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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Fiume

29 martedì Nov 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Santuario Madonna del Terzito, terra, vigne

C’era una volta…

No, non si tratta di una favola antica, ma di una vita antica che scorreva tra due montagne come un fiume che attraversava una valle.

C’era una volta, quindi, il signor Fiume la cui vita scorreva, ora tranquilla ora tempestosa, in quella valle che separava due monti che ebbero in sorte di guardarsi e ammirarsi per sempre, dopo che un’eruzione vulcanica li aveva generati. Quel tratto di terra generoso e benedetto dalla Vergine, chiuso a est e a ovest dai due monti innamorati, si affacciava al mare che, a sud arrivava a lambire la costa siciliana che la sera, quando il cielo era terso, sbrilluccicava di lucine gialle, come quelle di un presepe permanente; a nord, invece, si stendeva maestoso verso l’orizzonte.

Fiume era un uomo magro, dal viso scarno e le mani forti. Coltivava con devozione le vigne della Madonna, sì, quelle poste a mo’ di mantello proprio di fronte al Santuario della Madonna del Terzito che, con il suo campanellino, per tre volte aveva richiamato l’attenzione di un monaco perché salvasse una sua effigie dalle intemperie e dalle razzie dei turchi.

Con il vento e con la pioggia, con il sole e con il freddo, Fiume era sempre lì tra i campi, dialogando con le piante, intrecciando con esse discussioni su come riuscire ad avere un buon raccolto. Camicia, calzoni pesanti e scarponi, il signor Fiume completava la sua divisa campagnola con un cappello di paglia che, all’occorrenza, serviva da cestino. Ma la sua più grande soddisfazione era la cantina: bella, pulita, profumata e accogliente. Dalle botti sgorgava vino a fiumi e malvasia, e l’odore inebriante era il sigillo del contratto che quell’uomo dal cognome liquido e sinuoso, aveva siglato con la terra della valle. Un bicchiere di vino, un sorso di malvasia, una preghiera alla Madonna e la giornata poteva considerarsi conclusa. La sera vedeva diluire i colori sgargianti del tramonto, arrivati appena a manifestarsi tra i due monti. All’imbrunire, la vita di Fiume si distendeva sull’alveo dei suoi pensieri che ancora guadavano la valle.

Vespe, api e malvasia

25 martedì Ott 2022

Posted by paolina campo in Salina

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api, vecchio post, vendemmia, vespe

Se ami la terra, questa ti da soddisfazione

Così mi aveva detto una volta un contadino, mentre con orgoglio mi mostrava un campo di rigogliose piante di ortaggi, viti e alberi da frutto. Quell’uomo dalle mani forti e rugose, mi spiegava che  amare la terra significa innanzitutto rispettare l’avvicendarsi delle stagioni che scandiscono le feste comandate e  il lavoro  nei campi: c’è un tempo per zappare, uno per concimare e uno per seminare.

 A Malfa, piccolo comune dell’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, con forti e ricche tradizioni contadine, dopo Natale si potano le viti e si ammausa.  Ammausare  nel gergo eoliano significa legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri.

L’arte di ammausare, che volendo azzardare un’etimologia della parola potrebbe proprio significare usare le mani, è affidata alle donne. Tra gennaio e febbraio, uomini e donne vanno insieme nella vigna: gli uomini avanti per potare e dietro le donne per ammausare. Con l’arrivo della primavera, i tralci si moltiplicano, sostenendo i primi racimoli d’uva vestiti di grossi pampini.  Il sole d’agosto completa il periodo di colorazione dell’uva che ora si mostra nera, bianca o dorata e il contadino ha un altro appuntamento: trascorso il tempo di festa per il santo patrono di Malfa, San Lorenzo, il 10 di agosto, si torna alla vigna per spogliare i grappoli ormai consistenti e mostrarli finalmente a quel sole che li farà completamente maturare. Arriva quindi il tempo della vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus, vino e demia, forma del verbo demere, levare via, prendere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto.

Tutta l’uva è destinata al palmento, tranne quella dorata, l’uva malvasia, arrivata a Salina nel XVI secolo insieme al culto di Santa Marina. Questa, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.

Arriveranno le vespe e poi le api. Dopo, l’uva stesa al sole è pronta.

