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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Mediterraneo

01 giovedì Lug 2021

Posted by paolina campo in filosofia, storia

≈ 2 commenti

Tag

Boezio, Dante, mediterraneo, Paolina Campo, Pavia, Sant'Agostino

“Per vedere ogni ben dentro vi gode

l’anima santa che ‘l mondo fallace

fa manifesto a chi di lei ben ode:

lo corpo ond’ella fu cacciata giace

giuso in Cieldauro; ed essa da martiro

e da essilio venne a questa pace.”      

Dante, La Divina Commedia, Paradiso, X 124-129

Mediterraneo. Se si dovessero contare gli uomini che nei secoli l’hanno attraversato; le civiltà che si sono succedute nella conquista di sbocchi importanti su questo mare; se si dovessero contare le battaglie, le scorrerie piratesche e le navigazioni a scopo commerciale, bisognerebbe esprimersi attraverso una serie di numeri infiniti. Nella foto e nei versi di Dante il Mediterraneo, il mare non c’è. Eppure, la Basilica citata da Dante custodisce una storia che ha attraversato il Mediterraneo per approdare a Pavia. La storia riguarda un grande filosofo nato a Tagaste, in Algeria, nel 354 d.C. ed eletto vescovo di Ippona, sempre in Algeria, dopo essere stato battezzato da Ambrogio, vescovo di Milano. Sant’ Agostino, attraversò più volte il Mediterraneo. Insegnò retorica prima a Roma e poi a Milano dove seguì le prediche del vescovo Ambrogio che lo battezzò e lo ordinò sacerdote. Tornato a Roma, raggiunse Ostia per imbarcarsi, attraversare il Mediterraneo e raggiungere la sua terra. Divenuto vescovo di Ippona continuò la sua attività letteraria volta a combattere l’eresia manichea, oltre che allo studio del rapporto tra ragione e fede che il filosofo non vide mai in contrasto, ma anzi in perfetta armonia. Il suo capolavoro, le Confessioni, vedono la luce nel 400 e in quest’opera autobiografica, Agostino loda il Signore per averlo condotto verso la luce della Verità. Il vescovo di Ippona morì il 28 agosto del 430, mentre i Vandali di Genserico assediavano la città algerina. Per mettere in salvo le reliquie dall’assalto dei barbari, il corpo di Sant’Agostino fu trasportato fino a Cagliari, in Sardegna. Il Mediterraneo avrebbe ancora visto le spoglie del filosofo viaggiare sulle sue acque. Circa tre secoli più tardi, il pio re longobardo Liutprando prese a cuore le sorti delle sante reliquie e nel 722 offrì un’ingente somma di denaro per riscattare il corpo del Santo Padre Agostino che ancora una volta attraversa il mare da Cagliari a Genova. Liutprando, con il suo esercito, raggiunse le sacre reliquie a Savignone e, percorrendo la via del sale, le trasportò fino a Pavia, capitale del suo regno. Il Corpo di Sant’Agostino fu deposto nella Basilica di San Pietro in Ciel d’oro, dove già riposavano i resti di un altro grande filosofo, Severino Boezio. Pavia continuò ad onorare il santo filosofo e nel XIV secolo si pensò di costruire, all’interno della Basilica, una magnifica Arca a Sant’ Agostino. Il pericolo non erano più i barbari, ma l’umidità: l’Arca avrebbe degnamente custodito le spoglie del Santo racchiudendole e proteggendole sontuosamente. La nuova “casa” del filosofo fu costruita in marmo di Carrara e su ogni lato furono scolpite scene della vita del Santo.

“-Il mare siamo noi…siamo noi…- e intanto il vento accompagnava la leggerezza di quel volo simile a quello dei petali di un bouganville che maestoso ornava case bianche e luminosi terrazzi.

La voce incalzava, voleva sapere.

-Dove andate? Che gioco è questo?-

-Ci aspetta…Ci aspetta la casetta dagli occhi di cielo!-

Quando arrivava la sera, la casa accoglieva le dodici lettere e le combinava in varia maniera perché formassero parole che descrivessero la vita, la gioia, il dolore. Così cominciava

Mare-mito-morte

Entrare-etere-errato

Denaro- dare- dire- dote

Idea-iter-ira

Terra- tradire- temere-tenero

Era-Ermete

Remo-ramo-rete

…..”

