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Essere madre
08 domenica Mag 2022
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08 sabato Mag 2021
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Ti vedo
nell’allegria che a volte
mi prende
per un pensiero leggero,
o un cibo saporito
che sa di antico;
nella malinconia
di un tempo che non torna,
di sguardi lontani,
di parole non dette;
nei gesti di un corpo
che mi sorprendono
e rifletto che non sono solo miei;
nelle dita, nelle gambe, i capelli
e poi anche lo sguardo.
Ti ascolto,
nelle vecchie canzoni,
nelle melodie, negli echi
di rime e di cunti
che ogni volta mi spezzano il cuore
perché eri una donna
ed eri mia madre.
28 mercoledì Apr 2021
Posted poesia
inMolto grata a Luisa Zambrotta che mi ha invitata su Facebook a partecipare al DECENNIO DI AVVICINAMENTO DELLE CULTURE- Esposizione internazionale, virtuale. Pubblicherò ogni giorno una poesia, per dieci giorni.
UNA DONNA
Mia madre aveva una pelle bellissima,
liscia e profumata come sapone che sa di pulito.
Nessuna ruga segnava quel viso,
e la voglia di vivere
era scritta con lettere chiare
in ogni angolo del suo sorriso.
Era liscio e splendente quel viso,
come lama di spada che sfida ogni male
perché voleva vincere e continuare a lottare.
Consegnò fiera la sua vita al sonno eterno
e nessuna ruga contò il suo tempo.
Donna, che lotti
per avere uno spazio, una voce, un pensiero,
che al mattino ti svegli
per capire cosa dire, cosa fare;
che la sera ti abbandoni a pensieri
che sai voleranno lontano
da questo mondo strano,
guarda in faccia la vita,
tieni a bada il tuo cuore,
impara da chi fiera lottò
e la morte non trovò sconfitta.
11 giovedì Mag 2017
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E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
19 mercoledì Apr 2017
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Vogghiu ‘na vesti fatta di sita, tutta guarnita di bascilicò
Vogghiu. Voglio, voce del verbo volere. Nel senso di desiderare, volere qualcosa di cui si sente la mancanza, la nostalgia. Provare desiderium. Oppure nel senso di de-sidere, di distogliere lo sguardo dalle stelle, smettere di fantasticare e darsi da fare. Un po’ come i viaggiatori di una volta che guardavano le stelle per orientarsi e poi ne dovevano distogliere lo sguardo per seguire la rotta, cavalcare le onde: non c’era tempo per dare ascolto al desiderium, alla nostalgia di qualcosa che mancava, che faceva parte del passato. De-sidere: distogli lo sguardo dalle stelle e opera, lavora, agisci.
Vogghiu ‘na vesti fatta di sita. Fatta, participio passato del verbo fare. Nel senso di costruire, realizzare qualcosa. Con le mani. Fare qualcosa con le mani e, via via, perfezionare una tecnica. Impara l’arte e mettila da parte. Saggezza popolare del de-sidere. Interviene poi il genio creativo, la danza della mente, e ciò che prima è solo manufatto diventa arte.
Gli uomini acquistano scienza e arte attraverso l’esperienza. L’esperienza, infatti, come dice Polo∗, produce l’arte, mentre l’inesperienza produce il puro caso.
Aristotele, METAFISICA, A, 1, 981 a
Di sita. Di seta, tessuto pregiato che di un vestito ne evoca l’eleganza di antiche regge orientali, di principesse innamorate e tradite. Si torna a guardare le stelle e la mente viaggia lontano. C’era la guerra e si cantava, per allontanare la paura dal cuore. C’era la guerra e si sognava di avere ‘na vesti di sita, per non sentire il murmuriu della fame e immaginare di essere seduti a una tavola riccamente imbandita.
Tutta guarnita di bascilico’
Bascilico’. Basilico. Basilikos, erba degna di re, regale (Teofrasto, III secolo a. C.). Palermo, gli arabi, le cupole rosse, le spezie.
Vogghiu ‘ na vesti fatta di sita, tutta guarnita di bascilico’
Una sorta di stornello siciliano che mia madre non ricorda piu’ ma con un filo di voce accenna ancora una strofa
Viri chi ciavuru
Viri. Vedi, voce del verbo vedere. Con gli occhi. Ma anche con la mente, con il cuore.
Ciavuru. Profumo, odore. Storia, ricordo. Che vedi.
∗Polo di Agrigento, discepolo di Gorgia di Lentini, celebre sofista. Il Gorgia è un dialogo giovanile di Platone (386 a. C. circa) dove tra i personaggi compaiono Polo e Gorgia.