Altra nota di saggezza contadina, appresa mentre mi fermavo davanti a una delle case storiche di Malfa, colpita dalla bellezza delle rose che circondavano il giardino. I romani piantavano rose in fondo alla vigna per attirare gli insetti, perché avevano capito che erano proprio loro a migliorare il vino. Vespe e api sono molto simili tra loro ma hanno delle caratteristiche fondamentali che le distinguono. La differenza che qui interessa, a proposito dell’uva è che le vespe sono onnivore, e quindi dotate di forti mandibole, mentre le api succhiano sostanze dolci.

Uno studio condotto presso l’istituto di microbiologia dell’Università di Firenze¹, ha dimostrato che i lieviti di fermentazione del vino non sono presenti nelle cantine, ma vengono trasportati da vespe e calabroni nei loro intestini e depositati sugli acini. Le vespe bucano l’acino e rilasciano lieviti di fermentazione. Intanto le api iniziano i loro voli di perlustrazione e quando le loro cugine hanno finito il lavoro di bucare tutti gli acini, tornano all’alveare e segnalano alle compagne il luogo dove trovare abbondante cibo. Un giro a destra e poi a sinistra; testa in giù, testa in su; movimento svelto dell’addome e poi ancora un giro, e le api ballerine indicano la sorgente del cibo, considerata la distanza dall’alveare e la posizione del sole. Già il grande filosofo greco, Aristotele, aveva scoperto la danza delle api ma non ne aveva capito il motivo.

La danza delle api è un ingegnoso scambio di segnali che lo scienziato Karl von Frisch studiò a fondo, tanto che le sue ricerche gli valsero il premio Nobel nel 1973 proprio per gli studi condotti sul comportamento dei pesci e delle api. Ma torniamo sui nostri cannizzi, dove arrivano sciami di api che trovano l’acino rotto e succhiano la soluzione zuccherina permettendo all’acino di rinsecchire invece di marcire. La Natura sa quello che fa. Il contadino può quindi ritirare i cannizzi e quell’uva dorata è pronta per diventare il nettare tanto apprezzato, la Malvasia,  che sa di sole, di mare e di terra vulcanica.

Dopo la vendemmia, si torna tra i filari e si svecchia, si libera la vite dai tralci vecchi per ricominciare un altro ciclo dell’uva, di vespe e di api. Ma solo dopo Natale.

Brigitte

17 sabato Set 2022

Posted by paolina campo in Salina

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fillossera, malvasia, mare

Salina, Lingua

Tra il 1858 e il 1862, le campagne del sud della Francia furono raggiunte da una terribile maledizione: la fillossera, un insetto che aveva infettato migliaia di barbatelle di viti, mettendo in ginocchio la già precaria vita dei contadini. Era arrivato dall’America quel parassita che aveva tolto il sonno a intere famiglie, tra cui quella di Brigitte che, un giorno, si trovò nella condizione di lasciare tutto per cercare un posto migliore dove vivere, magari imbarcandosi su uno di quei velieri che arrivavano al porto di Marsiglia.

In quegli anni, le acque del Mediterraneo erano solcate da grandi velieri, alcuni dei quali provenivano da un’isola, piccola ma tanto ricca, dove si produceva un’ottima Malvasia, vino denso, zuccherato, dorato. La sua fortuna risaliva al periodo tra il 1805 e il 1815, quando i soldati inglesi, di stanza a Messina durante le guerre napoleoniche, l’avevano scoperto e ne avevano consumate enormi quantità. Nel volgere di pochi anni, la flotta mercantile di Salina si fornì di decine di velieri e la terra fertile dell’antica Didyme, fu messa a coltura fino alle cime delle sue montagne, il Monte Porri e il Monte Fossa delle Felci.

Il padre di Brigitte aveva preso contatti con uno dei padron e una mattina aspettò di imbarcarsi, insieme alla sua famiglia, pronto a attraversare il Mediterraneo per raggiungere il luogo dove poteva continuare a coltivare la terra. Navigarono giorno e notte, fino a quando approdarono al porto di Santa Marina. La famiglia francese trovò una sistemazione nella piccola frazione di Lingua, dove Brigitte conobbe un giovane con il quale si sposò e, ancora giovane, ebbe dei figli.

La fillossera, inesorabile, raggiunse però anche le campagne di Salina e nel giro di pochi anni, anche le barbatelle piantate e coltivate sull’isola furono distrutte. I velieri dovettero interrompere il loro commercio: le viti,  annientate dal parassita, non diedero più frutto e l’economia dell’isola crollò improvvisamente. Molti emigrarono in Australia, altri in America. Anche i genitori di Brigitte lasciarono l’isola, portandosi dietro affetti, ricordi e progetti. La ragazza, rimase a vivere a Lingua e non tornò mai più nella sua amata Marsiglia.

