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Castello Ursino, Catania

La notte è il dì che si trasforma. Si spoglia degli abiti della veglia, mette in pausa le nostre relazioni con il mondo e pone una distanza tra ciò che è fuori di noi e ciò che si prepara a muoversi dentro di noi.

A volte, il cammino tra i sentieri del sonno diventa impervio e invano Morfeo tende  il suo mazzo di fragili papaveri. Nel buio della notte si avvicendano  immagini confuse, si ascoltano pensieri che sfuggono ai lacci della logica comune e la mente  corre attraverso spazi sconosciuti, terre incolte, strade lunghe, braccia tese verso ciò che non esiste più.  

Era d’estate e la luna già alta nel cielo vegliava sui sogni più belli e catturava le ansie di sonni ribelli di chi si scoraggia, di chi cerca di sfuggire ai fantasmi che di giorno hanno lanciato parole come frecce a far sanguinare il cuore. In quella notte calda, qualcuno immaginava che forse dovremmo tutti avere un bel cavallo alato e volare lì, su quella terra candida, dove tra laghi polverosi e montagne silenziose era nascosto tutto quello che gli uomini, razza stupida e ingrata, avevano perso mentre erano intenti a  ordire guai e cattivi affari. Qualcuno, in quella notte afosa, raggiunse la luna volando su un pensiero che si era nascosto all’interno di una nuvola.

Vagò per le montagne, scrutò tra i sassi e vide in ogni angolo vasi chiusi da grosse pietre. Su ogni pietra vi era scritto qualcosa: coerenza, gratitudine, vero amore, gioia, serenità. Sopra un vaso c’era una pietra più grande delle altre su cui era scritto PACE. Continuò il suo cammino e arrivò a un casotto da cui uscivano voci e fuoco da un piccolo comignolo. Un uomo e una donna, seduti davanti ad un camino, aspettavano pazienti l’arrivo di qualcuno che quella notte buia giunse. Ma quando ne fu vicino, il casotto si dissolse in cenere lunare e in quella terra tanto bella quanto desolata, non si vide più nulla che potesse tornare indietro, se non la forza di ripensare a mondo tutto da ricostruire sulle orme del ricordo di ciò che si era perso.