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~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: Salina

La Praiola

17 martedì Mag 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Monte Porri, Praiola, Salina

Salina

Quel giorno di primavera si decise di andare alla Praiola. Nonostante avessi vissuto tanti anni sull’isola, pensavo che avremmo raggiunto un campo dove crescevano spontanei rigogliosi papaveri e profumato finocchietto selvatico, come in tanti appezzamenti di terra coltivati a ortaggi o capperi. Per questa mia convinzione non mi impegnai mai a saperne di più, né, tra i miei amici o conoscenti, qualcuno mi aveva mai invitata a fare una passeggiata da quelle parti. Così, quando ricevetti l’invito, accettai volentieri, pensando sempre che sarei arrivata in un campo pieno di papaveri. Partimmo presto quel pomeriggio e iniziammo a seguire uno stretto sentiero, un percorso che si faceva largo tra antichi terrazzamenti abitati da secolari alberi di ulivo, severi nella loro arcaica maestosità, e allegre ginestre odorose la cui chioma ramificata sembrava volere accarezzare i visi di chi in quel momento popolava quella parte di montagna. La terra arida, le pietre disseminate lungo il cammino e l’idea di incontrare serpi che avrebbero sfidato l’audacia di qualunque visitatore, imponeva una certa attenzione. Quindi era necessario  fermarsi di tanto in tanto se si voleva  guardare il mare che ai piedi della montagna si mostrava così trasparente da mostrare gli scogli sott’acqua, per poi, man mano, abbandonare il verde riflesso alla riva, per diventare più blu e poi sbiadire fino a quando sembrava congiungersi con il cielo. Dopo un breve intervallo di abbandono poetico, bisognava tornare sui propri passi e godere  dell’odore delle erbe selvatiche e del brivido improvviso che attraversava la schiena quando si avvertiva un fruscio: avevamo infastidito un serpente? Arrivammo a Valle Spina e fu tutta una sorpresa. Non c’erano papaveri, ma un grande spazio aperto, una fetta di mondo, specchio di tutto ciò che la circonda, capace di generare una catena di emozioni che si espande come galassia che pulsa di vita. E la Praiola?  Un tratto di costa, alla fine di una scarpata dove la roccia si tuffava, dove la sera si poteva osservare la magia di un amore negato: dopo un rapido sguardo, il sole e la luna si dicevano addio mentre l’uno spariva sul suo cavallo dorato e l’altra  sorgeva, illuminando la costa di luce argentata.

Daniele Nardi e la parola “inutile”

25 venerdì Feb 2022

Posted by paolina campo in Eolie, Salina

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Daniele Nardi, incontri, ricordo, Salina

https://amareilmare.wordpress.com/2019/03/12/daniele-nardi-e-la-parola-inutile/

Un uomo

09 venerdì Apr 2021

Posted by paolina campo in ricordi

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Castelbuono, centrale elettrica, Madonie, mio padre, Salina

Papà ed io a Salina

Oggi mio padre avrebbe compiuto 90 anni e ne sarebbe stato orgoglioso: la vita per lui era una bellissima avventura, tutta da sperimentare, giorno dopo giorno, momento per momento, nonostante le difficoltà, gli acciacchi dell’età, le amarezze e le delusioni. Era sempre lì, pronto a combattere per guardare sempre al futuro, per progettare una vita che duri per sempre. Per realizzare questo progetto raccontava storie perché nulla mai fosse dimenticato. Sapeva che la memoria era il porto a cui approdare per poter vivere a lungo. Ripropongo oggi uno dei racconti che scrissi poco dopo la sua scomparsa: c’era un progetto nel suo paese natale, quello di ricordare le persone che si erano distinti per intelligenza e tenacia. Mi consegnò tante foto e ricordi, ma non fece in tempo a leggere quello che avevo scritto per lui.

ARRIVO’ A LUCI!