Paolina Campo, ‘Nto Scurari

LA CASETTA DAGLI OCCHI DI CIELO

21 giovedì Gen 2021

Posted by paolina campo in libri, Salina

≈ 1 Commento

Tag

'Nto scurari, magia, mare, mediterraneo, parole, pubblicazione 2018

Arrivava la sera, leggera, silenziosa, magica, accompagnata da un soffio di vento. Tutto si era compiuto: le voci, i colori, i suoni, i racconti della gente, la luce, le ombre. Un’altra pagina della storia dell’ isola era stata scritta. Era tempo di voltare pagina e dare spazio a nuove parole, a nuova meraviglia.

-Dove correte?- chiedeva la sera a dodici letterine che svolazzavano veloci sulla battigia.

-Avete paura? Di cosa? Del mare?-

-Il mare siamo noi…siamo noi…- e intanto il vento accompagnava la leggerezza di quel volo simile a quello dei petali di un buganville che maestoso ornava case bianche e luminosi terrazzi.

La voce incalzava, voleva sapere.

-Dove andate? Che gioco è  il vostro?

-Ci aspetta…Ci aspetta la casa dagli occhi di cielo!-

Quando arrivava la sera, la casa accoglieva le dodici lettere e le combinava in varia maniera perché formassero parole che descrivessero la vita, la gioia, il dolore. Così  cominciava.

MARE – MITO-

ENTRARE – ETERE –

DENARO – DARE –

IDEA – IRA

TERRA – TRADIRE –

ERA – ERMETE-

REMO – RAMO –

……

Continuava fino ad ottenere dodici gruppi di parole. Dodici, come le fatiche di Ercole, i mesi dell’anno, gli apostoli e le dodici porte della Gerusalemme Celeste. Un’ onda sceglieva per lei una di quelle parole che per tutta la notte danzava e cantava e, infine, raccontava.

ERA: l’ ho vista arrivare e riempire un sacco di petali spenti. Lo consegnò  alla Memoria e iniziò  a disegnare una curva di arrivo. E poi si portò  via il sospiro.

E ogni parola aveva il suo tempo narrante, per tutta la notte.

Arrivava poi l’alba: il vento fermava il suo soffio, stupito da tanta bellezza e la casa dagli occhi di cielo apriva la porta, consegnava le lettere al mare e attendeva di nuovo la sera.

Utopia

21 mercoledì Feb 2018

Posted by paolina campo in pensieri

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Tag

emigrazione, mediterraneo, navi, thomas more, utopia

 

img_20171116_165341371327330.jpg

foto scattata mentre viaggiavo su un aereo da Catania a Bologna

-Cosa vedi da laggiù?-

-Ci  sono storie, uomini, emozioni. Ci sono voci che viaggiano su onde per raggiungere un mondo che vive attraverso l’ascolto, la conoscenza. Sei disposta ad ascoltare?-

-Non aspetto altro.-

-Stasera ti racconto la storia di Utopia e Immortalità.-

-Sono due parole che vogliono dire tanto e forse non dicono niente.-

-Le parole sono importanti e gli uomini lo sanno. Con esse descrivono idee o le forgiano come un fabbro che batte il ferro incandescente fino a ottenere un arnese UTILE. Ecco, Utopia e Immortalità sono stati i nomi forgiati, pensati anche per due navi coinvolte nel tragico fallimento di un’utopia, di un sogno.-

-Tutti abbiamo un’isola felice, un non-luogo nascosto da qualche parte nella mente popolata da ipotesi, idee che costruiamo per pensare di migliorare quello che non riusciamo ad accettare.-

-E’ proprio così.-

-Allora dimmi, racconta!-

-Dall’idea di disperati, dalle condizioni in cui si trovarono migliaia di famiglie che dovettero strapparsi dall’anima l’amore per la propria terra, pena la fame, si costruì il sogno dell’emigrazione. Avrebbero trovato lavoro, potevano avere una casa. Vivere con dignità. L’ AMERICA, terra lontana che non aspettava altro che il loro arrivo. Questo avevano sentito dai tanti Itodleo¹, gente che aveva viaggiato e raccontava, raccontava…-