– La mia mamma soffrì tanto di malinconia. Morì con un grande vuoto nel cuore. – Così ricorda la signora Maria, ormai avanti negli anni e che ancora vive sull’isola.

Il mare aveva raccolto insieme tutte le onde e le aveva portate lontano. Ne aveva dimenticata una piccola e fragile, che si dileguò sulla battigia di un paese dove non aveva scelto lei di approdare.

José Saramago

14 giovedì Lug 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Josè Saramago, memoria, mondo, tramonto

Il mondo dimentica a tal punto da non accorgersi neanche della mancanza di ciò che ha dimenticato.

Una casa senza misura

20 venerdì Mag 2022

Posted by paolina campo in mare, silenzio, Salina

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Asteria, stelle

C’era una volta una vecchina che viveva in una grande casa situata tra la roccia vulcanica di un antico monte e il mare; una casa dove non aveva nessun senso parlare di misura perché tutto era dilatato. Solo una cameretta aveva un solaio in legno. Qui la vecchina custodiva gli utensili e trovava riparo quando fuori imperversava il vento, la pioggia e il freddo della notte. Chiudeva quindi l’antica porta in legno, dipinta in azzurro come il mare a cui si rivolgeva, e se ne stava tranquilla a preparare minestre e marmellate. Il resto della casa aveva come tetto il cielo e come pareti alberi, arbusti e ginestre odorose. Era proprio in questa parte più grande della casa che Asteria trascorreva la maggior parte della sua vita. Di giorno ospitava le caprette bianche della luna che pascolavano libere nel versante più a nord dell’isola. Di notte si distendeva ai piedi di un grande albero di ulivo a osservare le stelle. Da tempo ormai viveva su quell’ isola dove nulla le era mai mancato. Un giorno, vecchia e stanca, decise di fare testamento.

Presto tornerò ad abitare tra le stelle, mie sorelle. Lascio la mia grande casa a tutti quelli che, con rispetto, vorranno assaporare la gioia di immergersi nei colori di questa meravigliosa parte della Terra. Mai dovrà essere chiusa la cameretta, è antica e obbedisce al vecchio rito dell’ospitalità. Non sperperate ciò che vi è stato offerto, ma donate con amore quel che più vi aggrada. Una cosa ancora chiedo: non dimenticate mai di chiudere bene sempre la pompa che tira su l’acqua del pozzo, le api sono solite trovare lì un rifugio  e non sanno che potrebbero annegare.

Ripose quindi il foglio su una pietra vicino la casetta e, quando arrivò la notte, attese una capretta che l’accompagnò in cielo.

*Asteria era, nella mitologia greca, una dea delle stelle. Per sfuggire a Zeus, Asteria si trasformò in quaglia. Precipitò però in mare e fu trasformata dallo stesso Zeus in un’isola vagante sulle onde.

La Praiola

17 martedì Mag 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Monte Porri, Praiola, Salina

Salina

Quel giorno di primavera si decise di andare alla Praiola. Nonostante avessi vissuto tanti anni sull’isola, pensavo che avremmo raggiunto un campo dove crescevano spontanei rigogliosi papaveri e profumato finocchietto selvatico, come in tanti appezzamenti di terra coltivati a ortaggi o capperi. Per questa mia convinzione non mi impegnai mai a saperne di più, né, tra i miei amici o conoscenti, qualcuno mi aveva mai invitata a fare una passeggiata da quelle parti. Così, quando ricevetti l’invito, accettai volentieri, pensando sempre che sarei arrivata in un campo pieno di papaveri. Partimmo presto quel pomeriggio e iniziammo a seguire uno stretto sentiero, un percorso che si faceva largo tra antichi terrazzamenti abitati da secolari alberi di ulivo, severi nella loro arcaica maestosità, e allegre ginestre odorose la cui chioma ramificata sembrava volere accarezzare i visi di chi in quel momento popolava quella parte di montagna. La terra arida, le pietre disseminate lungo il cammino e l’idea di incontrare serpi che avrebbero sfidato l’audacia di qualunque visitatore, imponeva una certa attenzione. Quindi era necessario  fermarsi di tanto in tanto se si voleva  guardare il mare che ai piedi della montagna si mostrava così trasparente da mostrare gli scogli sott’acqua, per poi, man mano, abbandonare il verde riflesso alla riva, per diventare più blu e poi sbiadire fino a quando sembrava congiungersi con il cielo. Dopo un breve intervallo di abbandono poetico, bisognava tornare sui propri passi e godere  dell’odore delle erbe selvatiche e del brivido improvviso che attraversava la schiena quando si avvertiva un fruscio: avevamo infastidito un serpente? Arrivammo a Valle Spina e fu tutta una sorpresa. Non c’erano papaveri, ma un grande spazio aperto, una fetta di mondo, specchio di tutto ciò che la circondava, capace di generare una catena di emozioni che si espandeva come galassia che pulsava di vita. E la Praiola?  Un tratto di costa, alla fine di una scarpata dove la roccia si tuffava, dove la sera si poteva osservare la magia di un amore negato: dopo un rapido sguardo, il sole e la luna si dicevano addio mentre l’uno spariva sul suo cavallo dorato e l’altra  sorgeva, illuminando la costa di luce argentata.

