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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: parole

Cusciuta, cusciulera, cusciuliari

28 venerdì Ott 2022

Posted by paolina campo in pensieri

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ali ai piedi, arcobaleno, Iris, Omero, parole, vecchio post

Cusciuta, era cusciuta!

Cusciulera, vo diri?

Cusciuta o cusciulera, sempre a cusciuliari era!¹

Camminava, correva. Andava al mare e poi in montagna. Distribuiva sorrisi e afferrava esperienze. Tornava a casa quando era sazia di sguardi, di parole nuove da usare, di pensieri gioiosi da sognare. Cusciuta, era cusciuta. Sì, una volta. Le piaceva cusciuliari, imbarcarsi sulle sue cosce e andare in giro ad ascoltare voci che avevano sempre tanto da raccontare.

-Irù, portaci u pani o zu Vanni- e lei partiva e portava una pagnotta a un vecchio cieco che viveva in una stanza che si affacciava su una grande terrazza che dominava tutto il paese; che era attraversata sempre dall’odore del mare; che ascoltava la voce imponente del vento che arrivava alla pelle e alla mente di quel malandato vecchio che di nulla aveva bisogno, se non di un pezzo di pane e un bicchiere di vino, dove ammorbidire il profumo del grano, e sentire l’ odore che lo portava tra i filari delle viti con pampini enormi e le cantine odorose di mosto.

-Zu Vanni, qua c’è il pane.-

Lui sorrideva e Irù raccoglieva quel sorriso sdentato e se lo portava a cusciuliari. Poi tornava a casa e su dei fogli scriveva parole su parole, descrivendo storie e sensazioni, segnando ricordi e emozioni. Giorno dopo giorno.

Cusciuta, era cusciuta! Sì, una volta. Poi, chissà come fu, quei fogli si trasformarono in un corpo mostruoso che vegliava notte e giorno su di lei e tenevano la sua mente stretta dentro un guscio terribile come una caverna dove non c’erano sorrisi, ma sguardi arrabbiati; e non c’erano parole, ma grida intrecciate e confuse; e non c’erano strade dove andare a cusciuliari. Tutto era buio. In quel buio, arrivava di tanto in tanto un soffio di vento che le attraversava i piedi. E lei camminava. Con il vento ai piedi, arrivava lì dove erbe selvatiche crescevano libere al limitare di una falesia, facendo da cornice alla bellezza infinita del mare.

Succedeva allora che sentiva il cuore gonfiarsi di malinconia, di grande nostalgia per quel mare a cui desiderava consegnare la sua vita. Cosa ne era stato di quella vita? Cosa ne era stato di quel suo cusciuliare in lungo e in largo, credendo che era gioia per sé e per gli altri incontrarsi? In cosa aveva creduto se non esisteva più niente di quello di ciò che era stata e voleva essere?

Girò piano lo sguardo, come per vedere se il mare avesse qualcosa da dirle. Vide onde che guizzavano allegre e nuvole bianche che vagavano lente aspettando che il vento dirigesse sicuro la musica del mondo.

Girò ancora lo sguardo e vide un velo di pioggia bianchissima come neve che faceva da tenda a un variopinto arcobaleno, che emergeva da un cerchio salato per poi nascondersi dietro il sipario di acqua di cielo.

…e Ares le dette i cavalli dai frontali d’oro:

lei montò sopra il cocchio, disperata in cuor suo,

accanto le saliva Iris e prendeva in mano le briglie,

frustò alla corsa e quelli, non contro voglia, presero il volo.

Subito poi raggiunsero la sede degli dei, l’Olimpo scosceso;

qui fermò i cavalli Iris veloce, che ha nei piedi il vento,

li sciolse dal carro e a loro gettò foraggio immortale;

intanto la divina Afrodite s’abbandonava in grembo a Dione,

sua madre; e lei strinse tra le braccia la figlia sua,

l’accarezzò con la mano, articolò la voce e disse:

«Chi ti ha fatto una cosa così, figlia mia, tra i Celesti,

senza ragione, quasi avessi fatto del male sotto i suoi occhi?»

