dorata, l’uva malvasia, arrivata a Salina nel XVI secolo insieme al culto di Santa Marina. Questa, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.

Arriveranno le vespe e poi le api. Dopo, l’uva stesa al sole è pronta.

Altra nota di saggezza contadina, appresa mentre mi fermavo davanti a una delle case storiche di Malfa, colpita dalla bellezza delle rose che circondavano il giardino. I romani piantavano rose in fondo alla vigna per attirare gli insetti, perché avevano capito che erano proprio loro a migliorare il vino. Vespe e api sono molto simili tra loro ma hanno delle caratteristiche fondamentali che le distinguono. La differenza che qui interessa, a proposito dell’uva è che le vespe sono onnivore, e quindi dotate di forti mandibole, mentre le api succhiano sostanze dolci.

Uno studio condotto presso l’istituto di microbiologia dell’Università di Firenze¹, ha dimostrato che i lieviti di fermentazione del vino non sono presenti nelle cantine, ma vengono trasportati da vespe e calabroni nei loro intestini e depositati sugli acini. Le vespe bucano l’acino e rilasciano lieviti di fermentazione. Intanto le api iniziano i loro voli di perlustrazione e quando le loro cugine hanno finito il lavoro di bucare tutti gli acini, tornano all’alveare e segnalano alle compagne il luogo dove trovare abbondante cibo. Un giro a destra e poi a sinistra; testa in giù, testa in su; movimento svelto dell’addome e poi ancora un giro, e le api ballerine indicano la sorgente del cibo, considerata la distanza dall’alveare e la posizione del sole. Già il grande filosofo greco, Aristotele, aveva scoperto la danza delle api ma non ne aveva capito il motivo.

La danza delle api è un ingegnoso scambio di segnali che lo scienziato Karl von Frisch studiò a fondo, tanto che le sue ricerche gli valsero il premio Nobel nel 1973 proprio per gli studi condotti sul comportamento dei pesci e delle api. Ma torniamo sui nostri cannizzi, dove arrivano sciami di api che trovano l’acino rotto e succhiano la soluzione zuccherina permettendo all’acino di rinsecchire invece di marcire. La Natura sa quello che fa. Il contadino può quindi ritirare i cannizzi e quell’uva dorata è pronta per diventare il nettare tanto apprezzato, la Malvasia,  che sa di sole, di mare e di terra vulcanica.

Dopo la vendemmia, si torna tra i filari e si svecchia, si libera la vite dai tralci vecchi per ricominciare un altro ciclo dell’uva, di vespe e di api. Ma solo dopo Natale.