Amo

04 lunedì Apr 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Epistole, Petrarca

Quello che amare solevo, più non amo. Mentisco: lo amo, ma meno intensamente. Ecco di nuovo ho mentito: lo amo, ma con maggiore vergogna, con maggiore tristezza; soltanto questo è il vero. Così è infatti: amo, ma quello che vorrei non amare, quello che vorrei odiare; amo tuttavia, ma nolente, ma costretto, ma triste e addolorato.

Francesco Petrarca, Epistole familiari, IV, 1

Pollara-Malfa e ritorno

03 domenica Apr 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Malfa, mare, miscuglio, Pollara

L’odore dei limoni appena raccolti, sbucciati e tagliati, si è diffuso per tutta la casa. Il vento fuori soffia forte e agita i rami degli alberi che quest’anno hanno dato buoni frutti. In lontananza il mare si tinge di strisce bianche e azzurre, mentre le onde sembrano vogliano divorare il cielo. Su una cucina, di quelle antiche, con lo sportellino da aprire per alimentare il fuoco con la legna, una pentola borbotta, mentre zucchero e polpa di limoni si amalgamano e si addensano. E raccontano.

Arrivava il giorno per andare a fare la spesa. Due sacchi di juta, gli scarponi, le scarpe buone, una bustina di limoni appena raccolti, una bustina vuota, e via, tutto era pronto. Dal piccolo centro abitato, costruito sulla roccia di un vulcano che per metà era precipitato in mare, la gente partiva e s’incamminava lungo una strada che odorava di terra e di mare, ammantata da un alone di magia dove gli occhi incontravano l’infinito. Si partiva presto, indossando gli scarponi e portando sulle spalle i sacchi di juta. L’andamento svelto e sicuro, cedeva man mano alla stanchezza che diventava la buona opportunità per fermarsi a raccogliere delle verdure selvatiche e guardare l’orizzonte, il mare e il sole che seguiva il loro cammino. Troppo spesso si pensa di essere soli, che la vita, il respiro del mondo finisce là dove si coltivano i propri interessi. In quella strada la gente che andava a fare la spesa incontrava una miriade di creature, uno sfavillare di colori, un’interminabile susseguirsi di odori e a ogni passo poteva capitare di parlare a un uccello come a un  ragnetto e di sorridere grato per un ciuffo di finocchietto selvatico. Il percorso, non certo agevole e a volte anche pericoloso, copriva ben due ore di quella giornata. Si arrivava quindi alla meta e la prima casa dove potersi fermare era quella di compare Giovanni. Lui, padrone di un grosso veliero, che aveva viaggiato per mare ed era approdato in porti lontani, sapeva che l’accoglienza era un valore importante da custodire. In quella casa la gente trovava ristoro: un bicchiere d’acqua, due chiacchiere e una sedia dove riposarsi un po’ e potersi cambiare le scarpe.

Tutto si svolgeva secondo l’antico rito dell’ospitalità, secondo l’antica xenia dei greci che di queste sponde ne conoscevano le genti e le risorse. Secondo il rispetto reciproco tra ospitante e ospite. Chi arrivava alla casa di compare Giovanni era certo di trovare accoglienza e in cambio donava al padrone di casa e alla sua famiglia i limoni raccolti al mattino e la verdura selvatica messa insieme nella bustina durante il tragitto. Un saluto, un arrivederci e subito ci si avventurava tra le stradine, si entrava nei negozi come case dove oltre a fare compere ci si scambiava notizie sulla famiglia e il lavoro nei campi. Esaudite tutte le necessità descritte dalla lista della spesa tirata fuori dalla tasca della giacca, si andava a riprendere e indossare gli scarponi e con i sacchi pieni di roba, si tornava indietro. Il percorso era ora più faticoso, i sacchi erano pesanti e il passo diventava più lento. Il sole, ancora alto, illuminava la strada fino alla piccola polis di casette bianche sparse su quel mezzo cratere sopravvissuto all’ antica eruzione.