Le rispondeva allora Afrodite che ama il sorriso:

«Il figlio di Tideo m’ha ferito, il tracotante Diomede,

perché io il figlio mio volevo sottrarre alla guerra,

Enea, che fra tutti mi è di molto il più caro.

Ormai la battaglia crudele non è più tra Troiani ed Achei,

ma anche agli immortali adesso i Danai fanno la guerra»².

Iris, che ha nei piedi il vento, percorse tutti i colori dell’arcobaleno e sparì dietro la tenda di acqua di cielo dove le nuvole, cusciute, seguivano il vento.

 ¹Cusciuta, nel dialetto palermitano indica chi va spesso in giro per le strade. Cusciulera è il termine usato nell’agrigentino per dire la stessa cosa. Cusciuliari ne è il verbo.

² Omero, Iliade, libro V, 363-380

Le nuvole e il pescatore

23 venerdì Set 2022

Posted by paolina campo in mare, silenzio, tramonto

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nuvole, parole, stupore

Nuvole grosse e scure

si specchiavano superbe

sulla superficie calma del mare,

mentre la notte iniziava

a stendersi sulle cose del mondo.

Cumuli di denso vapore,

carichi di maestoso stupore,

salutavano il giorno

che scivolava

tra le pagine

del grande libro della storia.

Erano lì raccontate le gesta

di re e regine,

di maghe e fattucchiere,

ma anche di quel pescatore che,

a fine giornata,

si avviava lento

verso la riva.

Solo, sul suo piccolo gozzo,

discuteva col mondo,

parlando una lingua a molti sconosciuta:

poche parole, essenziali,

scandite piano, quasi sottovoce.

Come quelle recitate dalle

nuvole grandi.

LA CASETTA DAGLI OCCHI DI CIELO

21 giovedì Gen 2021

Posted by paolina campo in libri, Salina

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'Nto scurari, magia, mare, mediterraneo, parole, pubblicazione 2018

Arrivava la sera, leggera, silenziosa, magica, accompagnata da un soffio di vento. Tutto si era compiuto: le voci, i colori, i suoni, i racconti della gente, la luce, le ombre. Un’altra pagina della storia dell’ isola era stata scritta. Era tempo di voltare pagina e dare spazio a nuove parole, a nuova meraviglia.

-Dove correte?- chiedeva la sera a dodici letterine che svolazzavano veloci sulla battigia.

-Avete paura? Di cosa? Del mare?-

-Il mare siamo noi…siamo noi…- e intanto il vento accompagnava la leggerezza di quel volo simile a quello dei petali di un buganville che maestoso ornava case bianche e luminosi terrazzi.

La voce incalzava, voleva sapere.

-Dove andate? Che gioco è  il vostro?

-Ci aspetta…Ci aspetta la casa dagli occhi di cielo!-

Quando arrivava la sera, la casa accoglieva le dodici lettere e le combinava in varia maniera perché formassero parole che descrivessero la vita, la gioia, il dolore. Così  cominciava.

MARE – MITO-

ENTRARE – ETERE –

DENARO – DARE –

IDEA – IRA

TERRA – TRADIRE –

ERA – ERMETE-

REMO – RAMO –

……

Continuava fino ad ottenere dodici gruppi di parole. Dodici, come le fatiche di Ercole, i mesi dell’anno, gli apostoli e le dodici porte della Gerusalemme Celeste. Un’ onda sceglieva per lei una di quelle parole che per tutta la notte danzava e cantava e, infine, raccontava.

ERA: l’ ho vista arrivare e riempire un sacco di petali spenti. Lo consegnò  alla Memoria e iniziò  a disegnare una curva di arrivo. E poi si portò  via il sospiro.

E ogni parola aveva il suo tempo narrante, per tutta la notte.

Arrivava poi l’alba: il vento fermava il suo soffio, stupito da tanta bellezza e la casa dagli occhi di cielo apriva la porta, consegnava le lettere al mare e attendeva di nuovo la sera.

