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sefossionda

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: tradizioni

Il respiro di un luogo

13 mercoledì Dic 2017

Posted by paolina campo in Salina

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Tag

articolo, riveduto e corretto, Salina, storia, tradizioni

Di un luogo se ne può sempre sentire il respiro, anche se si è lontani, soprattutto se quel respiro ti è entrato dentro e circola costantemente e per sempre nei tuoi pensieri. Di un luogo puoi ascoltare tante voci quante ne sei capace di trovare, aprendo le porte della sua storia.

Si apre una porta. Ci sono dei bambini, giocano a iadduzzu, a galletto.

Spinni tu e spinnu iò

E’ già Natale e la magia di cristalli di zucchero attaccati ai grappoli di uva passa, fa scintillare gli occhi dei bambini. A settembre gli uomini avevano provveduto al lavaggio con acqua di mare di cannizzi, cuofini e botti. Avevano portato tutto giù al molo e alzando su le maniche delle camicie e i gambali dei pantaloni, erano entrati anche loro in acqua. C’era stata la vendemmia e poi la pigiatura dell’uva da vino, e la paziente operazione di essiccamento dell’uva malvasia stesa al sole sui cannizzi. Una volta raccolta tutta l’uva, la signora Elena aveva riempito d’acqua una grande quadara, un grande pentolone di alluminio, per preparare la liscia, una sorta di sciroppo dove al posto dello zucchero si faceva sciogliere nell’acqua la cenere di tralci di uva che la signora era solita fare bollire per 36 ore. Trascorso quel lungo bollore, si era munita di una grossa schiumarola dal manico lungo e, sistemati nell’utensile i grappoli di minnilottina, uva prelibata, li aveva immersi nella liscia bollente. Quando i chicchi dell’uva cominciavano ad aprirsi, comare Elena aveva tirato fuori i grappoli che con delicatezza dovevano essere sistemati sui cannizzi. Bisognava rigirali tante volte nel corso dei giorni che servivano perché tutti i chicchi fossero raggiunti dal sole e diventassero scuri. Poi erano pronti per essere conservati in un panno di cotone bianco come la neve e riposti nella credenza fino a Natale. Questo periodo di incubazione avrebbe creato la magia degli zuccherini.

Spinni tu e spinnu iò

e chi spenna l’ultimo chicco di uva brillante di zucchero, paga il pegno.

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Lì, un faro sta di sentinella a un laghetto dove si produceva il sale che un tempo portò tanta ricchezza ai mercanti dell’isola di Salina. Si apre ancora una porta. C’é festa, la gente è allegra e sventola una bandiera. E’ il primo di maggio del 1918. Autorità civili e militari insieme ai cittadini della piccola ma popolata frazione di Lingua, inaugurano l’Ufficio Postale, voluto dal Cav. Giovanni A. Giuffre’. Rosina Lo Schiavo sarà la direttrice e le succederà Ersilia Grazia Dydime, figlia del notaio Domenico Giuffre’, primo sindaco di Santa Marina. Dydime, gemella. Didyme, altro nome di Salina che mostra due monti gemelli come il seno prosperoso di una donna che guarda la sorella Filicudi che, distesa su un letto azzurro, dialoga con il sole che alla sera le si avvicina sfolgorante di luce e colori.  Gli racconta la storia infinita di una madre in attesa del figlio che dentro di lei forgia la sua vita.  E poi, Lipari, come una vecchia signora, una nonna di un tempo, una zia come quelle che una volta esistevano, guarda tutte le sorelle che indaffarate si prendono cura del tempo di quello splendido specchio di acqua.

foto-storica-lingua

A Salina c’è festa. Lo zio Bartuluzzo, quel signore con la bandiera in mano, è vedovo da tre anni e ha quattro bambini accuditi dalla zia Rosina, che fa da mamma a tutti. Quel bimbo vestito di nero è Nino, Nino Lo Schiavo, che da grande sarà direttore del periodico Avvenire Eoliano, dal 1927 al 1929, e più tardi riavvierà il commercio della malvasia, dopo il disastro della fillossera. Dietro di lui, Ersilia Grazia Dydime Giuffre’, fiera, come Dydime, come Salina.

 

 

 

Ringrazio Antonio Alizzi e il professore Angelo Cervellera per la loro disponibiltà.

