In un angolo di mondo dove il cielo ed il mare si tenevano per mano, ogni cosa, ogni ricordo sembrava incastonato in un azzurro dalle mille sfumature.
Ogni cosa, ogni ricordo si vestiva di grandi emozioni, fluttuanti tra le onde di un mare che sembrava trattenuto dall’orizzonte.
Il cielo apriva il libro della vita di un’isola dove storie di contadini si intrecciavano a storie di sacerdoti dal cuore umile. Vicende di navigatori temerari sfociavano in opere che coinvolgevano le comunità paesane.
Storie di uomini che avevano amato quel cielo, quel mare. Storie di gente che aveva provato il dolore di un destino che li aveva portati via da quell’aria che profumava di verde e di azzurro.
C’era spesso una nuvola sull’isola di Salina: sembrava la dimora di un angelo che conosceva profondamente l’anima dell’isola.
E quando veniva la sera, qualcuno si attardava sul molo.
Un uomo immobile contemplava dal porto il suo mare, su cui lentamente si spegnevano le luci raggianti del cielo.
Con una mano sorreggeva il suo viso segnato da rughe profonde.
Che pensava? Che diceva in silenzio?
Aspettava che arrivasse la sera che lenta si stendeva come un velo leggero sull’anima forte del mare. Il suo sguardo si perdeva lontano negli abissi più profondi. In silenzio discuteva col mondo. Immaginava che dietro l’orizzonte, insieme al sole, fossero scivolate le storie perdute nel silenzio di un tempo che solo il ricordo poteva far sorgere ancora.
Improvvisamente, figure leggere si muovevano lente al confine tra il cielo ed il mare: raccontavano tutta una vita, scritta lungo quel filo sottile dove il sole voleva sparire.
E in religioso silenzio, quell’uomo, dal molo, continuava a dialogare col mondo.
-Paolina, abbiamo letto agli anziani alcune storie tratte da uno dei tuoi libri.-
Felicità. Accade a Salina, nella casa per anziani di Valdichiesa, piccola frazione abbracciata da due monti e dal mare, dove l’ aria è buona, e il silenzio racconta di un campanellino che per tre volte suona per accendere i cuori di amore vero. Accade lì dove sorge il Santuario della Madonna del Terzito, madre che accoglie e non abbandona, dove si coltiva tenerezza e germoglia gioia, dove è primavera tutte le volte che ci si incontra, perché nessuno merita di rimanere solo. Accade dove la memoria, fatta anche di poche parole, diventa un dono prezioso, un vestito importante, un’ arma vincente contro un presente troppo sfuggente.
Ci sono cose nella vita che non hanno bisogno di troppe parole. Basta uno sguardo, un abbraccio perché un’energia buona arrivi a darti nuovo vigore. Quel giorno Maria si era abbandonata a un pianto liberatorio. La sua vita doveva essere riconsegnata a quei ciottoli che un giorno aveva lanciato in mare.
-Andiamo alla nostra spiaggetta- le disse una delle sue amiche. La ragazza andò in camera sua. Tolse il vestito troppo elegante che la portava lontano dalle esigenze del suo cuore e lo poggiò distrattamente su una sedia. Tolse anche le scarpe, legò i capelli con un elastico azzurro, indossò un paio di bermuda, una maglietta e un paio di infradito. Si guardò allo specchio e sorrise. Uscirono per strada e prima di dirigersi verso il mare, Gisella volle passare da casa sua.
-Piccolo amore mio, vieni con noi!- Prese il suo bambino tra le braccia e uscì fuori. Maria, commossa, gli prese la manina, lo accarezzò dolcemente e chiese alla sua amica di portare lei il bimbo fino alla spiaggia. Era già buio quando arrivarono, ma una luna splendente illuminava i volti raggianti delle ragazze. Raccolsero legni per accendere un falò, sistemarono il piccolo su morbide tovaglie di spugna e si sedettero in cerchio.
-Suonerò il violino, canterò canzoni alla luna e voi, care amiche, racconterete storie! Forza Maria, comincia tu- disse Betty.
-Nonna Melina comprò una volta una gallinella e un galletto. Lei era dolce e remissiva e girava per l’aia con fare tranquillo e senza troppe pretese. Il galletto era vispo e dispettoso, ma quanto era bello! Lunghe piume dai colori variopinti ornavano la sua coda che brillava al sole ed una cresta rossa ed arricciata faceva da corona ad un reuccio conscio della sua beltà. Si affezionò molto a nonna Melina e le gironzolava attorno con fare sornione. Saliva disinvolto sui suoi piedi, poi sulle sue gambe fino ad arrivare in cima alla testa della nonna che, divertita, lo lasciava fare. Quando divenne “giovanotto”, cominciò ad allontanarsi dalla sua aia per andare in perlustrazione. Arrivò un giorno in un pollaio dove viveva una bella gallinella bianca di cui si innamorò. Cominciava così un periodo di serio corteggiamento. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, si incamminava per andare a prendere la sua amata e tornare insieme a lei dalla nonna per mangiare. Prima di sera, il galletto riaccompagnava la sua bella al pollaio e ritornava a casa. Se tardava, la nonna lo chiamava: “pio, pio, pio!” Allora lui faceva capolino da dietro una grande pianta di fichidindia e presto rincasava. Un giorno si sentì un grande schiamazzo provenire dal pollaio proprio dietro la pianta: il galletto, preso da un attacco di gelosia, aveva spezzato l’anca al gallo compagno di aia della sua amata. La sera dopo non tornò. Dov’era finito? Perché non rispondeva al richiamo della sua padrona? Perché si era addormentato nel giardino antistante il pollaio della vicina con “lei” da una parte ed il suo rivale dall’altra.-
Tutte risero e batterono le mani.
-Adesso tocca a te Sophia. Quali storie di bianche fate ci puoi raccontare?-
Sophia si alzò, guardò il cielo e cominciò a recitare:
-Disse Volva, la Veggente: con forza da sud il sole, compagno della luna, stese la mano destra verso l’orlo del cielo; il sole non sapeva dov’era la sua corte, le stelle non sapevano dov’era la loro dimora, la luna non sapeva qual’era il suo potere. Andarono allora gli dei tutti ai troni del giudizio, divinità santissime e su questo deliberarono: alla notte e alle fasi lunari nome imposero; al mattino dettero un nome e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera per contare gli anni.–
Le parole di Marina si diffondevano magicamente nell’aria. Tutte si alzarono e danzarono leggere attorno al fuoco. Gisella prese il suo bimbo e cantò un’antica ninna nanna cullandolo teneramente. Se è vero che la musica è conversazione, dialogo, il violino di Betty parlava al cuore di ognuna. Nel susseguirsi delle note vi era l’invito a danzare insieme facendo dei grandi cerchi, tenendosi per mano e saltando ora su un piede ora su un altro in un balletto semplice e gaio.
Ogni immagine, ogni scena sembrava il risultato di un grande disegno, un’opera d’ arte suprema in cui tutto partecipava di tutto: il cielo, le stelle, il mare, le barche, i ciottoli scuri come la notte mentre la luna tonda, brillante e luminosa vegliava sull’amicizia delle ragazze della piccola spiaggia del vulcano.