Ammausari

17 martedì Nov 2020

Posted by paolina campo in pensieri

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parole, storia

Un ominide lancia un osso in aria, segnando l’inizio dell’evoluzione dell’uomo (Stanley Kubrik, 2001-Odissea nello spazio). Il linguaggio e la capacità di numerare saranno gli strumenti essenziali per muoversi e progredire. Attraverso il linguaggio l’uomo ha potuto trasmettere emozioni, desideri, segnalare un pericolo, discutere della validità o falsità di un’ipotesi (funzione argomentativa di cui parla Popper).

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’ oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.

Genesi, 11,1

Secondo la Genesi, gli uomini, agli albori della loro civiltà, usavano tutti le stesse parole, si esprimevano tutti con lo stesso linguaggio. Fino a quando non iniziarono a costruire una Torre, con la quale avrebbero voluto toccare il cielo. Il Signore punì la loro presunzione, disperdendoli su tutta la terra e confondendo la loro lingua.

Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra

Genesi,11,1

Questa premessa mi apre alla possibilità di parlare della ricchezza delle parole e della diversità dei modi di dire nel percorso triangolare Palermo-Salina-Catania, percorso a me molto familiare.

Io – Iò – Iù, pronome personale soggetto, prima persona singolare, nell’ordine: a Palermo, a Salina, a Catania

Est, verbo essere, terza persona singolare, usata nell’antica Roma ma anche oggi a Salina.

Muriu-murù-mossi, tre parole per dire “è morto” a Palermo, a Salina, A Catania.

Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme, in Sicilia come in tutte le parti del mondo. Come non pensare alle colonizzazioni, all’America, all’Australia dove i nostri emigranti hanno adattato i loro dialetti, costruendo altre parole. Apri una parola e ci trovi gli spagnoli, i francesi, i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi, i sicani, i latini, gli etruschi. E’ importante riflettere sulle parole? Credo proprio di sì. Credo sia importante per riuscire a guardarsi dentro e scoprire che oltre quello che ascoltiamo, vediamo, oltre quello che i nostri sensi ci offrono c’è un mare di storie, volti, paesaggi tutti da interpretare.

Ammausari, vinnigna, cuofani, valliri: un dipinto di parole che descrivono campi, filari di viti, pampini, uva, uomini e donne che lavorano alacremente tutto l’anno. Siamo a Salina.

Ammausari è un termine che indica la tecnica di legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri. Volendo azzardare un’etimologia della parola ammausari, potremmo pensare proprio al significato di usare le mani per legare i tralci buoni, lavoro spesso affidato alle donne.

Vinnigna, vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus-vino e demia, forma del verbo demere, cioè levare via, togliere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto. Tutta l’uva, tranne quella dorata, l’uva malvasia che, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate, che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.

Ni viremu, bonasira, salutamu.

A presto!

Maggio dei libri

26 domenica Mag 2019

Posted by paolina campo in libri

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Catania, evento, maggio dei libri 2019, Palazzo della Cultura, parole, presentazione

 

 

invito nto

Maggio è il mese dedicato alla Madonna. E’ il mese delle rose, dei tramonti rosati e delle albe fresche e romantiche. Maggio è anche il mese dei libri.

Il Palazzo della cultura è conosciuto a Catania anche come Palazzo Platamone dal nome della ricca famiglia che, nel XV secolo, affidò la costruzione dell’imponente struttura ai migliori architetti del tempo. Edificato vicino la marina, per potere controllare meglio gli importanti affari commerciali della famiglia, il Palazzo, dopo il terremoto del 1693, venne donato ai religiosi del monastero di San Placido.  Oggi è proprietà del Comune di Catania ed è sede di importanti eventi culturali, mostre e concerti. Quest’anno, in occasione del MAGGIO DEI LIBRI 2019, evento culturale e letterario organizzato  a partire dalla GIORNATA MONDIALE DEI LIBRI, che si è svolta il 23 aprile scorso, in una delle sale del Palazzo ho avuto il piacere e l’onore di presentare il mio ultimo libro,  ‘NTO SCURARI.  Pubblicato alla fine dello scorso anno da A&B del GRUPPO EDITORIALE BONANNO, ‘NTO SCURARI continua a seguire quel  percorso nostalgico, e a tratti malinconico, che tende a una tenerezza affettuosa verso quel bagaglio di ricordi e tradizioni che reclamano il loro ruolo di maestri di vita.