La grattatella

12 martedì Gen 2016

Posted by paolina campo in Sicilia

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bellezza, canzone antica, tradizioni, valori

Nei mesi estivi per le vie di Palermo, fino al secondo dopoguerra, si aggirava di solito la “carrettella” di certi venditori ambulanti che vendevano la “grattatella”, (tutto in “ella”). Questa consisteva in ghiaccio grattato su un arnese a più punte e aromatizzato con essenza di limone o menta. Il ghiaccio arrivava dalle montagne delle Madonie, avvolto in sacchi di juta trasportati dai montanari sul dorso di asini e depositati in alcuni magazzini siti in città, uno di questi si trovava nel quartiere della Kalsa, nei locali della Chiesa dello Spasimo. Quando si cominciò a produrre gelato artigianale, il ghiaccio veniva sistemato in delle tinozze di legno piene di sale per mantenere bassa la temperatura. All’interno delle tinozze veniva immerso un recipiente di acciaio dove si mescolavano latte, zucchero e “neutro”, uno stabilizzante ricavato dalla farina di semi di carruba. Si produceva così un ottimo gelato crema-latte, alternativa alla “grattatella.

Ma eccolo, un giovane montanaro che in città s’era innamorato di una bella ragazza. Il desiderio di rivederla faceva aumentare il passo al suo povero asinello, costretto da quella furia d’amore a faticose traversate, su e giù per la montagna.

Bella, era bella quella giovane. Bella e avvenente.

Il montanaro si accorse presto, però, che la sua innamorata aveva tradito la sua fiducia e quella bellezza nascondeva una vanità che calpestava il suo giovane cuore.

Mi fici zitu cu ‘na picciutteddra

Ca sta di casa ancora na sta strata

Ma non vi pozzu riri quantu è beddra

Li so biddrizzi l’avi r’una fata.

Avi dri capidduzzi aneddri aneddri

Occhi ri stiddri e vuci aggrazziata

Sutta a ddru labbru teni na fussetta

Ri l’ancilu pusseri ‘a so risata.

Nun vi pozzu raccuntari

Quantu amuri m’ha mustratu

Iu sirutu a lu so latu

M’haiu ‘ntisu un veru re.

A me zita è cosa rara

Picciutteddra virtiusa

Tutta affabili e amurusa

Comu a iddra nun ci n’è.

Assira n’amicuzzu paisanu

Mi misi na stu pettu na ruina

Mi misi a raccuntari chianu chianu

Li veru pregi ri ddra signurina.

Quannu a la sira ni rettimu la manu

E ni lassamu pi ddra siritina

Iddra curri a la finestra a manu a manu

E licca ri la sira a la matina.

Cuncitteddra ni lassamu

Iu non sugnu cchiù u to zitu

Ora prestu mi maritu

N’atra zita pronta è.

A chi vannu ‘i to’ biddrizzi

A chi va la to’ fiura

Si na tinta liccatura

Comu a tia non ci n’è.

(Mi sono fidanzato con una ragazza, che abita in questa strada. Non vi posso dire quanto è bella, le sue bellezze sono di una fata. Ha i suoi capelli anelli, anelli, occhi di stelle e voce aggraziata. Sotto il labbro ha una fossetta e la sua risata è simile a quella diun angelo. Non vi posso raccontare quanto amore mi ha mostrato. Io, seduto al suo fianco, mi sono sentito un vero re. La mia fidanzata è cosa rara: ragazza virtuosa, affabile e amorosa. Come lei non ce n’è. Ieri sera, un amico paesano, mi ha messo in questo petto una spina, ha cominciato a raccontare, piano piano, i veri pregi di quella signorina. Quando la sera ci salutiamo, lei corre alla finestra e fa la civetta dalla sera alla mattina. Concettina, ci lasciamo. Io non sono più il tuo fidanzato. Presto mi sposo con un’altra fidanzata. Cosa valgono le tue bellezze, cosa vale la tua figura. Sei una cattiva civetta, come te non ce n’è.)

  mi fici

Mia madre cantava e la canzone dell’innamorato siciliano si tramandava in una Palermo affollata di voci, sapori e forti tradizioni.

Cavuru, cavuru è!!(Caldo, caldo è!!) e per le vie scivolava invitante l’odore dello sfincione.

Moffolette e Totò

02 lunedì Nov 2015

Posted by paolina campo in 2 novembre, ricordi, Sicilia

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Festa dei morti, moffolette, ossa di morto, pupaccena, racconti, Sicilia, tradizioni

Arrivava il giorno dei morti. Anzi, prima ancora, arrivava l’attesa per il giorno dei morti vestita dei racconti dei nostri genitori su fatti e persone che avevano accompagnato la loro vita e non c’erano più. La curiosità si accendeva e le distanze spaziali e temporali si accorciavano: eravamo tutti lì, noi e i nostri morti, in quell’angolo di casa a condividere un momento di profonda tenerezza.

“Sapete, durante la guerra, la nonna, buon’anima, andava a prendere il pane con la tessera e lo divideva a noi che eravamo piccoli e dovevamo crescere. Lei diceva di non avere fame e intanto, poverina, diventava sempre più secca. Però rideva e cantava sempre!”

