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Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Raccolti attorno a una piccola croce di legno piantata in un angolo del giardino, ci scambiammo l’ultimo sorriso di tenero cordoglio: era morto un altro passerotto a cui volevamo salvare la vita.
I malcapitati uccellini appartenevano al bottino di una giornata trascorsa scorrazzando per la campagna che, per me e i miei fratelli, era una sorta di El Dorado. Tutto quello che ci veniva incontro durante il nostro girovagare, ci rendeva sovrani del territorio, capitani coraggiosi. Pietre appuntite, tonde, scure, chiare; erbette profumate, vanitose, impreziosite da fiorellini viola, gialli, bianchi o rosa; pelli di serpente, lucertole da inseguire, farfalle colorate e passerotti caduti dal nido: tutti trofei di cui andare fieri.
– Guardate! Poverino! È caduto dal nido! È piccolissimo! Ha fame! Ha freddo!
Immediatamente si muoveva la macchina del soccorso passerotti: piccole tovagliette per asciugarlo, molliche di pane per ingozzarlo e occhi puntati su quell’esserino che dopo qualche ora di insistenti attenzioni, moriva, probabilmente per un infarto.
Bisognava allora preparare il funerale, secondo il rito seguito dai grandi quando moriva un parente o un amico.
Recuperata una scatola di cartone, vi sistemavamo con cura l’uccellino privo di vita. Comunicando solo con rispettosi movimenti della testa e rimanendo sempre in silenzio, chiudevamo la scatola con il coperchio. Ci avviavamo quindi in giardino, rigorosamente in processione. Una preghiera, due preghiere, un mazzolino di papaveri rossi o margherite di campo, un momento di raccoglimento e poi eravamo pronti per altri “salvataggi”.
Dopo cinque o sei croci, e altrettanti funerali, abbandonammo l’idea di salvare i passerotti e ci dedicammo ad altro.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Dal silenzio di un tempo che torna e poi svanisce, emergono immagini, si sovrappongono voci. Qualcuno mi viene a trovare, mi sussurra qualcosa: è una bimba magra, minuta, i capelli neri e gli occhi malinconici. Mi prende per mano e mi accompagna attraverso sentieri che avevo dimenticato. Ci imbarchiamo su un’onda e approdiamo su una riva popolata da bambini che mi aspettano.
Profumo di zagara. È primavera. Ci immergiamo in un giardino di alberi alti e tanto vicini tra loro. Sembra non esserci spazio per noi. I rami però si aprono e ci indicano un fazzoletto di terra bagnata. Ci accolgono dei passerotti vivaci che svolazzano tra i rami e tornano lesti sul prato. Entrano e escono da alcune cassettine di cartone coi coperchi poggiati su un angolo. Hanno tanto da fare: si schiudono le uova dentro le scatole, dentro quei piccoli ambienti confortevoli, ornati di foglioline, fiori, vermetti e qualche raggio di sole rubato al mattino.
– Guardate! Sono piccoliss…
Improvvisamente le voci diventano fioche e le immagini si fanno sempre più evanescenti. Come una stella che collassa nel suo buco nero, quel momento sprofonda nel pozzo dei ricordi smarriti.
Una bimba minuta si allontana, svanisce e io aspetto che, di tanto in tanto, mi venga ancora a trovare.