Pag.5

‘NTO, NEL DIALETTO SICILIANO, TRADUCE LA PREPOSIZIONE ARTICOLATA NEL: ‘NTO PUZZU-NEL POZZO; ‘NTO LETTU-NEL LETTO, INDICANDO QUALCOSA CHE È DENTRO QUALCOS’ALTRO. QUANDO ‘NTO PRECEDE UN VERBO, ASSUME IL SIGNIFICATO DI MENTRE, AVVERBIO TEMPORALE, PER ESPRIMERE UNA PROPOSIZIONE TEMPORALE: ‘NTO LAVARI-MENTRE LAVO, ‘NTO CANTARI-MENTRE CANTO. ‘NTO SCURARI-MENTRE STA PER ARRIVARE LA SERA, ALL’IMBRUNIRE, QUANDO IL SOLE È GIÀ SCESO DIETRO L’ORIZZONTE, LE NUVOLE SI FANNO BELLE PER ACCOGLIERE LA LUNA, E L’ANIMO, COME UNA CASETTA DAGLI OCCHI DI CIELO, SI IMMERGE ‘NTO SILENZIO DELLA SERA E LIBERA PENSIERI, SOGNI, RICORDI FATTI DI PAROLE, FRASI, IMMAGINI.  CI SI TROVA IMMERSI  IN UN MOMENTO DELLA GIORNATA, MENTRE QUESTO MOMENTO AVVIENE…

Ci si trova immersi in un mare di parole che svelano pensieri, che giocano a costruire immagini, storie…sogni. Questo è ‘NTO SCURARI: un navigare tra le parole di una donna che ricorda e si emoziona. Sono nata a Palermo, sono cresciuta a Salina, ho trascorso la mia adolescenza e gli anni dell’università a Palermo e da più di trenta anni vivo a Catania con la mia famiglia. Di parole ne ho viste viaggiare tante legate ai diversi idiomi della nostra isola e le ho praticate tutte, con grande curiosità. Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme. Apri una parola e ci trovi i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi e i sicani.

Pag.53

CUSCIUTA, ERA CUSCIUTA. SÌ, UNA VOLTA. LE PIACEVA CUSCIULIARI, IMBARCARSI SULLE SUE COSCE E ANDARE IN GIRO AD ASCOLTARE VOCI CHE AVEVANO SEMPRE TANTO DA RACCONTARE.

Cusciuta, nel dialetto palermitano indica chi va spesso in giro per le strade. A Catania si dice Strataria. Cusciulera è il termine usato nell’agrigentino per dire la stessa cosa. Cusciuliari ne è il verbo.

Immagini, parole, fantasia.

Cos’è la fantasia? E’ qualcosa dove ci piove dentro, come spiegava Calvino nelle Lezioni americane, nella sezione dedicata alla Visibilità, riprendendo un verso di Dante tratto dal XVII canto del Purgatorio: – O imaginativa…chi muove te, se il senso non ti muove?-

E la fantasia, l’immaginazione si muove attraverso le parole, le immagini. Come quelle che mi ha regalato Harry, giovane inglese che è piovuto dentro la mia fantasia e ho immaginato su una nave alla volta di Vulcano, nelle isole Eolie. E poi c’è Fedicei, nome strano che è piovuto sempre nella mia fantasia componendosi di cielo e felicità per raccontare i movimenti di gente, contadini, pescatori che arrivavano a Salina, isola verde dell’arcipelago eoliano, partendo dalle altre isole minori o dalle vicine coste siciliane, attirati dalla pescosità di quel mare e dalla ricchezza che aveva portato la coltivazione della malvasia fino a quando non arrivò la fillossera e l’emigrazione si spostò verso l’Australia e l’America.