La nonna, la madre di mia madre, “secca” lo sarebbe rimasta per sempre, anche dopo la guerra, anche quando il giorno dei morti, di buon mattino, andava dal fornaio a prendere le moffolette, panini schiacciati ricoperti da tanto sesamo, “‘u ciminu”, e calde calde le mangiava insieme a noi condite con olio, pepe e sarde salate.

“Mia madre era nata in America e da ragazza arrivò in paese, a Castelbuono, e sposò il nonno. Era maestra, conosceva bene l’inglese e l’italiano e durante la guerra scriveva le lettere per conto di chi a quei tempi era analfabeta”

Mio padre cominciava così il racconto della sua mamma, morta troppo presto e a lei dedicò un quadro votivo, dove una lucetta illuminò per sempre il volto di quella donna che in quel modo viveva sempre con noi.

Andavamo quindi a letto con l’animo addolcito da quei racconti e con le smanie di vedere cosa i morti ci avevano portato. La notte doveva allora trascorrere presto e se qualcuno si svegliava prima, doveva tornare subito a letto perché i morti non erano ancora arrivati. Quando finalmente ci potevamo alzare per raggiungere la sala da pranzo, era tutta una festa: c’erano giocattoli di ogni genere e la cosa più bella era che, insieme a qualche oggettino nuovo, erano venuti a trovarci anche tanti giocattoli vecchi, ben ripuliti e in ordine, che magari avevamo dimenticato, e la gioia era doppia.

“Guarda! Ti ricordi…” Ogni cosa si vestiva di memoria e continuava a essere importante perché, impreziosita dal ricordo, ne avevamo di nuovo cura.

In un altro angolo della stanza ci aspettava un tavolo dove frutta secca, ossa di morto (biscotti duri ma molto dolci), totò (biscotti ricoperti di glassa al cacao), qualche pupaccena (statuine di zucchero colorato) e le moffolette stuzzicavano il nostro appetito.

E poi c’era la visita al cimitero. Quando vivevamo a Salina andavamo a trovare comari e compari che non c’erano più e mettevamo dei fiori sulle tombe ormai distrutte dal tempo e abbandonate. Mia madre ci diceva che così facendo rinnovavamo la gioia di quell’anima e quella dei nostri morti seppelliti nei cimiteri lontani. Quando eravamo a Palermo facevamo la stessa cosa: dopo avere sistemato i fiori sulle tombe dei nostri cari, ci fermavamo vicino ai sepolcri abbandonati e mettevamo i fiori per quelle anime solitarie e per i compari e le comari che non potevamo andare a trovare a Malfa. Era un modo per ringraziare quelle anime che, grazie a quei doni, ricordavamo con grande tenerezza. Non erano eterei fantasmi svolazzanti, né streghe sdentate dalla risata sinistra. Erano dolci nonnine, sereni vecchietti che da una foto ci guardavano quieti.

Immagine

I miei libri

22 mercoledì Apr 2015

Tag

Catania, libri, mare, Palermo, Salina, tradizioni

era  vi  9788877283276  ZOM

 

Il grande protagonista dei miei libri è il mare. Racconta storie e diventa specchio di un cielo dai colori vivaci e cangianti, come vivaci e cangianti sono i paesaggi che mi hanno vista crescere.

In Era la mia casa, pubblicato nel 2005, racconto della mia infanzia a Salina in un intreccio di ricordi, preghiere, canzoni e poesie che fanno da sottofondo a giochi di bambini all’aria aperta. Di alcune canzoni ho fatto scrivere la musica che fa da corollario al libro.

Nel 2009 esce Vi racconto una storia. Con questo libro ho voluto sottolineare la necessità di diventare amica dei luoghi in cui vivevo, ed entrare in sintonia con Palermo prima e Catania poi, significava per me conoscere a fondo quelle città ascoltando le storie che dai vicoli, dal mare, dalla montagna, l’Etna, aspettavano di tendermi la mano. Con questo libro non sono più bambina, ma moglie e madre e faccio mio il pensiero di sant’Agostino sul tempo.

L’uomo di scalo Galera esce nel 2012. L’orizzonte diventa un filo sottile dove scorrono figure leggere che un uomo dal molo di Malfa osserva in silenzio. Faccio ancora più amicizia con Salina: chiedo, mi informo, cerco persone e fatti che hanno segnato la storia dell’isola.

Il lavoro storico ed etnoantropologico è continuato con A fine giornata, pubblicato di recente.

Ma andiamo per ordine. Presentazione libri Paolina Campo

Pubblicato da paolina campo | Filed under libri

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I miei libri

era
vi racconto
l'uomo di
A fine giornata
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