-Non ti sento più. Pensi che possa non credere a quello che dici?-

-Utopia partì da Trieste, attraversò l’Adriatico. Raggiunse Messina, poi Palermo, poi Napoli, poi Genova, raccogliendo gli emigranti dell’intera penisola. A centinaia salirono su quella nave con valigie di cartone legate da lacci: uomini, donne, bambini per inseguire il sogno americano, sistemati in terza classe, ammassati in cameroni con centinaia di letti a castello. Era marzo e soffiava forte il vento. Si alzavano alte le onde e Utopia fendeva a fatica quell’acqua furente.-

-Si fermarono a Genova? Attesero che la tempesta passasse?-

-No. Il viaggio continuò. Si era appena all’inizio. C’era l’oceano da attraversare. Il comandante decise di fermarsi a Gibilterra, per rifornirsi di viveri e carbone. Così dissero. Ma una manovra azzardata spinse Utopia verso il rostro sottomarino di una corazzata inglese lì ormeggiata. Un enorme fendente aprì un fianco della nave che cominciò a imbarcare acqua e affondò.-

-Ma le scialuppe? I soccorsi?-

-Il mare agitato scaraventò sugli scogli i corpi di chi era riuscito ad uscire dalla nave, qualcuno si aggrappò alle scialuppe, altri rimasero ancorati a qualche trave divelta. Dalla corazzata Immortalità, partirono due scialuppe e due marinai coraggiosi si lanciarono verso le onde per soccorrere quei disperati. Annegarono insieme ad altri 500 e forse più.-

-Utopia, Immortalità. Sogno, desiderio di esserci per sempre. Non nel cuore di molti.-

-Se si potesse far piovere gioia e gratitudine per le cose  belle che si trovano in ogni angolo della Terra; se si potesse spingere il vento della pace e non quello della guerra; se si potesse credere che quello che dice il cuore è la cosa giusta e il lavoro, i sacrifici non andassero dispersi nel fuoco dell’indifferenza; se….. Nessuno scapperebbe mai dal suo paese. Se…Basta! E’ solo un’utopia! Non senti? Il mondo fa ancora sentire il suo grido di dolore.-

 

¹Nel romanzo di Thomas More UTOPIA, pubblicato nel 1516, Raffaele Itodleo è un personaggio immaginario che, tornato da uno dei suoi viaggi, racconta di un’isola felice, Utopia appunto.
Per saperne di più:
http://www.popolis.it/il-naufragio-dell’utopia/
http://www.lettereabbruzzesi.org

 

Trinacria matematica (i numeri strani di Pitagora e Archimede)

23 lunedì Ott 2017

Posted by paolina campo in scienza, Sicilia

≈ 4 commenti

Tag

Archimede, mediterraneo, numeri, Pitagora

Allor incontro ti verran le belle

Spiagge della Trinacria isola, dove

Pasce il gregge del Sol, pasce l’armento:

sette branchi di buoi, d’agnelle tanti,

e di teste cinquanta i branchi tutti[1]

 

Ulisse era quindi arrivato nella Trinacria isola, in Sicilia, precisamente a Tauromedion, l’odierna Taormina, dove pascolavano le mandrie del Sole.

Trinacria era l’antico nome della Sicilia presso i greci, composto da Τρϵῖς (tre) e ἄκρα (promontorio), usato per riferirsi a un’isola dalla conformazione geografica strana, che parla di numeri, di figure geometriche, una in particolare: il triangolo.

Quando nel VI a.C. Pitagora (569-500?a.C.) introdusse un modo nuovo di fare matematica, concettualizzando il numero e liberandolo dalle cose, dalla conta delle cose, il triangolo rappresentò armonicamente la somma dei primi quattro numeri della sequenza numerica e la Tetraktys si legò al numero 10 che tra i pitagorici possedeva un valore mistico.

tetra

Le rigide regole della scuola pitagorica erano state tracciate a partire dai numeri interi e dal loro rapporto espresso secondo la formula n+1 per cui, nell’atto del contare, il passaggio da un elemento ad un altro avveniva sempre allo stesso modo:

1, 1+1=2, 1+2=3 e così via.

La matematica quindi era pensata come la successione di numeri discreti, finiti, distinti e identificabili. Ben presto si intuì che tra un numero e un altro esisteva la possibilità di trovare altri numeri che descrivevano un andamento che non procedeva per salti ma segnava un percorso continuo da un elemento a un altro.