In Sicilia, nei pressi della rotabile da cui si dividono le strade per Geraci, Isnello e Castelbuono, vicino il santuario di San Guglielmo, operava una vetreria di proprietà dei Ventimiglia che, nel ‘300, erano principi  di un vasto territorio che dalle montagne delle Madonie si estendeva fino alle verdi valli che si affacciavano al mare di Cefalù. Qui, alberi di frassini, corteggiati dal vento e, secondo una leggenda contadina, amanti della musica, offrivano cannoli di manna, linfa dolce, bianca e consistente come stalattite di ghiaccio. Dell’antica vitrera, rimane ben poco: una ciminiera e parte dei muri perimetrali, quanto basta per indicare come quartiere vitrera o largo vitrera la zona dove i resti dell’ antica fabbrica raccontano ancora la loro storia.

Prima della seconda guerra mondiale, nel quartiere Vitrera il Comune di Castelbuono fece costruire una centrale elettrica. In paese arrivò quindi un grosso motore Graz[1] a tre cilindri con un volano enorme, tanto grande che fu necessario scavare il pavimento dell’edificio che avrebbe ospitato la nuova centrale elettrica. Dentro la buca fu inserito il volano[2], fornito di grosse cinghie. Il motore, dotato di altrettanti grossi pistoni e bielle, veniva azionato facendo girare le cinghie a mano mentre delle bombole caricate di aria da un compressore, soffiavano forte per avviarlo. Per sollevare i pistoni e le bielle era necessario un parangolo a catena e bisognava lubrificare spesso le cinghie per rendere più agevole l’avviamento del motore che, a quel tempo, serviva a illuminare le case solo dopo il tramonto e per poche ore. A vicinedda di mastru Iachinu u scarparu, lavorava presso un piccolo ufficio postale dove i paesani pagavano il servizio elettrico, vero miracolo per la gente che poteva usufruire ancora di un po’ di luce, artificiale, per completare le loro faccende domestiche.

Arrivò la guerra e fu vietato accendere le luci la sera, anzi bisognava barricarsi dentro le case al buio perché il paese non venisse intercettato dai ricognitori nemici. Castelbuono venne presto occupato dai tedeschi e quando, nell’estate del 1943, gli americani sbarcarono in Sicilia, i soldati germanici costrinsero quelli italiani a scavare trincee e montare mitragliatrici alle finestre e sul tetto del castello del paese madonita. Il 22 luglio di quell’anno si diffuse la notizia che un aereo tedesco era caduto nelle campagne e che da Isnello si avvicinava una colonna americana di carrarmati, percorrendo la stradale di ponente. I tedeschi fecero saltare allora dei ponti tra cui quello della Nucidda e quello della Fiumara. Proprio qui, all’indomani della fine della guerra, il signor Giovanni Mancuso, responsabile della centrale elettrica del paese, decise di recuperare un carrarmato abbandonato sotto quel ponte. La guerra aveva impoverito le casse comunali e non si potevano chiedere soldi per potenziare il motore della centrale con la costruzione di nuovi gruppi elettrici. Il motore di quel carrarmato poteva essere la soluzione alla necessità di rafforzare il motore già esistente. Un mezzo funesto, che aveva suscitato timore tra la gente, diventava la soluzione per creare un vantaggio grazie alla genialità di un uomo. Un po’ come Perseo che uccide la Medusa, mostro terribile, e porta con sé la testa che produrrà bellezza. 

Trasportato a Vitrera, venne costruito un casotto, un alloggio per ospitare il mezzo armato che non aveva motore di avviamento. Si decise di collegare un alternatore al motore del carrarmato in parallelo con il motore Graz, già esistente. L’alternatore girava, avviava i motori e, quando si arrivava alla tensione elettrica giusta, arrivava la luce in paese!

-Vinni a luci! C’è a luci!-

Gli operai facevano turni giorno e notte, a due a due, e altri si mantenevano in stato di reperibilità nel caso ci fossero stati dei problemi. La luce doveva arrivare e i paesani l’aspettavano come un vicineddu che dalla campagna bussava alla porta la sera.

Il paese poté godere quindi della luce e si poterono intensificare le luminarie durante i festeggiamenti dedicati alla madre Sant’Anna.

