Sogno semplice
23 venerdì Apr 2021
Posted mare, silenzio, poesia
in23 venerdì Apr 2021
Posted mare, silenzio, poesia
in18 domenica Apr 2021
Posted Eolie
inCi sono canzoni, poesie, racconti
che rimangono per sempre nel cuore.
Ci sono immagini
che sanno di musica e poesia,
di cunti di fate ed eroi.
Racchiudono suoni, rumori,
voci e melodie;
odori, profumi, fragranze.
E sorrisi, lacrime, timori,
gioie e speranze.
Come una musica.
11 venerdì Mag 2018
20 lunedì Nov 2017
Posted libri, mare, silenzio, Salina
inCi sono cose nella vita che non hanno bisogno di troppe parole. Basta uno sguardo, un abbraccio perché un’energia buona arrivi a darti nuovo vigore. Quel giorno Maria si era abbandonata a un pianto liberatorio. La sua vita doveva essere riconsegnata a quei ciottoli che un giorno aveva lanciato in mare.
-Andiamo alla nostra spiaggetta- le disse una delle sue amiche. La ragazza andò in camera sua. Tolse il vestito troppo elegante che la portava lontano dalle esigenze del suo cuore e lo poggiò distrattamente su una sedia. Tolse anche le scarpe, legò i capelli con un elastico azzurro, indossò un paio di bermuda, una maglietta e un paio di infradito. Si guardò allo specchio e sorrise. Uscirono per strada e prima di dirigersi verso il mare, Gisella volle passare da casa sua.
-Piccolo amore mio, vieni con noi!- Prese il suo bambino tra le braccia e uscì fuori. Maria, commossa, gli prese la manina, lo accarezzò dolcemente e chiese alla sua amica di portare lei il bimbo fino alla spiaggia. Era già buio quando arrivarono, ma una luna splendente illuminava i volti raggianti delle ragazze. Raccolsero legni per accendere un falò, sistemarono il piccolo su morbide tovaglie di spugna e si sedettero in cerchio.
-Suonerò il violino, canterò canzoni alla luna e voi, care amiche, racconterete storie! Forza Maria, comincia tu- disse Betty.
-Nonna Melina comprò una volta una gallinella e un galletto. Lei era dolce e remissiva e girava per l’aia con fare tranquillo e senza troppe pretese. Il galletto era vispo e dispettoso, ma quanto era bello! Lunghe piume dai colori variopinti ornavano la sua coda che brillava al sole ed una cresta rossa ed arricciata faceva da corona ad un reuccio conscio della sua beltà. Si affezionò molto a nonna Melina e le gironzolava attorno con fare sornione. Saliva disinvolto sui suoi piedi, poi sulle sue gambe fino ad arrivare in cima alla testa della nonna che, divertita, lo lasciava fare. Quando divenne “giovanotto”, cominciò ad allontanarsi dalla sua aia per andare in perlustrazione. Arrivò un giorno in un pollaio dove viveva una bella gallinella bianca di cui si innamorò. Cominciava così un periodo di serio corteggiamento. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, si incamminava per andare a prendere la sua amata e tornare insieme a lei dalla nonna per mangiare. Prima di sera, il galletto riaccompagnava la sua bella al pollaio e ritornava a casa. Se tardava, la nonna lo chiamava: “pio, pio, pio!” Allora lui faceva capolino da dietro una grande pianta di fichidindia e presto rincasava. Un giorno si sentì un grande schiamazzo provenire dal pollaio proprio dietro la pianta: il galletto, preso da un attacco di gelosia, aveva spezzato l’anca al gallo compagno di aia della sua amata. La sera dopo non tornò. Dov’era finito? Perché non rispondeva al richiamo della sua padrona? Perché si era addormentato nel giardino antistante il pollaio della vicina con “lei” da una parte ed il suo rivale dall’altra.-
Tutte risero e batterono le mani.
-Adesso tocca a te Sophia. Quali storie di bianche fate ci puoi raccontare?-
Sophia si alzò, guardò il cielo e cominciò a recitare:
-Disse Volva, la Veggente: con forza da sud il sole, compagno della luna, stese la mano destra verso l’orlo del cielo; il sole non sapeva dov’era la sua corte, le stelle non sapevano dov’era la loro dimora, la luna non sapeva qual’era il suo potere. Andarono allora gli dei tutti ai troni del giudizio, divinità santissime e su questo deliberarono: alla notte e alle fasi lunari nome imposero; al mattino dettero un nome e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera per contare gli anni.–
Le parole di Marina si diffondevano magicamente nell’aria. Tutte si alzarono e danzarono leggere attorno al fuoco. Gisella prese il suo bimbo e cantò un’antica ninna nanna cullandolo teneramente. Se è vero che la musica è conversazione, dialogo, il violino di Betty parlava al cuore di ognuna. Nel susseguirsi delle note vi era l’invito a danzare insieme facendo dei grandi cerchi, tenendosi per mano e saltando ora su un piede ora su un altro in un balletto semplice e gaio.
