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Milazzo

A Milazzo c’è un bel porto dalla parte dei pescatori, di qua. Loro si mollavano da là e se ne venivano qua, co i vuzzarieddi a remi” Macrina Marilena Maffai, DONNE DI MARE, Pungitopo editrice, 2013, pag. 149

GELSOMINI

Un’antica leggenda araba narra che la madre di tutte le stelle, che viveva in un castello di nuvole belle, cuciva vestiti dorati per tutte le sue figlie sparse nel firmamento. Alcune piccole stelle, non contente dei vestiti che avevano ricevuto, iniziarono a ribellarsi e a  chiedere con insistenza alla madre che cucisse per loro altri vestiti.

-Abbiate pazienza, ci sono anche le vostre sorelle che aspettano nuovi vestiti.-

Ma le stelline continuavano a lamentarsi e a portare scompiglio tra le stanze del castello fatto di nuvole belle. Il signore del cielo si arrabbiò così tanto che punì severamente le stelline: le spogliò dei loro vestiti dorati e le

lanciò sulla Terra. La madre, disperata, chiese aiuto alla Signora dei giardini: le sue stelline erano capricciose ma non meritavano di essere calpestate dagli uomini. La signora dei giardini le trasformò, allora, in piccoli fiori profumatissimi li chiamò Jasminum, gelsomini. Da allora le piccole stelle profumano il mondo  nelle belle notti d’estate.

Il peschereccio Maruzza aveva attraversato lo stretto di Messina e Mimmo si sentiva attraversato dalla magia dei grandi viaggiatori. Le acque del Tirreno erano calme e brillavano di migliaia di stelline. Sembrava che avessero lasciato il cielo della notte, per farsi cullare dal movimento lento del mare. L’aria tersa svelava all’orizzonte l’immagine di isole sparpagliate ma vicine, come sorelle che avevano tante cose da dirsi e non potevano allontanarsi troppo l’una dall’altra.

-Guarda Mimmo, le isole Eolie. Sono sette e sono circondate da un mare ricco di pesci che vivono e si riproducono tra gli anfratti di antiche secche.-

Il mare era calmo, splendente, di un azzurro surreale, come se ad un pittore fosse scivolato dal cielo un enorme secchio di quel colore e avesse poi avesse spennellato qua e là.

-Questo mare è generoso, da’ soddisfazione. Sai Mimmo, c’è qualcosa in queste acque, tra quelle isole, che fa girare la testa, che attrae come una calamita.-

Mentre parlava, la sua voce si perdeva tra i primi soffi di un dio che lì abitava e si divertiva, di tanto in tanto, ad aprire uno dei suoi otri pieni di vento.

-Stanno per arrivare delle giornate di mare grosso. Soffierà un forte vento di maestrale e rimarremo fermi per un po’.-

Padron Vicè guidò la sua barca fin oltre la lingua di terra di Capo Milazzo ed entrò nel porto di quella cittadina, che li avrebbe ospitati fino a quando era possibile uscire per mare. Arrivati nell’abbraccio di acqua e terra che era il porticciolo dei pescatori di Milazzo, il tempo venne scandito dalle operazioni di ormeggio. Lenta, attenta, sicura avanzava Maruzza, mentre dal molo gli ormeggiatori erano pronti ad afferrare le cime che Mimmo e Luigi lanciavano con forza dal peschereccio. Le corde raggiungevano le mani grandi, callose, profumate di mare e di sole, e venivano assicurate alle bitte rosse di ruggine, ferme come antichi soldati di vedetta su quel porto assolato. Don Vicè e il suo equipaggio potevano scendere. La giornata si era avviata  a percorrere le ore del pomeriggio e il sole era alto, caldo e tutto intorno brillava di una luce accecante. Gabbiani e cormorani volavano a pelo d’acqua, contendendosi i pesci che numerosi nuotavano avanti e indietro come in una passeggiata su un corso cittadino.

-Buongiorno compare Vicè! Dovete stare fermi per qualche giorno, lo sapete vero?-

-Salutamu![i]Sì, lo so! Approfittiamo per stare un poco coi nostri amici di qua- e fece l’occhiolino al compare, che ricambiò con un sorriso di assenso.

-Andiamo! Vi posso offrire un caffè?-

-Amunì[ii]! Ci vuole un buon caffè.-

Si avviarono verso un antico bar che accoglieva pescatori, contadini e viaggiatori. Durante il tragitto, don Vicè e il suo compare alternavano risate a chiacchierate sullo stato delle reti da pesca e delle nasse; Luigi e Rosetta stavano vicini intrecciando un silenzioso scambio di promesse; Mimmo, inebriato da quella luce, dalla libertà che sentiva respirargli attorno, volgeva lo sguardo ora all’immensa distesa d’acqua di fronte al porto, ora alle barche tirate a secco, ora ai gabbiani.  Giunsero al locale abitato da voci, parole e risa. Da un locale attiguo arrivava il fracasso allegro di alcuni giocatori di biliardino e tra la gente seduta al banco in attesa di un caffè, Mimmo fu attirato dalla chioma familiare di un uomo seduto di spalle. Il suo recente passato era andato a trovarlo.

-Signor Franco, che ci fa qui?-

-Mimmuzzu! Tu? Maronna Santa! Sembri un uomo. Dove l’hai lasciato il ragazzo che stava a Cibali?-

Francu u rizzu abbracciò il suo giovane amico e gli fece mille domande.

-Che stai bene si vede, e che sei contento pure! Vieni qua fatti vedere.-

Il signor Franco volle sapere ogni cosa: come era arrivato a Milazzo e se aveva trovato persone rispettose.