-Ma dove sono Natalino e gli altri? Era il loro turno in centrale oggi?-

In occasione della festa in onore della patrona, culminante nei giorni 25-26-27 luglio, i turni in centrale si intensificavano: le luminarie, le chiese avevano bisogno di tanta luce e per più tempo. Il sindaco, allora, non vedendo gli operai tra la folla, faceva preparare un fagotto con biscotti e bibite per i ragazzi della centrale elettrica di Castelbuono.

-E’ festa anche per noi che siamo qua!- e i motori continuavano a girare più forte per Madre Sant’Anna.

C’era un altro appuntamento importante che il capocentrale e i suoi operai volevano seguire, nonostante i turni di lavoro.

-Natalino, vai a Palermo. Servono dei pezzi per completare le radioline a transistor. Altrimenti come facciamo a sapere cosa succede alla Targa Florio?-

Il signor Mancuso era un appassionato della corsa automobilistica che percorreva le strade strette e tortuose delle Madonie, attraversando i  comuni di Cerda, Caltavuturo, Petralia, Geraci, Castelbuono, Isnello, Collesano, Campofelice in un circuito che vedeva frecciare le migliori auto da corsa dell’epoca. Decise quindi di montare delle radioline a transistor, lì in centrale, insieme ai suoi operai, durante le pause lavorative, per ascoltare tutti insieme i momenti più emozionanti di quella gara automobilistica che infiammava i cuori e che solo la guerra aveva fermato.

Intanto, il Comune di Castelbuono, provato dalla guerra, ebbe difficoltà a sostenere le spese per l’erogazione della luce elettrica. L’incarico della gestione della centrale fu affidato ad un ingegnere, coadiuvato da Mastru Ciccio Gliommaro e i suoi operai, tra cui il giovane Natalino, Campo Natale, mio padre. La centrale passò quindi alla SIMA, Società Idroelettrica delle Madonie, nome, come mi diceva papà, sbagliato perché la centrale di Castelbuono non era una centrale idroelettrica, ma, probabilmente, la società abbracciava un progetto di una centrale idroelettrica a Petralia Sottana. L’ingegnere lasciò presto la gestione della centrale e, verso la metà degli anni ’50, a bordo di una FIAT 1100 ESCORT, arrivava a Castelbuono un omone: alto, fiero e deciso, uno di quelli che sapeva il fatto suo. Era l’ingegnere Campagna, della Società Elettrica della Sicilia o Ente Siciliano di Elettricità, che impiantò in centrale un motore FIAT 4 cilindri con un grosso alternatore Bivona. Il nuovo motore dava tanti problemi, non riusciva a coprire le esigenze del paese e quando c’era un sovraccarico di tensione, le marmitte e il tubo di scarico si surriscaldavano a tal punto che prendevano a fuoco. Il capotecnico, pensando che questo problema poteva essere risolto con un uso ridotto della corrente elettrica, andava casa per casa a controllarne il consumo domestico. Apriti cielo! La zia Rosa, come anche altri, si infastidirono parecchio di questa nuova invasione.

-A casa mia! Mi dici quantu luci a’ cunsumari!-

(-A casa mia! Mi dice quanta luce devo consumare!-)

Fatto sta che, tra lo scontento della gente e il cattivo funzionamento del nuovo motore, l’ingegnere Campagna fece arrivare un nuovo motore più potente, un Ansaldo a 7 cilindri, della sezione Grandi Motori FIAT, e due gruppi elettrici posti fuori dall’edificio della centrale che facevano un gran rumore e scaricavano fumi fastidiosi e maleodoranti. Neanche questa sembrava la soluzione giusta.

-Pari ca c’è a guerra a centrali!-

(-Sembra che c’è la guerra in centrale-)

La gente si lamentava tanto. Si pensò quindi all’alta tensione con un trasformatore collegato a barre di rame. I motori furono spenti e quando era necessario incrementare la distribuzione di energia elettrica, si azionava un motore a gas con alternatore che si trovava presso la fabbrica della mannite[3] in via Geraci. Questa soluzione alla distribuzione della luce elettrica a Castelbuono non dovette soddisfare né la gente, né gli ingegneri impegnati nell’installazione di motori, gruppi elettrici e cavi.