Cavuru, cavuru è! E’ caldo, caldo. Cosa? Lo sfincione palermitano, una specie di pizza soffice coperta da tanta cipolla, salsa di pomodoro e formaggio. Un profumo pazzesco che attraversava i mercati di Ballarò e della Vucciria. Con la parola sfincione a Catania si indica una crispella di riso cosparsa di zucchero, una vera delizia.

Poi c’è Milurè, che cantava anche quando durante la guerra si pativa la fame; Venera che decide di mettersi in proprio e vende i pesci che lei stessa pesca; Etta, che sogna un viaggio sulla luna. E il cavaliere Alfredo Alonso che sogna di far nascere a Catania una grande casa cinematografica, l’Etna Film.

Aiu un cappidduzzu, tantu sapuritu! Quannu mi l’aia mettiri? Quannu mi fazzu zitu!

Ho un cappellino tanto carino! Quando lo devo mettere? Quando mi fidanzo!

Un semplice cappellino, carino, con un significato importante, una promessa per la vita, un fidanzamento.

CU NASCI TUNNU ‘UN PO’ MORIRI QUATRATU

(CHI NASCE TONDO NON PUO’ MORIRE QUADRATO)

TUNNU, cioè tondo. QUATRATU, quadrato. E’ tondo il sole, la luna, la terra, i pianeti e le stelle. Quadrato è un campo che i contadini coltivano, la faccia di un cubo, un tavolo da cucina, una cornice, una foto. TUNNU può essere un uomo che ama fantasticare, che sfugge alle regole pratiche della vita, quindi difficile da capire, ma anche un semplicione. QUATRATU, uno che ama misurare, tracciare progetti, costruire case o capanne, quindi affidabile, impostato secondo i criteri della vita pratica, inquadrato, con i piedi per terra.

CCHIU’ SCURU DI MEZZANOTTI NON PO’ FARI

(PIU’ BUIO DI MEZZANOTTE NON PUO’ FARE)

La vita ci mette davanti a tante difficoltà, ma fino a quando saremo capaci di interpretare i passaggi della nostra vita saremo anche capaci di costruire speranza, luce mentre scura e agghiorna, mentre fa buio e poi fa giorno, in un susseguirsi di storie, di immagini, di quadretti di vita.

E’ importante riflettere sulle parole? Credo sia il solo modo per riuscire a guardarsi dentro e scoprire, come scriveva Fernando Pessoa, poeta portoghese del secolo scorso, che…

Non sono niente, non sarò mai niente, non posso volere d’essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo.-

Fernando Pessoa,  LA TABACCHERIA, 1928

Grazie e… buon scurari!

Murìu, murù, mossi-dinamismo tra parole

11 lunedì Feb 2019

Posted by paolina campo in filosofia, Sicilia, storia

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langue, parole, Saussure, storia

 

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-Buongiorno! Ecco le arancine calde calde! Dai mangiate!-

La nonna era scesa presto e da buona palermitana era andata a comprare le arancine per fare colazione.

         -Nonna, noi prendiamo il latte la mattina-

         -Mangia questa delizia del palato che ti viene il sorriso solo solo-

E sì, i palermitani, o almeno sua nonna e sua zia, erano così: festaioli a cominciare da cosa si mangiava al mattino.

         -Arancina, nonna? Hai sbagliato, si chiama arancino.-

-Senti, non mi fare arrabbiare cu sti parrati catanisi. Arancina si chiama perché è tonda e arancione come l’arancia. A Catania non le sanno fare- sentenziò la donna.

A Cettina piaceva tantissimo quel modo di parlare, quel modo di fare così immediato, senza ripensamenti!

-Oggi si va al mercato! E poi al mare!- disse la zia

Attraversarono via Maqueda e si trovarono immerse all’interno del mercato di Sant’Agostino, un tripudio di scarpe, calzini, abiti, stoffe dove entrava e usciva come un venticello allegro un forte e invitante odore di sfincione.

