C’era una volta…
No, non si tratta di una favola antica, ma di una vita antica che scorreva tra due montagne come un fiume che attraversava una valle.
C’era una volta, quindi, il signor Fiume la cui vita scorreva, ora tranquilla ora tempestosa, in quella valle che separava due monti che ebbero in sorte di guardarsi e ammirarsi per sempre, dopo che un’eruzione vulcanica li aveva generati. Quel tratto di terra generoso e benedetto dalla Vergine, chiuso a est e a ovest dai due monti innamorati, si affacciava al mare che, a sud arrivava a lambire la costa siciliana che la sera, quando il cielo era terso, sbrilluccicava di lucine gialle, come quelle di un presepe permanente; a nord, invece, si stendeva maestoso verso l’orizzonte.
Fiume era un uomo magro, dal viso scarno e le mani forti. Coltivava con devozione le vigne della Madonna, sì, quelle poste a mo’ di mantello proprio di fronte al Santuario della Madonna del Terzito che, con il suo campanellino, per tre volte aveva richiamato l’attenzione di un monaco perché salvasse una sua effigie dalle intemperie e dalle razzie dei turchi.
Con il vento e con la pioggia, con il sole e con il freddo, Fiume era sempre lì tra i campi, dialogando con le piante, intrecciando con esse discussioni su come riuscire ad avere un buon raccolto. Camicia, calzoni pesanti e scarponi, il signor Fiume completava la sua divisa campagnola con un cappello di paglia che, all’occorrenza, serviva da cestino. Ma la sua più grande soddisfazione era la cantina: bella, pulita, profumata e accogliente. Dalle botti sgorgava vino a fiumi e malvasia, e l’odore inebriante era il sigillo del contratto che quell’uomo dal cognome liquido e sinuoso, aveva siglato con la terra della valle. Un bicchiere di vino, un sorso di malvasia, una preghiera alla Madonna e la giornata poteva considerarsi conclusa. La sera vedeva diluire i colori sgargianti del tramonto, arrivati appena a manifestarsi tra i due monti. All’imbrunire, la vita di Fiume si distendeva sull’alveo dei suoi pensieri che ancora guadavano la valle.