Nel 1959 la centrale elettrica del quartiere Vitrera, fu chiusa e divenne cabina elettrica con trasformatore a corrente alternata.

Fu in quell’anno che l’operaio specializzato Natalino  Campo accettò di imbarcarsi per un’altra avventura: l’ingegnere Campagna gli propose l’installazione di una centrale elettrica a Salina, nelle isole Eolie, dove il suo estro, la sua passione per la “luce”  continuò a distinguersi.[4]


[1] Motore Graz- motore austriaco. Il Politecnico di Graz, accademia specializzata nel settore tecnologico-scientifico e fondata nel 1811 dall’arciduca Giovanni d’Austria, dal 1879 al 1880 ebbe come suo studente Nikola Tesla, inventore del motore a corrente alternata.

[2] Volano- organo meccanico che serve a regolare il moto rotatorio dell’albero motore.

[3] Mannite- zucchero, monosaccaride derivato dalla lavorazione della manna.

[4] Per saperne di più:

www.castelbuonolive.com

www.salvarepalermo.it/per/archivio/per-n-33/…/323-lanticavetreria-di-castelbuono

www.scuderiatargaflorio.it/stotia-targa-florio.php

Salvatore Farinella, I VANTIMIGLIA-Castelli e dimore di Sicilia, fotografie di Gaetano Gambino, Editori del Sole, 2007.

Lo ciel, che sol di lui prima s’accende

25 giovedì Mar 2021

Posted by paolina campo in Salina, tramonto

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Dante, Paradiso, Salina, tramonto

Scalo Galera, Malfa-Salina

Quando colui che tutto ‘l mondo alluma

Dell’ emisfero nostro sì discende,

Che ‘l giorno d’ogni parte si consuma,

Lo ciel, che sol di lui prima s’accende,

Subitamente si rifà parvente

Per molte luci, in che una risplende;

E questo atto del ciel mi venne a mente,

Come ‘l segno del mondo e de’ suoi duci

Nel benedetto rostro fu tacente;

Però che tutte quelle vive luci,

Vie più cucendo, cominciarono canti

Da mia memoria labili e caduci.

Dante, Divina Commedia, Paradiso, XX 1-12

Messaggi, rinascita

17 mercoledì Mar 2021

Posted by paolina campo in Eolie, libri, Salina

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Baudelaire, I fiori del male, primavera, Salina

La Natura è un tempio dove colonne vive

lasciano a volte uscire confuse parole;

l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli

che l’osservano con sguardi familiari.

Charles Baudelaire, I FIORI DEL MALE.

Monte Porri

14 domenica Mar 2021

Posted by paolina campo in Eolie, Salina

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Esodo, Monte Porri, Salina

Monte Porri, vulcano estinto dell’isola di Salina. Si trova nella parte occidentale dell’isola ed è alto 860 metri. Il suo è un nome botanico, deriva dalla pianta del porro che rigoglioso cresce in maniera spontanea lungo le sue pendici. Prima era denominato Monte della Vergine, per il culto profondamente sentito dagli abitanti verso la Madonna, a cui è stato dedicato un Santuario nella vallata che unisce il monte al suo gemello più alto, il Monte Fossa delle Felci.

Prima che arrivi la sera, una nube avvolge la cima del monte, tingendosi man mano di rosso e il divino torna a farsi presente. Ogni sera.

Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte.