-Cavuru cavuru è!!!- gridava il venditore dal carretto trainato da un somarello stordito dalle grida del padrone e dall’odore.

-Sfincione?! Ma è una pizza che odora di cipolla e formaggio! A Catania lo sfincione è fatto con il riso ed è fritto. E poi ha la forma di un bastoncino.-

-Ed è dolce, con lo zucchero spruzzato sopra!-

Le due sorelline erano curiose e divertite: una stessa parola indicava cose diverse se ci si spostava di qualche centinaio di chilometri in quella Sicilia bedda, come diceva la nonna.

-Arancino, arancina; sfincione. E’ storia, è tradizione. Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme. Apri una parola e ci trovi i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi e i sicani. Vi racconto una cosa divertente: una volta è stato ospite da noi un ragazzo del messinese, un ragazzo semplice, figlio di contadini. Guardando una foto che si trovava su un mobile, ci chiese: -murù?-

Noi, a Palermo, alla parola “murù” ne facciamo corrispondere tre: “me lo dai”. Quindi in uno slancio di cortesia, lo invitammo a prendere quella foto: sembrava che ci tenesse tanto! Continuammo in questo sforzo interpretativo, fino a quando lui con un gesto della mano non ci fece capire che voleva sapere se la persona nella foto fosse morta! No! Incredibile! Tre parole per dire la stessa cosa! A distanza di qualche centinaio di chilometri! A Palermo diciamo “muriu”, per indicare qualcuno che è morto. A Catania, “mossi”, non è vero? Murù, muriu, mossi, cioè “è morto”-

Risero: quella zia riusciva a farle divertire anche con cose che potevano sembrare noiose.

-Ora comunque prendiamo un bel pezzo di sfincione e ce lo portiamo per uno spuntino al mare.- disse la zia, ormai immersa nell’ idea di realizzare una giornata fantastica.

E fantastico lo era stato davvero quel giorno: il mare, il sole, una passeggiata a Villa Favorita, la Palazzina cinese, il museo Pitrè e Palermo in tutto il suo splendore.

La dinamica tra LANGUE e PAROLE ipotizzata da Saussure è complessa e stratificata e la mediazione fra fatto sociale e individuale si può configurare nella capacità della mente umana di contemplare associazioni mentali individuali, accanto ad associazioni mentali ratificate dal consenso sociale.

AA.VV., La mente, a cura di Stefano Gensini e Antonio Rainone, Carocci editore, Roma, 2009, pag.197

‘Nto scurari

24 lunedì Set 2018

Posted by paolina campo in Eolie, Sicilia

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dialetto siciliano, disegno su cassetta di legno, mare, parole, sera, sogni, tramonto sul mare di Stromboli, vento

‘Nto scurari, all’imbrunire.

‘Nto, nel dialetto siciliano, traduce la preposizione articolata nel: ‘nto puzzu-nel pozzo; ‘nto lettu-nel letto, indicando qualcosa che è dentro qualcos’altro. Quando ‘nto precede un verbo, assume il significato di mentre, avverbio temporale, per esprimere una proposizione temporale che, in dialetto, si presenta nella sua forma implicita: ‘nto lavari-mentre lavo, ‘nto cantari-mentre canto. ‘Nto scurari-mentre sta per arrivare la sera, all’imbrunire, quando il sole è già sceso dietro l’orizzonte, le nuvole si fanno belle per accogliere la luna, e l’animo, come una casetta dagli occhi di cielo, si immerge ‘nto silenzio della sera e libera pensieri, sogni, ricordi fatti di parole, frasi, immagini. Ci si trova immersi in un momento della giornata, mentre questo momento avviene.