Ogni immagine, ogni scena sembrava il risultato di un grande disegno, un’opera d’ arte suprema in cui tutto partecipava di tutto: il cielo, le stelle, il mare, le barche, i ciottoli scuri come la notte mentre la luna tonda, brillante e luminosa vegliava sull’amicizia delle ragazze della piccola spiaggia del vulcano.
18 martedì Lug 2017
Posted pensieri
in
When David Bowie wrote and recorded Space Oddity in 1969, I wonder if he ever imagined it being played in orbit?
Nel 1968 Stanley Kubrick (1928-1999) consegna alle sale cinematografiche un grande film di fantascienza: 2001: Odissea nello spazio, un’intensa riflessione sulla natura umana, sulla sua evoluzione, la sua intelligenza messa a confronto con l’intelligenza artificiale, con il progresso.
L’anno dopo, a una settimana dalla missione spaziale Apollo 11 che porta per la prima volta l’uomo sulla Luna, David Bowie effettua anche lui un lancio, discografico, con Space Oddity, “Stranezza Spaziale” e il maggiore Tom, che Bowie immagina fluttuante e perso nello spazio,
…catturo’ lo spirito del tempo dei voli spaziali…
Piergiorgio Odifreddi, IL SENSO DI DAVID BOWIE PER LA SCIENZA DELLE STELLE, su La Repubblica sabato 9 luglio 2016
Nel 2013, Chris Hadfield, astronauta canadese, imbraccia la sua chitarra e realizza un video superbo dalla Stazione Spaziale Internazionale, laboratorio scientifico in orbita attorno alla Terra di cui è comandante fino a quello stesso anno, sulle note di Space Oddity.
Un brano semplice eppure così evocativo. Sembra che la mente voli su quei quarantatre tramonti che il piccolo principe di De Saint-Exupéry riusciva ad ammirare in un giorno spostando di un pochino la sua sedia e, investito da così tanta bellezza, sentire una profonda tristezza. Strano. Sembra di poter navigare in un involucro trasparente oltre quella siepe che
…da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Giacomo Leopardi, L’INFINITO.
e immaginare di andare sempre oltre, sempre più lontano fino a sentire di potere annegare in un infinito difficile da abbracciare eppure così vicino dato che dobbiamo solo immaginarlo. Strano.
Chissà se David Bowie quando scriveva Space Oddity poteva immaginare che il suo pezzo un giorno poteva essere cantato e suonato in orbita?
Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia…
Antoine De Saint-Exupéry, IL PICCOLO PRINCIPE, Tascabili Bompiani, Milano, 2003, pag. 120
30 giovedì Giu 2016
Posted pensieri
inNella geografia della vita incontri persone che, come Marco Polo, ti portano attraverso i loro racconti in paesi che non hai mai visitato o che hai visitato ma non ne conosci alcuni particolari; o almeno, senza quei racconti, non sarebbero venuti fuori e non sarebbero mai stati oggetto della tua curiosità. In fondo, di nulla si può essere curiosi se non si è attratti da ciò che da qualche parte o in qualche modo si fa vedere; e, d’altra parte, di nulla si può essere curiosi se non ci si predispone alla curiosità.
Quando ero una ragazzina facevo spesso un sogno: mi vedevo dietro una porta che da uno spiraglio faceva uscire un fascio di luce. Aprivo quella porta e scoprivo che più avanti un’altra mi invitava con un altro fascio di luce e, un po’ come Alice nel paese delle meraviglie o Dorothy nel mondo di Oz, mi trovavo a seguire un percorso di fasci di luce che non sembrava avere una fine. Vivere con curiosità, forse è questo che rappresentavano quei fasci di luce, per riuscire a pensare che “dopo” c’è sempre qualcosa.
Le foto e le cartine geografiche sono cattedrali di informazioni, vicende, storie che, come nel sogno, si celano dietro porte dagli spiragli luminosi. Di fotografie, certo poco professionali, ne faccio un uso continuo: toccano le mie note più nostalgiche, rappresentano un tuffo in un passato del quale avverto odori, suoni, sensazioni. Ma gli orizzonti si allargano e diventa a volte inevitabile andare oltre l’ esperienza personale. Le cartine geografiche sono un po’ come delle matrioske. Questa, ad esempio
evoca i tormenti della popolazione armena, la fine della dinastia zarista, la rivoluzione bolscevica, Lenin, Stalin. Da quella cartina cominciai un giorno a vedere volare le note di grandi compositori che erano dentro quella storia.
Dall’Armenia fuggivano tante famiglie oppresse dalla povertà di un paese senza sbocco sul mare e oggetto di attacchi da parte dei turchi e dei russi. Fuggiva anche la famiglia di Aram Chacaturjan, nato in Georgia da una famiglia povera di origine armena, grande compositore che a Mosca studiò violoncello e composizione. Non dimenticherà mai la sua origine, e le sue opere porteranno sempre impressa un’impronta popolare e appassionata. La sua musica sarà apprezzata dal regime sovietico tanto da venire insignito del premio Lenin e del premio Stalin.