Consideriamo, ad esempio, un segmento:

 

img_20170914_090639.jpg

 

tra il numero 1 e il 2, tra il 2 e il 3 e oltre, è possibile pensare ad altri numeri che dividono il segmento, che però non sono numeri interi. La difficoltà aumentò quando si trattò di considerare il rapporto tra il lato di una figura geometrica e la sua diagonale, rapporti misteriosi. Come misterioso e magico era il rapporto tra il lato del pentagono e la sua diagonale, indicato con la lettera greca φ=1,618033… esempio primordiale di incommensurabilità, cioè impossibilità di misurare lato e diagonale con la stessa unità di misura.

pentagono stellato

I pitagorici dovettero scontrarsi con un altro esempio di incommensurabilità che però sfuggì ai lacci magici a cui era legato  il numero.

Ippaso, discepolo di Pitagora, si rese conto dell’incommensurabilità del lato del quadrato e della sua diagonale: se il lato del quadrato è 1, la misura della diagonale risultava √2  che non era propriamente un numero, almeno nel significato che Pitagora ne aveva dato. La scoperta venne divulgata, uscì dai rigidi schemi pitagorici per affidarsi al libero pensiero, suscitando l’ira del maestro. Secondo la leggenda, nel mare della Trinacria, nel Mediterraneo, si consumò il dramma di Ippaso: condannato di apostasia per avere divulgato la scoperta di un rapporto matematico imbarazzante, fu allontanato dalla scuola e, durante un naufragio, si lasciò morire consegnando alle onde non solo il suo corpo, ma anche la √2 ; il numero aureo φ=1,618033…; π=3,14…che invece descriveva il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro.

Il famoso rapporto tra la circonferenza e il suo diametro era un problema antico. La prima documentazione di questo rapporto risale al 1650 a. C., e si trova su un documento che oggi è noto come il Papiro Rhind, conservato al British Museum di Londra. Esso riguarda da vicino uno dei problemi classici dell’antichità: la quadratura del cerchio.

«Lo studio della misura del cerchio fu ripreso con rinnovato impegno nel IV secolo a.C. dai greci. Essi erano interessati- e secondo alcuni ossessionati-non alla misurazione di terreni ma all’esplorazione di idee…Fu un’epoca aurea per il pensiero, e benchè il rapporto fra circonferenza e diametro non fosse certo il problema più importante del tempo, attrasse quasi certamente l’interesse di alcune fra le menti più grandi della storia antica.»[2]

Archimede (287-212 a.C. ) fu tra le menti più geniali dell’antichità e i suoi interessi  furono molteplici, dalla matematica, alla fisica, alla meccanica: –datemi un punto d’appoggio e vi solleverò la Terra!- esclamazione che sottolineava la soddisfazione  per le sue scoperte delle leggi sulle leve.

Nato a Siracusa, ai tempi di Ierone II, è considerato il più grande matematico della Magna Grecia. A proposito di π, Archimede concentrò la sua attenzione sui perimetri di due poligoni, uno inscritto e l’altro circoscritto ad un cerchio. Approssimò il cerchio ad essi, raddoppiando quattro volte i lati dei due esagoni, fino ad ottenere due poligoni di 96 lati di cui calcolò i perimetri. Presentò quindi il suo risultato nella Proposizione 3 del Trattato Sulla misurazione del cerchio, affermando che la circonferenza di un cerchio è tripla del suo diametro e lo supera ancora meno di 1/70 del diametro e più di 10/71. Quindi π, numero infinito e trascendentale, è un numero compreso tra 3+1/70 e 3+1/71, che convertito in numeri decimali si può scrivere 3,1408…< π <3,1428….. La precisione con cui Archimede operò l’approssimazione di π fu tale che questo intervallo venne considerato validissimo per molto tempo. La conferma della fama dello scienziato siracusano come maggiore matematico dell’antichità e del suo gusto tutto particolare per i grandi numeri, è dimostrato anche da altri due suoi lavori: l’Arenario e il Problema dei buoi. Quest’ultimo è ispirato all’ episodio del dodicesimo canto dell’Odissea sopra riportato. Con una fantasia che superava quella del poeta, Archimede sfidò Eratostene[3] nel calcolo di tori e vacche, suddivisi in bianchi e neri, fulvi e screziati. La soluzione del problema lo portò al risultato che il numero dei bianchi più quello dei neri sia un numero quadrato, del tipo n·n=n2; il numero dei fulvi più quello degli screziati sia un numero triangolare[4], del tipo n·(n+1)/2. Arrivò a numeri enormi, fino a 200.000 cifre. Omero ne aveva immaginate solo 350 (7 volte 50)!