C’è davvero una casetta dagli occhi di cielo a Santa Marina, comune dell’isola di Salina, nell’arcipelago eoliano, poggiata su una roccia bagnata dal mare. Mille e più onde l’avranno raggiunta e chissà quante storie potrebbe narrare. La casetta ha una porticina azzurra e due piccole finestrelle come occhi di cielo che scrutano il mare. In quel piccolo cubo di pietra è possibile immaginare che vadano a incontrarsi, ‘nto scurari, le lettere dell’alfabeto che si scambiano i posti all’interno delle parole, per costruire racconti che navigano leggeri sulle onde e tra le nuvole. Fantasia e realtà si incontrano e partoriscono scene e spezzoni di vita. Un po’ come in una notte dove i sogni si susseguono tra la veglia e il sonno e sembrano spruzzi di immagini, soffi di pensieri tra i quali spesso non ci si raccapezza. Eppure, ogni scena è intrisa di vita vissuta in una danza ondeggiante di sentimenti e emozioni portati dal mare.

La grande biblioteca del mondo

18 mercoledì Apr 2018

Posted by paolina campo in pensieri

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bellezza, cielo, isole eolie, mare, parole, ricordi

Ombre fluttuano tra mare e cielo e questo spaccato di mondo mi investe e mi porta lontano nel tempo.

” Se vedessimo davvero l’universo, forse lo capiremmo”¹.

Forse riusciremmo a leggere, uno alla volta, i volumi nascosti nella grande biblioteca del mondo. Nel labirinto infinito del sempre, del mai, di oggi, di ieri, potremmo sentire il desiderio più vero: riuscire a provare ad immergersi nei colori di un mare puntellato dagli ultimi raggi del sole, mentre il vento dipinge, sulla volta celeste, nuvole bianche, come anime belle che leggere attraversano la grande biblioteca del mondo, lasciando scivolare emozioni e sentimenti che trovano dimora su pagine aperte e fogli di cielo, dove c’è spazio per ogni pensiero.

” Se vedessimo davvero l’universo…”², non avremmo bisogno di stupide guerre, di silenzi rabbiosi, di chiudere il cuore alla bellezza di tanto colore. Forse potremmo riempire di cielo un cesto di canne intrecciate e portarlo con noi per leggere le parole stampate sulle nuvole bianche e, quando finito, lasciarle volare via perché ogni cosa deve avere il suo posto, la sua casa, il suo odore. Perché… ogni cosa deve aprirsi alla gioia di dire e di dare, così tutti possiamo ascoltare e vedere il grande concerto di un universo che suona. Se solo riuscissimo ad ascoltare.

¹Jorge Luis Borges, Il libro di sabbia
²Ibid

Se una sera all’orizzonte

15 lunedì Gen 2018

Posted by paolina campo in pensieri

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mare, parole, sogno, tramonto

Se una sera, all’orizzonte,

potessi sedermi accanto al sole

che lentamente affonda i suoi colori nel mare,

e potessi chiedergli di farmi compagnia

mentre aspetto che un’emozione abbocchi

e lentamente parli…

Se una sera all’orizzonte

riuscissi a dialogare con il vento

e ascoltare i suoi soffi

furibondi o lievi,

veri e confidenti…

Se una sera all’orizzonte

riuscissi a lanciare l’amo,

una volta lontano, una volta vicino

e pescare parole per raccontare

quello che non so dire….

Allora avrò fatto un sogno

dove desidererò rimanere.

Cusciuta, cusciulera, cusciuliari

07 giovedì Dic 2017

Posted by paolina campo in mare, silenzio, pensieri

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arcobaleno, Iliade, Iris, Omero, parole, vento

monet

Cusciuta, era cusciuta!

Cusciulera, vo diri?

Cusciuta o cusciulera, sempre a cusciuliari era!¹

Camminava, correva. Andava al mare e poi in montagna. Distribuiva sorrisi e afferrava esperienze. Tornava a casa quando era sazia di sguardi, di parole nuove da usare, di pensieri gioiosi da sognare. Cusciuta, era cusciuta. Sì, una volta. Le piaceva cusciuliari, imbarcarsi sulle sue cosce e andare in giro ad ascoltare voci che avevano sempre tanto da raccontare.