Esodo, 13,21

Un buio luminoso

23 sabato Gen 2021

Posted by paolina campo in libri, Salina

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A FINE GIORNATA, Malfa, pubblicazione 2015, Salina

A fine giornata, ci si sedeva tutti su poltrone reclinabili disposte in fila sul terrazzo, a guardare il cielo. Si spegnevano le luci a neon che illuminavano anche il giardino antistante e in silenzio si osservavano le stelle. In silenzio. Fino a quando, spinti forse dalla necessità di ascoltarsi, cominciavamo a leggere ad alta voce quel cielo stellato, indicando  l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, puntando lo sguardo sui disegni che si potevano tracciare, trasformando l’indice della mano in una matita allungabile fino a toccare quelle stelle come se fossero punti su un foglio da disegno. Poi, di nuovo in silenzio, ognuno  seguiva con la mente una strada attraverso quel cielo. Una strada lunga, larga, di dimensioni infinite che raccoglieva i ricordi, le speranze e li portava lontano, mentre ci sentivamo osservati, e forse anche protetti, da quella casa enorme alle nostre spalle che, come una grande nave ci aveva accompagnati nell’avventura su un’isola che ci regalava ogni sera quel cielo stellato e dove ognuno cercava una strada che conservava nel cuore e nella mente, larga duecento chilometri e anche di più. Non so gli altri: il silenzio garantiva ad ognuno la segretezza intima e speciale di un incontro che poteva essere fatto solo con sé stessi, per correre su binari predefiniti, individuali, particolari. Ognuno viaggiava sul suo treno, come se non si dovesse più tornare indietro. Eppure, la casa-nave ci guardava, e sapeva che anche in quella corsa ci sarebbe stato un momento in cui i binari avrebbero invertito la marcia e ci avrebbero riportato, in un modo o in un altro,  lì da dove eravamo partiti. Io mi sentivo catturata da un particolare bagliore che tracciava una strada che pulsava di vita, di vite che andavano e tornavano come in quei disegni dove cascate, nastri, figure iniziavano il loro cammino e poi tornavano irrimediabilmente al loro punto di partenza. I miei ricordi cominciarono a dilatarsi, a intrecciarsi a storie di un tempo che scoprii essere immenso. Fu così che, nell’evanescenza di un mondo pulsante di luce, mi trovai tra i fantasmi della memoria, desiderando sempre più di perdermi tra le pieghe di quel buio luminoso dove potevo incontrare stelle che, dopo avere percorso la lunga strada della loro evoluzione, erano destinate a pulsare e brillare per sempre.

Ho sentito parlare di una malattia che spegne i ricordi nella mente di chi viene colpito da un morbo inesorabile che colpisce i neuroni del cervello e, come colui che ha deciso di percorrere un lungo corridoio per l’ultima volta, spegne man mano le luci delle stanze che a esso  accedono, ne chiude le porte e alla fine disattiva l’interruttore generale e va via, si dilegua. Per sempre. Ma le cose? Le cose possono soffrire di quella malattia? Possono essere attaccate dal tarlo di un tempo che non le riconosce più, che non le fanno più parlare? Arrivava dal mare una fata che lanciò una maledizione: tutte le luci che illuminavano quei ricordi si sarebbero spente per sempre e sarebbero state avvolte da un sonno perenne.

Era ormai passato tanto tempo da quando scrutavo il cielo su una di quelle poltrone sul terrazzo. Ma era come non fosse passato neanche un attimo da quando quella casa-nave mi afferrò e rimasi prigioniera di un sogno che voleva splendere e pulsare all’infinito. Ero tornata da sola in quella casa che ormai sembrava colpita da quella strana malattia e qua e là erano visibili zone di abbandono, di degenerazione: il tetto perdeva l’intonaco, la muffa si impadroniva di muri e il pavimento era roso dall’incuria. Andai a letto presto e scelsi di dormire su un vecchio letto in ferro nero, con fregi dipinti su entrambe le testate su cui tentavano di brillare dei frammenti di madreperla. I dipinti raffiguravano dei paesaggi notturni lontani, quasi irreali: un castello, un albero dalla chioma ben definita, sembrava pettinata, una riva calma, più da lago che da mare. Scelsi di dormire lì, su quel letto alto, quasi presuntuoso che odorava di antica stima, di passate amicizie coltivate all’interno di un progetto di lavoro che richiedeva tenacia, entusiasmo, passione.

Quella notte ebbi paura dei fantasmi che avrebbero potuto ostacolare il mio sonno e che invece io disturbavo, cercandoli per mischiarmi a loro, alle loro storie. Eppure mi addormentai e mi trovai altrove.

