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~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Poi piovve su l’alta fantasia…

20 venerdì Ott 2017

Posted by paolina campo in mare, silenzio

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Dante, Efesto, fantasia, mare, sogno, tramonto

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Navigarono tutto il giorno con il sole che muoveva come marionette le loro ombre sulla chiglia, a poppa e a prua e scandiva il tempo di quella  estenuante traversata. Navigavano con il cuore pieno di speranza e con il corpo carico di stanchezza. Al tramonto l’orizzonte marcò forte la sua presenza e segnò con determinazione il confine tra il mare e il cielo. Il guscio di legno su cui si erano imbarcati sembrava stesse per essere inghiottito dal silenzio dei colori che parlavano di fate e spiriti maligni.

-Tieni questa coperta. Adesso comincia a fare freddo-

La voce di suo padre, uscita dal silenzio, gli arrivò nitida per poi dileguarsi tra le fitte maglie di quell’intreccio magico di colori e aria tutto intorno.

Si avvolse nella coperta e fissò il suo sguardo lontano fino a che le palpebre si chiusero, la testa si accoccolò su una spalla e il corpo si piegò per trovare rifugio e riposo sulla chiglia del guscio di legno. Dormiva. O almeno credeva che stesse dormendo, perché si vide seduto sull’orizzonte con le gambe penzoloni verso uno spazio occupato da un bagliore di fuoco che, sembrava, avesse sciolto ogni cosa per levigare e addolcire gli angoli spigolosi del giorno passato e consegnare rinnovata bellezza.

Detto così, la lasciò dove stava e tornò ai suoi mantici:

li rivolse al fuoco e comandò loro di agire.

I mantici, venti in tutto, soffiavano sopra i crogioli,

mandando ogni tipo di refolo, che attizzasse il fuoco,

che allorché s’affrettava spirasse, altra volta smettesse,

come Efesto voleva, concluso il lavoro.¹

Sentì di provare un’ incredibile vertigine e, alzando lo sguardo, vide che le stelle si facevano sempre più prossime e la luna gli porgeva il candido lenzuolo dei sogni. Sollevò una mano e toccò le pareti infinite del cielo. Poi, cominciarono a piovere immagini, emozioni, storie, sorrisi e pianti e si vide muovere dentro ogni goccia mentre ancora restava seduto.

O imaginativa, che ne rube

tal volta sì di fuor, ch’uom non s’accorge

perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se il senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa

per sé o per voler che giù lo scorge.²

Poi piovve dentro a l’alta fantasia³ e fissò lo sguardo dentro una goccia, o forse era una stella, e sentì risa di bambini e giochi tra le onde, schizzi di acqua e un odore di dolci ripieni di mandorle appena raccolte. E poi c’era sua madre che volava lontana e suo padre che stanco aspettava un sorriso e costruiva per sé delle ali per poterla raggiungere.

-Svegliati! Siamo arrivati. Dormiremo qui stanotte. Domani ripartiamo.-

Da una goccia di pioggia della sua fantasia si staccò la voce del padre. Lasciò  allora l’orizzonte e tornò sul suo gozzo.

 

 

 

¹Omero, Iliade, Libro XVIII, 468-473

²Dante, Divina Commedia, Purgatorio XVII, 13-18

³Ibid, 25

 

 

Raggio di sole

26 sabato Ago 2017

Posted by paolina campo in Salina

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belvedere, Salina, tramonto

E poi succede che solo un desiderio ti invade la mente: farsi attraversare dalla bellezza del mondo.

Afterglow

17 sabato Giu 2017

Posted by paolina campo in pensieri

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Borges, sogno, tramonto

Sempre è  commovente il tramonto

Per indigente e sgargiante che sia,

Ma più  commovente  ancora

È  quel brillio disperato e finale

Che arruginisce la pianura

Quando il sole ultimo si è  sprofondato.

Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,

Quella allucinazione che impone allo spazio

L’unanime paura dell’ombra

E che cessa di colpo

Quando notiamo la sua falsità,

Come cessano i sogni

Quando sappiamo di sognare.

Jorge Luis Borges 

do-re

23 martedì Mag 2017

Posted by paolina campo in ricordi, Salina

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nostalgia, tramonto, tristezza

Il giorno era trascorso e le campane della chiesa di San Lorenzo annunciavano il vespro. Lucine gialle si accendevano qua e là sulla terra ormai scura che preannunciava la notte, mentre il blu del cielo ne marcava i contorni e il sole distribuiva i colori del sogno.

Do-re. E’ lì, lo vedo! Un ragazzo magro, labbra carnose, occhi vivaci ma tristi, un’auto, un piroscafo, il mare e una giovane donna innamorata, spigliata, tacchi a spillo, e ancora il mare, l’isola, la sua solitudine, il suo amore pazzo per quel ragazzo magro e le labbra carnose.