Ma è con l’Arenario, trattato dedicato a Gerone, tiranno di Siracusa, che il suo genio matematico arrivò a pensare l’infinitamente grande. La miriade era il massimo numero per il quale i greci avevano un nome. Una miriade stava per 10.000. Valutando la grandezza di un granello di sabbia, Archimede assumeva che 10.000 granelli di sabbia potessero essere contenuti in una sfera della grandezza di un seme di papavero. Partendo da questo seme e proseguendo nel considerare volumi e sfere sempre più grandi, arrivò a considerare la sfera del cosmo ( cioè la sfera avente per raggio la distanza Terra-Sole, 1010stadi, secondo i calcoli di allora) e la sfera delle stelle fisse, utilizzando le tesi dell’astronomo Aristarco. Dopo aver fatto tutti i calcoli, provò che il numero dei granelli di sabbia contenuti nel cosmo era minore di 1051, e quello contenuto nella sfera delle stelle fisse era minore di 1063. Archimede non usava questa notazione scientifica,  cioè l’elevazione a potenza, che permette di visualizzare cifre significative di numeri troppo piccoli o troppo grandi. Tale procedimento non era ancora conosciuto negli ambienti matematici grechi. Usava, invece, un sistema che ricorda la tecnica tipica dei quadrati magici: «iterò le miriadi di miriadi, pari a cento milioni, su righe e colonne di una gigantesca tabella, fino a un numero da capogiro che chiamò una miriade di miriade della miriade-miriadesima riga della miriade-miriadesima colonna, pari ad un 1 seguito da cento milioni di miliardi di zeri»[5]. Solo nel 1933, il matematico Samuel Skewes ha calcolato un numero più grande. Con Archimede, la matematica cominciava a liberarsi dai ceppi della metafisica. Egli ragionò con assoluta libertà, una libertà che, qualche secolo dopo, Cantor rivendicò per i matematici che dovevano essere liberi di inventare ciò che volevano.

Il risultato che considerò il migliore tra tutti quelli raggiunti è stato certamente il calcolo della superficie e del volume della sfera. Aveva scoperto che se si paragonava la sfera ad un cilindro che la contenesse esattamente, il rapporto tra la superficie della sfera e quello del cilindro risultava di due terzi. E anche il rapporto tra i volumi era lo stesso.

sfera

Archimede considerò questo risultato come il suo capolavoro, tanto che lo scelse come epitaffio. Infatti, come ci racconta Cicerone nelle Meditazioni tuscolane, sulla tomba del matematico siracusano era incisa una sfera inscritta in un cilindro con impresso il loro rapporto: 2 ⁄3

XXIII. [64] Non ego iam cum huius vita, qua taetrius miserius detestabilius escogitare nihil possum, Platonis aut Archytae vitam comparabo, doctorum hominum et plane sapientium: ex eadem urbe humilem homunculum a pulvere et radio excitabo, qui multis annis post fuit, Archimedem. Cuius ego quaestor ignoratum ab Syracusanis, cum esse omnino negarent, saeptum undique et vestitum vepribus et dumetis indagavi sepulcrum. Tenebam enim quosdam senariolos, quos in eius monumento esse inscriptos acceperam, qui declarabant in summo sepulcro sphaeram esse positam cum cylindro.[6]

La tomba di Archimede a Siracusa non esiste più, ma la sua opera rimane una pietra miliare nella storia della Trinacria isola: il tempo ha distrutto la sua lapide ma non ha cancellato le sue formule.