Odisseo

07 sabato Set 2019

Posted by paolina campo in Salina

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Circe, Eolie, Salina, Ulisse

” Vedrai da un lato discoscese rupi
Sopra l’ onde pendenti, a cui rimbomba
Dell’ azzurra Anfrite il salso fitto.” ODISSEA, libro XII, 78-80

Il mare, la montagna

03 mercoledì Lug 2019

Posted by paolina campo in mare, silenzio, Salina

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mare, montagna, Prima pubblicazione, Salina

” Avevo la fissazione delle avventure fantastiche e amavo percorrere i sentieri che salivano su per la montagna. Mi entusiasmavano i grossi ragni che tessevano fitte ragnatele tra i rami di un arbusto, la vegetazione sempre più fitta e diversa man mano che salivo e la sensazione meravigliosa di rimanere seduta in mezzo a tutto quel verde e guadare il mare. ” Paolina Campo, ERA LA MIA CASA, A&B editrice, 2005

Daniele Nardi e la parola “inutile”

12 martedì Mar 2019

Posted by paolina campo in Salina, Sicilia

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Daniele Nardi, in-utile, Oscar Wilde, Salina, Sebastiano Tusa

daniele nardi

Daniele Nardi alla Biblioteca Comunale di Malfa, foto di Antonio Brundu,

Il mare, le isole Eolie, Salina, Malfa, la sindrome dell’eolianite per cui chi approda sull’isola ne viene inevitabilmente affascinato, catturato per sempre. Daniele Nardi era tra quelli che tornava a Salina  con affetto, trasporto, meraviglia, colpito anche lui dall’eolianite. L’ho conosciuto in biblioteca, la Biblioteca Comunale di Malfa, o meglio l’ho ascoltato, ho ascoltato la sua gioia, la sua passione, mentre raccontava delle montagne, dei suoi traguardi, delle vette solitarie eppure così piene di magia, di religioso silenzio. Ho ascoltato il ritmo delle sue parole che agganciavano uno ad uno i cuori del pubblico come una roccia da conquistare. Mi rimase impressa una parentesi che fece alla sua presentazione, come a volere aprire ancora una finestra su quella passione che lo portava a rischiare la vita, una forza che dentro di lui cercava la sua ragione di esistere, ed era lì tra le montagne, la neve, il freddo, rocce scoscese e aspre, aria rarefatta. Eppure tutto questo, diceva l’alpinista, a molti sembrava un impegno inutile.

Inutile. Mi venne in mente la prefazione a Il ritratto di Dorian Gray, dove Oscar Wilde scriveva: –

Possiamo perdonare a un uomo l’aver fatto una cosa utile se non l’ammira. L’unica scusa per avere fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente. Tutta l’arte è completamente inutile.-

C’era quindi un significato più importante in quella parola. E se provassimo a scomporre quella parola? In-utile: utile dentro, utile per se stessi. Ecco che quindi si arriva a un significato che trascende l’uso corrente del termine e lo porta in alto, forse verso quelle vette dove Daniele Nardi dichiarava di mettersi in rapporto con quell’ infinito  da cui l’utile spesso ci allontana. Se per Oscar Wilde «l’arte è completamente inutile», quindi pura bellezza, l’in-utile di Daniele Nardi era ricerca di se stessi, esaltazione delle emozioni e delle passioni dell’animo. Fuoco che non si spegne, bellezza infinita. Mentre lui parlava e i suoi occhi si accendevano nel patio magico della biblioteca, prendeva forma dentro di me un pensiero: l’ in-utile rende gli uomini migliori, capaci di regalare emozioni per svelare tutto il bello che ci circonda. Daniele Nardi ci ha lasciati e ci ha lasciati anche un altro grande uomo, Sebastiano Tusa che con una bottiglia di vino vecchia di duemila anni, catturò l’attenzione al Vinitaly di Verona qualche anno fa, facendosi paladino di una lotta a favore della bellezza tutta siciliana che riposa sui fondali marini e non solo.

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