-Irù, portaci u pani o zu Vanni- e lei partiva e portava una pagnotta a un vecchio cieco che da solo viveva in una stanza che si affacciava su una grande terrazza; che dominava tutto il paese; che era attraversato sempre dall’odore del mare; che ascoltava la voce imponente del vento; che….arrivava alla pelle e alla mente di quel malandato vecchio che di nulla aveva bisogno, se non di un pezzo di pane e un bicchiere di vino, dove ammorbidire il profumo del grano, e sentire l’ odore che lo portava tra i filari delle viti con pampini enormi e nelle cantine odorose di mosto.

-Zu Vanni, qua c’è il pane.- Lui sorrideva e Irù raccoglieva quel sorriso sdentato e se lo portava a cusciuliari. Poi tornava a casa e su dei fogli scriveva parole su parole, descrivendo storie e sensazioni, segnando ricordi e emozioni. Giorno dopo giorno.

Cusciuta, era cusciuta! Sì, una volta. Poi, chissà come fu, quei fogli si trasformarono in un corpo mostruoso che vegliava notte e giorno su di lei e tenevano la sua mente stretta dentro un guscio terribile come una caverna dove non c’erano sorrisi, ma sguardi arrabbiati; e non c’erano parole, ma grida intrecciate e confuse; e non c’erano strade dove andare a cusciuliari. Tutto era buio. In quel buio, arrivava di tanto in tanto un soffio di vento che le attraversava i piedi. E lei camminava. Con il vento ai piedi, arrivava lì dove erbe selvatiche crescevano libere al limitare di una falesia, facendo da cornice alla bellezza infinita del mare. Succedeva allora che sentiva il cuore gonfiarsi di malinconia, di grande nostalgia per quel mare a cui desiderava consegnare la sua vita. Cosa ne era stato di quella vita? Cosa ne era stato di quel suo cusciuliare in lungo e in largo, credendo che era gioia per sé e per gli altri incontrarsi? In cosa aveva creduto se non esisteva più niente di quello di ciò che era stata e voleva essere? Girò piano lo sguardo come per vedere se il mare avesse qualcosa da dirle. Vide onde che guizzavano allegre e nuvole bianche che vagavano lente aspettando che il vento dirigesse sicuro la musica del mondo.

Girò ancora lo sguardo e vide un velo di pioggia bianchissima come neve che faceva da tenda a un variopinto arcobaleno, che emergeva da un cerchio salato per poi nascondersi dietro il sipario di acqua di cielo.

…e Ares le dette i cavalli dai frontali d’oro:

lei montò sopra il cocchio, disperata in cuor suo,

accanto le saliva Iris e prendeva in mano le briglie,

frustò alla corsa e quelli, non contro voglia, presero il volo.

Subito poi raggiunsero la sede degli dei, l’Olimpo scosceso;

qui fermò i cavalli Iris veloce, che ha nei piedi il vento,

li sciolse dal carro e a loro gettò foraggio immortale;

intanto la divina Afrodite s’abbandonava in grembo a Dione,

sua madre; e lei strinse tra le braccia la figlia sua,

l’accarezzò con la mano, articolò la voce e disse:

«Chi ti ha fatto una cosa così, figlia mia, tra i Celesti,

senza ragione, quasi avessi fatto del male sotto i suoi occhi?»

Le rispondeva allora Afrodite che ama il sorriso:

«Il figlio di Tideo m’ha ferito, il tracotante Diomede,

perché io il figlio mio volevo sottrarre alla guerra,

Enea, che fra tutti mi è di molto il più caro.

Ormai la battaglia crudele non è più tra Troiani ed Achei,

ma anche agli immortali adesso i Danai fanno la guerra».

Omero, Iliade, libro V, 363-380

Iris, che ha nei piedi il vento, percorse tutti i colori dell’arcobaleno e sparì dietro la tenda di acqua di cielo dove le nuvole, cusciute, seguivano il vento.

 

¹Cusciuta, nel dialetto palermitano indica chi va spesso in giro per le strade. Cusciulera è il termine usato nell’agrigentino per dire la stessa cosa. Cusciuliari ne è il verbo.

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