Le date? E’ ieri, ma anche oggi. Nella cartina ci siamo noi che guardiamo e sogniamo; ci siamo noi che viaggiamo con gli occhi e la mente di chi, con i suoi studi e la sua esperienza, ci guida e ci porta lontano.
31 giovedì Mar 2016
Posted mare, silenzio, pensieri
inUn fascio di luce incontrò un corpo e ne disegnò la sagoma su una roccia prospiciente il mare. Ne limitò bene i contorni e la riempì di sogni: alcuni belli, altri difficili da capire, ma tutti legati a quello scoglio. Arrivò poi la notte e l’ombra scivolò via insieme alla luce e il corpo aspettò che un’altro fascio di luce tornasse ancora per disegnare i suoi tratti sulla pietra. Ma un giorno un’onda afferrò l’ombra e la disperse nel mare, e tutti i sogni di cui era formata, si ruppero in tanti piccoli pezzi che non poterono più ricomporsi. Solo una piccola parte di quell’ombra rimase fissa alla roccia: era quella che avrebbe sentito per sempre l’odore del mare. Il corpo, privato dell’ombra, scomparve agli occhi del mondo e divenne vento leggero che attraversava il cielo, sfiorava il mare e accarezzava la roccia dove, nascosta in un angolo, una piccola ombra rimase per sempre attaccata.
Dico ombra, e si apre un mondo di interpretazioni e significati.
Pindaro, poeta greco vissuto tra il 518 e il 438 a.C., scriveva nella Pitica VIII¹ che l’ombra ha un sogno che è l’uomo, creatura di giorno la cui esistenza dipende dalla luce che la colpisce e che ne indica l’esistenza sulla terra. Un’esistenza precaria, battuta da mille tempeste e illuminata da alcuni bagliori di luce che rendono dolce la vita. Dolcezza della vita che scompare quando l’ombra smette di sognare.
Platone, filosofo greco vissuto tra il 427 e il 347 a.C., parlava dell’ombra come qualcosa di negativo, manifestazione di falsa conoscenza o conoscenza limitata alle cose sensibili. Ne La Repubblica, dialogo socratico dove Platone affronta il problema della giustizia, il filosofo immagina degli uomini in una caverna, incatenati, con lo sguardo rivolto verso una parete dove scorrono delle ombre di verità esistenti alle loro spalle. Chi tra loro avrà la fortuna di liberarsi dalle catene, potrà arrivare a capire di cosa sono ombra le immagini proiettate in quel luogo buio, sopportando l’intensa luce della vera conoscenza, quella delle idee. Eppure bisogna tornare nella caverna, rischiando anche di essere ucciso, perché quelle ombre, conoscenza di chi è rimasto attaccato alla terra, agli affari di ogni giorno, alla praticità della vita, quelle ombre, agli occhi di chi ha compiuto il cammino verso le idee, si mostrano finalmente per ciò che sono: copia di ciò che si può vedere solo con la mente.
Sogno, idea, immagine. Musica.
Nel 1917 Richard Strauss compose un’opera in tre atti, La donna senza ombra, con libretto del poeta Hugo von Hofmannsthal. Favola eterea, inno alla vita che senza ombra non esiste e non può rinnovarsi. La figlia del dio KeiKobad, re degli Spiriti, viene catturata dall’imperatore delle isole Sudorientali durante una battuta di caccia: da gazzella bianca si trasforma in una splendida fanciulla. L’imperatore la sposa, ma lei non ha ombra e fino a quando non ne avrà una, non potrà dargli un figlio e lui sarà condannato alla pietrificazione. L’imperatrice decide di barattare l’ombra di una giovane donna, moglie di un tintore, che si lamenta con il marito che la fa vivere di stenti ed è disposta a dare la sua ombra in cambio di ricchezze. Ma portati nel regno degli spiriti da Keikobad e lontani l’uno dall’altra, l’untore e la moglie cominciano a cercarsi mentre si alza la voce dei bambini mai nati. L’imperatrice che, mossa da commozione, non vorrà più negare l’umanità a nessuno e non ruberà l’ombra ad alcuno, sarà premiata per questo e riceverà una sua ombra, mentre la voce dei bambini mai nati esulta e l’imperatore è liberato dalla maledizione.
…Lo sai, io amo l’ombra come amo la luce. Perchè esistano la bellezza del volto, la chiarezza del discorso, la bontà e fermezza del carattere, l’ombra è necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: anzi si tengono per mano, e quando la luce scompare, l’ombra le scivola dietro.²
Molti hanno paura della propria ombra come se avvertissero forte l’angoscia di restare con i piedi per terra e volere rimanere a tutti i costi bambini: Peter Pan e la sua ombra hanno un difficile rapporto e Wendy dovrà cucirgliela ai piedi perché non scappi ancora. Altri invece hanno paura dell’ombra per quell’insensato desiderio di fuggire alla morte: mio nonno tentava di scacciarla, come se in essa si fossero nascosti degli spiriti maligni che lo volevano portare via. Quanto è lontana, in questi casi, la dolcezza di quella penombra di cui parla Jorge Luis Borges, scrittore e poeta argentino, ne L’elogio dell’ombra, che scorre e somiglia all’eterno .