Talè chi mi misinu i morti
u pupu cu l’anchi torti
u succi c’abballava
a iatta ca sunava.
Guarda cosa mi hanno messo i morti/ una bambola con le gambe storte/un topo che ballava /un gatto che suonava.
-Guarda cosa mi hanno “messo” i morti-, perché i morti vivono di una vita fatta di gesti, frasi, situazioni, luoghi, che fanno da sottofondo alle vite a cui, secondo una tradizione siciliana, “mettono” qualcosa il 2 novembre, giorno della loro commemorazione. Ma cosa “mettono”? Innanzitutto pupi cu l’anchi torti” che letteralmente sarebbe pupazzi con le gambe storte, quindi vecchi, o meglio, antichi. Poi “mettono” un topo che ballava ( l’ imperfetto dà il senso del cuntu siciliano) e un gatto che suonava. Ricordo che la mattina del 2 novembre ci svegliavamo frementi di gioia: uno dei divani della nostra casa era pieno di giocattoli quasi dimenticati, tirati a lucido e “messi” lì dai nostri morticeddi, così ci dicevano i nostri genitori che con un termine vezzeggiativo ce li facevano sentire ancora più vicini, come se i nostri cari fossero tornati bambini. Certo, il fatto che “mettevano” e non si vedevamo, faceva un poco di tristezza.
Tra le cose che i morti “mettevano”, nell’ immaginario del cuntu, c’ erano un topo e un gatto che per l’ occasione smettevano di essere nemici e si accompagnavano in un concerto festoso, suonando e cantando. C’ è una grande verità in questa semplice filastrocca: il rispetto e la cura per ciò che ci appartiene ci rende gioiosi e costruttivi, la memoria ci indirizza verso quei canali del saper vivere, valorizzando ogni piccolo particolare, rinnovando il valore per la riconoscenza per coloro che hanno e continuano ad arricchire la nostra vita.