 

Bibliografia:

-Eric T. Bell, I grandi matematici, Milano, BUR rizzoli, 2010

-Carl B. Boyer, Storia della matematica, Milano, OSCAR MONDADORI, 2010

-Paolo Zellini, Breve storia dell’infinito, Milano, ADELPHI, 2011

-Piergiogio Odifreddi, Il matematico impertinente, Milano,  Longanesi, 2008

-Piergiorgio Odifreddi, C’è spazio per tutti, Milano, Mondadori, 2011

-David Blatter, Le gioie del π, Printed in Italy, Garzanti libri s.p.a., 1999

-Marco Tullio Cicerone, Tusculanae disputationes [PDF]

www.documenta-catholica.eu

-Omero, Odissea, tradotta da Ippolito Pindemonte, Milano, La Prora, 1949

[1] ODISSEA, libro XII, 164-168

[2] David Blatner, LE GIOIE DEL π, Garzanti Libri s.p.a., 1999, Printed in Italy, pag.15

[3] Intellettuale, amico di Archimede al tempo dei suoi studi ad Alessandria d’Egitto.

[4] Platone, nel Teeteto, aveva distinto tra numeri quadrati e oblunghi, derivando la distinzione da Pitagora che parlava di numeri quadrati e numeri triangolari: i numeri quadrati derivano da misure tra loro omogenee, quelli triangolari consistono di misure tra loro diverse

[5] P. Odifreddi, Progetto Polimath, TRE RE MATEMAGICI PER UN’EPIFANIA [online]//http://areeweb.polito.it/didattica/polimath

[6] Marco Tullio Cicerone, Tusculanae disputationes [PDF], V libro, http://www.documenta-catholica.eu

La casetta dagli occhi di cielo

22 giovedì Giu 2017

Posted by paolina campo in Salina

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lettere, mediterraneo, parole, Salina, sera

Arrivava la sera, leggera, silenziosa, magica, accompagnata da un soffio di vento. Tutto si era compiuto: le voci, i colori, i suoni, i racconti della gente, la luce, le ombre. Un’altra pagina della storia dell’ isola era stata scritta. Era tempo di voltare pagina e dare spazio a nuove parole, a nuova meraviglia.

-Dove correte?- chiedeva la sera a dodici letterine che svolazzavano veloci sulla battigia.

-Avete paura? Di cosa? Del mare?-

-Il mare siamo noi…siamo noi…- e intanto il vento accompagnava la leggerezza di quel volo simile a quello dei petali di un bouganville che maestoso ornava case bianche e luminosi terrazzi.

La voce incalzava, voleva sapere.

-Dove andate? Che gioco è  il vostro?

-Ci aspetta…Ci aspetta la casa dagli occhi di cielo!-

Quando arrivava la sera, la casa accoglieva le dodici lettere e le combinava in varia maniera perché formassero parole che descrivessero la vita, la gioia, il dolore. Così  cominciava.

MARE – MITO- MORTE- MARE

ENTRARE – ETERE – ERRATO

DENARO – DARE – DIRE – DOTE

IDEA – ITER – IRA

TERRA – TRADIRE -TEMERE- TENERO

ERA – ERMETE

REMO – RAMO – RETE

……

Continuava fino ad ottenere dodici gruppi di parole. Dodici, come le fatiche di Ercole, i mesi dell’anno, gli apostoli e le dodici porte della Gerusalemme Celeste. Un’ onda sceglieva per lei una di quelle parole che per tutta la notte danzava e cantava e, infine, raccontava.

MORTE: l’ ho vista arrivare e riempire un sacco di petali spenti. Lo consegnò  alla Memoria e iniziò  a disegnare una curva di arrivo. E poi si portò  via il sospiro.

Arrivava l’alba: il vento fermava il suo soffio, stupito da tanta bellezza e la casa dagli occhi di cielo apriva la porta, consegnava le lettere al mare e attendeva di nuovo la sera.

Una Y in mezzo al mare

13 domenica Nov 2016

Posted by paolina campo in Salina

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Tag

capperi, mare, mediterraneo, passione, Sapori eoliani, storia, uva

I turisti lo sanno bene: le isole Eolie sono straordinarie. Una testimonianza eccezionale di quanto l’energia vulcanica possa creare catastrofe e bellezza maestosa e suggestiva,nello stesso tempo. Sette isole a forma di Y.¹

Y, come il cratere di un vulcano che lancia lapilli, cenere, magma, vapore, fuoco per generare bellezza all’infinito. Un Y tra le acque del Mediterraneo che già solo il nome evoca parole come terra, madre, remi, Dio, note, eterno e… meditare, remare, tremare, mirare. Parole su parole come onde che lambiscono la Y.