Do-re. Lo sento! E’ l’odore di glicine in fiore e lì, su quella nota, vedo bambini che giocano e si incontrano in chiesa.

A FINE GIORNATA

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Festa del cappero

24 venerdì Giu 2016

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capperi, festa, tramonto

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Il sole, ormai volto al tramonto

dipingeva il cielo di caldi colori,

che il mare accoglieva

mischiandoli a pennellate d’azzurro.

Le nuvole si specchiavano orgogliose

in quella vasta distesa di acqua,

segnando delle zone più chiare,

come specchi di luce,

come laghi di un mondo fatato.

All’orizzonte Filicudi assisteva serena

allo spettacolo dei mille colori

che l’avvolgevano in quell’ora

che aspettava la sera.

Salina era un brulicare di gente operosa

che, nell’esplosione di un verde invitante,

rendeva omaggio ad un frutto

che è vanto di un lavoro pesante e costante,

che impegna le donne nei campi

e ha bisogno delle braccia forti degli uomini.

Il cappero aveva in serbo per loro una festa,

nel fiore che sbocciava d’incanto,

e nei suoi piccoli stami rivelava

una bellezza fino ad allora nascosta.

Un gioco di tenui colori

ricopriva la pianta spinosa,

così come mille faville

invadevano il cielo di una sera festosa.

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foto (62)

Pubblicato da paolina campo | Filed under Salina

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Un raggio di luce

21 giovedì Apr 2016

Posted by paolina campo in libri, Salina

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mare, Salina, tramonto

sol

Quella mattina Assunta percorreva distrattamente la stradina che la portava al cappereto, quando incontrò il pittore, compare Virgilio.

Compare Virgilio non era anziano! Per carità… era anzi un bel giovanotto! Aveva però qualcosa di diverso dagli altri ragazzi, qualcosa che richiedeva un certo rispetto: i suoi modi eleganti, il suo accento acculturato, l’abbigliamento… Sembrava fosse d’obbligo il vossia.

Assunta riprese il suo percorso con più leggerezza: quell’incontro le aveva fatto cominciare proprio bene la giornata, aveva spazzato via ogni segno di malumore che si nascondeva da qualche parte del cuore. Arrivò al cappereto e già le altre ragazze avevano iniziato la raccolta. Anche Vincenzo era lì e appena la vide le corse incontro.

-Ho incontrato il pittore, mi ha detto di andarlo a trovare domani. Vuoi venire con me?-

-Certo che vengo! Però oggi andiamo insieme a Pollara. Anche io ho un appuntamento.-

-Con chi?-

Il cuore le cominciò a battere forte. Che tipo di appuntamento era?

Si incontrarono nel tardo pomeriggio al bivio di Pollara e insieme proseguirono a piedi, attraversando la montagna dei Porri dove rocce porose si alternavano a grosse lastre di pietra scura, raccontando del fuoco di una grande eruzione e di un cratere che per metà era scivolato nelle acque del Mediterraneo.

Scesero giù, verso il mare saltando da una roccia a un’altra, da una pianta di cappero a piante selvatiche profumate. La luna, alta nel cielo, era già arrivata all’appuntamento, e, vestita d’azzurro, attendeva paziente di diventare la regina del cielo. Assunta e Vincenzo raggiunsero la spiaggia dai ciottoli caldi che faceva da frangia a un’alta falesia battuta dal mare. Arrivarono in tempo, e si accovacciarono l’uno vicino all’altra a guardare quel sole dapprima giallo che si faceva sempre più rosso, mentre delle nubi curiose gli andavano incontro, segnando delle ombre blu scuro sulla superficie marina. Il silenzio s’impose all’improvviso in quella baia luminosa. Silenzio!

Silenzio! Parla la luce. Il blu insisteva nel cielo, mentre il giallo, ancora ammaliato dalle lusinghe del giorno, incontrava le nubi e le colorava d’arancio e di rosa. Il rosso intervenne a placare i colori, e il cielo, grande volta del mondo, fu dipinto descrivendo i tumulti dell’anima.

-Quale maestro può essere più bravo di Gesù che ci ha regalato così tanto. Mi sento scoppiare il cuore! Tutto questo non ci entra dentro il mio piccolo petto.-

Vincenzo l’abbracciò forte a sé e un raggio di luce li avvolse.

-Io voglio andare via. Voglio trovare un posto dove il sole tramonta da una parte e sorge da un’altra quasi contemporaneamente. Deve esserci da qualche parte un posto così, dove il giro che il sole deve fare è più corto e la vita non ha più tempo…-

            Lo spettacolo del tramonto si concluse e i due giovani tornarono a casa, pensierosi, sconvolti da tanta bellezza. Assunta trascorse la notte pensando a un giorno senza la notte. E la luna, le stelle, il sonno, i sogni… dove andavano a finire?