-E lei, che ci fa qua? Le sue biciclette sono in attesa?-

-Sì, sì, loro possono aspettare. Sono qui per incontrare un amico. Devo consegnargli un pezzo per riparare una bicicletta a Lipari. Il tempo di spiegargli due cose e parto di nuovo. Spero di prendere il corriere delle otto, stasera.-

-Lei è un maestro. Come sta mia madre? Le mie sorelle?-

Il vecchio amico gli raccontò di Cettina che aveva fatto la fuitina con Salvatore, di Nunzia che era partita per Palermo con la zia. Poi gli disse di sua madre che era rimasta sola con il marito, -tuo padre Mimmo-, che continuava a lavorare e faceva una vita ritirata.

-Fammi sapere tutto di te, scrivimi. Lo sai che ti voglio bene.-

Mimmo lo guardò e si commosse. Lo abbracciò e gli promise che non avrebbe mai interrotto quel legame con Cibali, lo avrebbe curato grazie all’affetto di quell’uomo che in piazza Bonadies riparava biciclette. Si lasciarono. Il ragazzo seguì con lo sguardo la chioma riccia del signor Franco, fino a quando si salutarono con un gesto lontano della mano.

-Luigi, Rosetta, Mimmo! Venite qua, la signora Rosina vi vuole conoscere.-

Su una poltroncina vicino alla cassa del bar, stava seduta una signora con uno scialle sulle spalle e un sorriso dolce e profumato di gentilezza.

-Scusate se non mi alzo. Ho tanto dolore ai piedi e la mia schiena non mi regge più.-

Abbracciò uno a uno quei ragazzi, accarezzandoli come se li avesse cresciuti lei.

-Che siete belli! Ditemi, siete mai stati a Milazzo? Ora chiamo mia nipote. Vi farà fare un giro nella nostra cittadina. Tempo ne avete! Il vento inizierà a soffiare forte e il mare si agiterà.-

Sorrideva e intanto teneva strette le mani di Mimmo e Rosetta.

-Marcella! Marcella, vieni qua!-

-Eccomi, nonna. Che c’è?-

-Vieni! Questi ragazzi sono Mimmo, Rosetta e Luigi. Sono arrivati col peschereccio di don Vicè, il pescatore catanese.-

Marcella offrì loro un sorriso raggiante e li abbracciò con un affetto antico e genuino.

-Sapete, Marcella è una gelsominaia come la sua mamma e come lo sono stata io.-

-Domani ho il giorno libero, se volete possiamo andare alla spiaggia di levante a fare un bel bagno prima che il mare si fa grosso. Io vado presto, mi piace vedere sorgere il sole. Che ne dite?-

I ragazzi accolsero la proposta con entusiasmo e si accordarono per vedersi il giorno dopo all’alba.

-Dormirete qui, ho delle stanze libere. Marcella, pensi tu a sistemare i nostri amici?- 

-Certo, venite.-

Si avviarono per le scale che portava al piano di sopra e Mimmo si avvicinò alla sua nuova amica, preso da tanta curiosità.

-Che vuol dire che sei una gelsominaia?-

-Vuol dire che raccolgo gelsomini. Qui a Milazzo ci sono enormi distese di campi di gelsomini. Sembrano stelle cadute dal cielo. Puoi venire con me qualche volta.-

La ragazza mostrò le camere ai suoi ospiti e li salutò. Non li avrebbe visti a cena, ma fissò con loro l’appuntamento per il giorno dopo.

Trascorsa la notte, i ragazzi si trovarono al bar dove già qualcuno sorseggiava un caffè bollente. Si avviarono verso la spiaggia di Levante che ancora doveva sorgere il sole. Appena arrivati, si sedettero uno accanto all’altro e aspettarono l’arrivo dell’Aurora. Il mare aveva intonato una musica di onde fragorose che arrivavano sulla spiaggia lambendone un lungo tratto. Luigi e Rosetta ne approfittarono per passeggiare mano nella mano lungo la battigia e Mimmo rimase accovacciato sulla spiaggia accanto a Marcella.

-Mi piace tanto quando il mare ha queste belle onde  alte. Vuoi provare a nuotarci dentro? In questo tratto di costa si può stare tranquilli, non c’è pericolo di sbattere contro qualche scoglio.-

Gli sorrise e con gli occhi brillanti di gioia, lo invitò a entrare in acqua.

-Ma che c’è? Ti scanti[iii]? Dai, vieni!-

Marcella aspettò un’onda più alta.

-Questa è bellissima!-

Vi si tuffò dentro e Mimmo non la vide per qualche secondo. Riemerse, scivolando leggera sulla battigia, come fosse anche lei un’onda del mare.

-Vedi! L’onda mi ha accompagnata. Ora ne scegliamo un’altra insieme.-

Avanzarono nell’acqua, e quando si trovarono immersi  fino alle ginocchia, aspettarono un’onda bella, pronta a giocare con loro.

-Sei pronto? Via, dentro di testa!-

Entrarono in quell’energia scoppiettante con gli occhi ben aperti perché tutti i sensi partecipassero di quel turbinio vitale. Entrarono di testa e si fecero travolgere dall’acqua, da un’ebbrezza salata e affascinante di un mondo sconosciuto e accattivante, felici di danzare leggeri tra bolle e liquide carezze, mentre tutto si diluiva nella schiuma bianca del mare.


[i] Vi saluto

[ii] Andiamo

[iii] Hai paura?