Qualcuno un giorno pensò di aprire un negozio di generi alimentari a Pollara: pensava di offrire un servizio più comodo. Ma fu ben presto costretto a chiudere. La gente non rinunciò mai al viaggio lungo il costone roccioso affacciato sul mare.

Chissà se qualcuno, rapito dal vento, era stato costretto ad abbandonare il suo sacco di juta per mescolarsi alle altre creature e respirare intensamente quell’aria salmastra fino a diventare esso stesso elemento e rivivere la sua esistenza diventando qualcos’altro. Un miscuglio di vento e di aria, di mare e di terra, che qualche fata leggera aveva plasmato ben bene affidandogli un nome nuovo, adatto all’insieme di principi diversi che si abbracciano e si fondono insieme.  Un po’ come la mia marmellata che non è più limoni e neanche zucchero; è “marmellata”. E’ una cosa nuova e profuma di buono e di antiche storie condite di occhi e di cuore, di fuoco e vapori, di aria e di vento, di sole e di luna.

Marzo

01 martedì Mar 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Tag

antica storia eoliana, marzo, Monte Fossa, Monte Porri

Salina

Anche per quell’anno il mese di Marzo era arrivato. Dispettoso, imprevedibile e un po’ pazzo, decise che un pastore che, a dir suo, era uno che la sapeva lunga, doveva ricevere una bella punizione. Andò quindi a trovarlo e gli chiese dove avrebbe portato le sue pecore al pascolo. L’uomo si insospettì: sicuro, pensò, vuole giocarmi un brutto tiro. Dovete sapere che il pastore viveva su un’isola formata da due montagne, come un seno di donna, e quindi era solito portare le pecore al pascolo o nei campi dell’una o nei campi dell’altra montagna. Dovete sapere ancora che le montagne erano ricche di erbe e verdure profumate di cui gli ovini erano ghiotti.

-Oggi le porterò lassù, nei campi di Monte dei Porri.-

-Bene-rispose Marzo-buon lavoro!-

Sogghignando tra sé e sé, raccolse dal cielo tutte le nuvole più nere che riuscì a trovare e le posizionò su quel monte provocando una vera tempesta .

Il pastore, che aveva capito le brutte intenzioni del mese più pazzo dell’anno, assisteva da Monte Fossa all’acquazzone che si era scatenato dall’altra parte dell’isola.

Il giorno dopo, Marzo vide il pastore e le sue pecore in ottima forma  e  si indispettì: il suo progetto era fallito, doveva riprovarci.

-Dove vai oggi, dove sei diretto? A destra o a sinistra da Guardiano del porto?-

Mostrando estrema tranquillità, il pastore rispose che sarebbe andato a sinistra, verso Monte Fossa e, tradendo le aspettative del suo interlocutore, si diresse a destra, verso Monte Porri. Lampi, tuoni, acqua investirono quel giorno Monte Fossa lasciando indenni i campi dell’altra montagna.

Marzo era proprio furioso. Aspettò che arrivasse Aprile e si fece prestare un giorno. Raccolse tutte le nuvole più nere e gonfie di pioggia e le scaraventò su entrambi i monti e per due giorni l’isola fu tormentata da un terribile temporale.

Unu nn’haiu

E

Unu minni fazzu pristari

Di fratima Aprili

E

Tutti i pecuri

Ti fazzu muriri*

*Uno ne ho(giorno) e uno me ne faccio prestare da mio fratello Aprile e tutte le pecore ti faccio morire

Marzo andò via soddisfatto, pensando di avere arrecato un gran danno al pastore. Ma l’uomo, saggiamente, aveva tenuto il suo gregge al riparo e aspettò pazientemente l’arrivo di Aprile.

Daniele Nardi e la parola “inutile”

25 venerdì Feb 2022

Posted by paolina campo in Eolie, Salina

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Daniele Nardi, incontri, ricordo, Salina

https://amareilmare.wordpress.com/2019/03/12/daniele-nardi-e-la-parola-inutile/

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