C’era nel desiderio di Vincenzo qualcosa di folle, difficile da pensare. Un posto dove il sole sorge e tramonta contemporaneamente! Come morire e rinascere nello stesso momento, senza mai conoscere altro che il trascorrere del tempo da vivi, da svegli; senza mai scoprire cosa c’è dopo; senza mai guardarsi protagonisti di una fantasia notturna. Vegliare sempre, senza la gioia di chiudere gli occhi per abbandonarsi al sonno. Senza la gioia della speranza che ti regala un bel sogno. No, non era possibile! Pensò che Vincenzo stesse delirando e immaginò di vederlo appeso a un raggio di luce arancione mentre si faceva trasportare lontano dove i colori del tramonto si mischiavano per poi scomparire con loro in un grande bagliore di luce bianchissima. Si addormentò. Si risvegliò la mattina dopo, sulle note dell’orologio della chiesa e si preparò per andare a trovare compare pittore.

∗Paolina Campo, A fine giornata, A&B, Acireale, 2015, pag. 25

 

 

 

 

Io e Cartesio

10 domenica Gen 2016

Posted by paolina campo in pensieri

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alba, Cartesio, mare, res cogitans, res extensa, sole, tramonto

moloMi alzo al mattino…, anzi no! Mi corico la sera programmando quello che ho da fare il mattino seguente: prendere la compressa, guardare oltre i vetri delle finestre l’Etna da una parte e il mare dalla parte opposta e, senza farmi troppo attraversare dai colori che il sole diffonde da est a ovest, prendere il caffè, mettere in moto la lavatrice, uscire per la spesa, andare alla posta e poi dal dentista, tornare a casa, cucinare. Arriva quindi il mattino, bisogna cominciare: mentre la lavatrice lava, riordino la camera da letto dopo avere provveduto a mettere gli auricolari per ascoltare la lettura dei giornali alla radio. Non posso fermarmi. Le mie mani hanno tanto da fare, le mie gambe mi portano in giro per la casa. Seguo in sequenza tutte le azioni che ho programmato la sera prima in una sorta di scaletta per cui ad ogni azione ne segue un’altra perché tutto sia in ordine e nulla venga trascurato. Mi trovo così a ragionare secondo uno schema di numerazione discreta, come direbbe un professore di filosofia appassionato di numeri, o secondo quell’arihtmòs aristotelico per cui il tempo, il mio tempo in casa, risulta essere davvero il movimento secondo il prima e il dopo.

“O Dio, potrei restar confinato pur in un guscio di noce, e credermi il re di uno spazio infinito!” (William Shakespeare, Amleto, FABBRI EDITORI, 2002, pag.115)

Certo, Amleto aveva le sue buone ragioni per desiderare di restare chiuso in un guscio di noce e avere l’illusione di essere il re dell’infinito!

Illusione. Faccio questo, faccio quello. E poi vado qua, e poi ancora vado là come una macchina, perché la mia mente è altrove. E’ lì, appesa all’ultima pagina che ho letto, protesa verso quella che vorrei scrivere, aperta al ricordo del mare, del sole. Ecco, mio caro Cartesio, sembro completamente sdoppiata, sembro la prova vivente, molto casalinga, della tua res extensa e di una res cogitans molto confusa. Devo fare presto: ho fretta, ho fretta assai, direbbe il coniglietto di Alice nel paese delle meraviglie. Ho un appuntamento all’alba e al tramonto con il sole e poi devo mettere in ordine nella mia mente le emozioni che ho provato e pensare a come mi piacerebbe descriverle. Ehi, ti raccomando mente, non dimenticare! Non dimenticare quell’attimo in cui oltre i vetri delle finestre di casa ho visto il sole dipingere il cielo, mentre il vento modellava le nuvole che libere e vivaci sembravano unirsi in un un girotondo, abbracciando i pendii della Montagna o sollevandosi in alto a formare dei vortici di soffice aria colorata. E intanto sul blu del mattino ogni cosa cominciava a tracciare ancora una volta i suoi contorni. Non dimenticare il mare e tutte le volte che ne ho avvertito la freschezza attraverso il suo odore, ne seguivo la danza, ne assaporavo il gusto salmastro e leggevo tra le onde la rabbia, la dolcezza, la superba tenacia. Così, caro Renè Descartes, se anche i miei sogni e i miei sensi dovessero ingannarmi, è certo che accendono

“uno di quei fuochi senza luce…che il fieno accende se lo ripone prima che sia secco e che fanno ribollire il vino novello, se lo si lascia fermentare insieme alla vinaccia.” (Cartesio, Discorso sul metodo, BARBERAEDITORE, 2011, pag.67)

  

                                                                                  

                           

                           

                                                               

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