14 mercoledì Dic 2016
Non parli. Mi scruti con uno sguardo pieno di domande, di cose che vorresti dirmi. Dove sei? In quale angolo della tua memoria?
-Melina, ti ricordi quando andavamo al cinema e pagavi tu? Ricordi quando ci divertivamo a inseguire le canzoni che per la strada sembravano soffiare allegria anche se c’era stata la guerra?
Aiu un cappidduzzu
tantu sapuritu!
Quannu mi l’aia mettiri?
Quannu mi fazzu zitu!
Acchianu di lu Cassaru,
scinnu pi li Banneri,
tutti ca mi salutanu:
Bongiornu cavaleri!∗
Lo so, non è facile essere madre e non è stato facile per me essere figlia, essere donna: in bilico tra ciò che si vorrebbe dire e ciò che è meglio non dire perché tutto doveva essere ricomposto, perché sempre bisognava tornare a cantare. Non parli. Aggrotti le ciglia come se aspetti che io dica qualcosa. Accenni un sorriso, come se ancora vuoi incoraggiare questa figlia strana, sognatrice, un po’persa tra idee di bellezza, di stupore che ha cercato dentro il tuo sguardo e nel tuo pazzo amore per un uomo forte, determinato che con una lettera ti ha rapita.
-Milurè∗, ti ricordi le risate quando passava quello con i pantaloni tutti strappati e pure lui cantava?
Aiu un pantaluni
tuttu afflittu e scunsulatu
tuttu spaiddatu, arripizzatu!
C’addumannu mezza lira
u papa’ si sfila, a mamma s’arritira
dicennu: figghiu, chi vampa chi c’è!∗
-E poi passava per chiedere l’elemosina
Si rispetta u zu pitittu!∗
Continui a non parlare e a scrutarmi dentro. Quanta forza hai nascosta dentro quel corpo martoriato? Come fai a sopportare tutto questo? Sì, sì! Ci sono state le bombe, la guerra, gli sfollati, la fame. E si cantava. E poi il matrimonio, i figli, tanti figli da girare la testa, da diventare matti. Eppure si cantava.
-Mamma, ricordi?
Nigni, nigni, la campanedda
c’ è na povira virginedda,
chi cantava la litania
pi Giuseppi e pi Maria.
E Maria palermitana
acchiana e scinni di la funtana…∗
Io non so niente, sono una pulce davanti a te, a papà, alla vostra forza. Ma una cosa di certo la so: continuerò a cantare e a conservare quello che di bello mi avete consegnato. Sono una povera convinta, sognatrice che viaggia col pensiero su soffici nuvole, che vuole per sempre farsi cullare da ciò che di leggero, ma burrascoso, c’è stato nel vostro amore. Per mantenere vivo per sempre il mio amore.
∗Ho un cappellino, tanto grazioso/ quando lo devo mettere?/ Quando mi fidanzo!/ Salgo dal Cassero, scendo per via Bandiera/ tutti che mi salutano/ Buongiorno, cavaliere!/ (Il Cassero e via Bandiera, quartieri della vecchia Palermo)
∗Milurè, vezzeggiativo di Melina, come la chiamava uno dei fratelli della mamma.
∗Ho un pantalone tutto afflitto e sconsolato/ tutto strappato e rattoppato/ Chiedo mezza lira/ il papà respira, la mamma si ritira/dicendo: figlio, che vampa che c’è!
∗Si rispetta lo zio pititto(fame)
∗Nigni, nigni la campanella / c’è un povera verginella/ che cantava la litania per Giuseppe e per Maria/ E Maria, palermitana/ sale e scende dalla fontana.
24 venerdì Giu 2016
Posted Salina
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Ricordo le prime luci dell’alba,
quando il sole da dietro un monte si affacciava,
e iniziava a dipingere il cielo di caldi colori pastello.
Ricordo un bambino, appena nato,
avvolto in una morbida coperta,
all’ombra di un grande albero.
Ricordo una mamma, vigile e attenta,
piegata a raccogliere, insieme ad altre donne,
chili e chili di capperi.
Con mano veloce, riempiva la tasca che alla vita si era legata;
poi la svuotava in un sacco di juta, e ricominciava daccapo.
Trascorsa che era la frescura dell’alba,
il bimbo cominciava a dimenarsi:
aveva fame, aveva sete, non voleva più dormire.
Accorreva allora la sua mamma:
si slacciava la tasca e, prendendolo in braccio,
si accovacciava anche lei sotto l’albero.
Allattava il suo bambino,
mentre il sole, uscito allo scoperto,
si specchiava nel mare e
nel sorriso amorevole di una madre.