Salina è al centro della Y.²

Di un luogo se ne può sempre sentire il respiro, anche se si è lontani, specie se quel respiro ti è entrato dentro e circola costantemente e per sempre nei tuoi pensieri. Di un luogo puoi ascoltare tante voci quante ne sei capace di trovare, aprendo le porte della sua storia.

 

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Si apre una porta, lì proprio al centro di quell’incognita ( perché non ne sapremo mai abbastanza!): ci sono dei bambini, giocano a iadduzzu, a galletto.

Spinni tu e spinnu iò

E’ già Natale e la magia di cristalli di zucchero attaccati ai grappoli di uva passa, fa scintillare gli occhi dei bambini. A settembre gli uomini avevano provveduto al lavaggio di cannizzi, cuofini e botti con acqua di mare. Avevano portato tutto giù al molo e alzando su le maniche delle camicie e i gambali dei pantaloni, erano entrati anche loro in acqua. C’era stata la vendemmia e poi la pigiatura dell’uva da vino, e la paziente operazione di essiccamento dell’uva malvasia stesa al sole sui cannizzi. Una volta raccolta tutta l’uva, la signora Elena aveva riempito d’acqua una grande quadara, un grande pentolone di alluminio, per preparare la liscia, una sorta di sciroppo dove al posto dello zucchero si faceva sciogliere nell’acqua la cenere di tralci di uva che la signora era solita fare bollire per 36 ore. Trascorso quel lungo bollore, si era munita di una grossa schiumarola dal manico lungo e, sistemati nell’utensile i grappoli di minnilottina, uva prelibata, li aveva immersi nella liscia bollente. Quando i chicchi dell’uva cominciavano ad aprirsi, comare Elena aveva tirato fuori i grappoli che con delicatezza dovevano essere sistemati sui cannizzi. Bisognava rigirali tante volte nel corso dei giorni che servivano perché tutti i chicchi fossero raggiunti dal sole e diventassero scuri. Poi erano pronti per essere conservati in un panno di cotone bianco come la neve e riposti nella credenza fino a Natale. Questo periodo di incubazione avrebbe creato la magia degli zuccherini.

Spinni tu e spinnu iò

e chi spenna l’ultimo chicco di uva brillante di zucchero, paga il pegno.

Lì, dove un faro sta di sentinella a un laghetto dove si produceva il sale che un tempo portò tanta ricchezza ai mercanti dell’isola di Salina, si apre ancora una porta. C’é festa, la gente è allegra e sventola una bandiera. E’ l’1 maggio del 1918. Autorità civili e militari insieme ai cittadini della piccola ma popolata frazione di Lingua, inaugurano l’Ufficio Postale, voluto dal Cav. Giovanni A. Giuffre’. Rosina Lo Schiavo sarà la direttrice e le succederà Ersilia Grazia Dydime, figlia del notaio Domenico Giuffre’, primo sindaco di Santa Marina.

foto-storica-lingua

Lo zio Bartuluzzo, con la bandiera in mano, è vedovo da tre anni e ha quattro bambini accuditi dalla zia Rosina, che fa da mamma a tutti. Quel bimbo vestito di nero è Nino, Nino Lo Schiavo, che da grande sarà direttore del periodico Avvenire Eoliano, dal 1927 al 1929, e più tardi riavvierà il commercio della malvasia, dopo il disastro della fillossera. Dietro di lui, Ersilia Grazia Dydime Giuffre’. Storia.

Posso ancora aprire un’altra porta, sì, quella che si apre dove il sole al tramonto ti strappa il cuore e spesso il vento parla e narra: c’era una volta…. Dietro questa porta soffia un delicato vento di passione e rispetto, giovane e affascinato, con occhi di cielo volati lontano perché anche gli angeli possano godere dei sapori e dei profumi eoliani.

 

foto (62)
foto (63)

Su tutte le porte che si possono aprire, si schiude la speranza di potere abbracciare per sempre tanta bellezza, che diventi contagiosa, irresistibile per tutti, non solo per tanti. Per custodire un paradiso dove “non dovrebbero esserci più poveri”³.

¹www.partecipare.net/Paolo Basurto, PARADISI DA NON PERDERE-LE ISOLE EOLIE

²Ibid.

³Ibid., Antonio Brundu

I miei libri

era
vi racconto
l'uomo di
A fine giornata
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