«Quando mi cercate non mi trovate. Accattatevi il sale e conservatelo. Quattro pacchi mille lire», pagina 168, Gaetano Savatteri, Non c’è più la Sicilia di una volta, edito da Laterza.
Un ricordo, quello di Savatteri, scritto anche nelle pagine della mia vita di giovane siciliana. Abitavo a Palermo, in una casa al primo piano di un antico edificio. Trascorrevo tanto tempo nella mia cameretta. Studiavo, sognavo (specialità che mi sono sempre trovata cucita addosso), restavo sdraiata a letto a fissare le immagini colorate che, in estate, la luce del sole proiettava sul tetto attraverso le persiane. Mi lanciavo quindi in una sorta di quiz solitario: auto piccola rossa, furgoncino bianco, auto di media cilindrata verde. Trascorso il mio momento privato, stavo al telefono? No, quello no: non esistevano ancora i cellulari. Se volevo compagnia ero “costretta” a uscire per andare a trovare un’amica e magari fare una passeggiata con una cugina o una zia; oppure seguire mia madre al balcone di fronte al quale si apriva una platea di comunicatori che lanciavano discorsi da una ringhiera a un’altra, mentre fili di amicizia si intrecciavano tra risate, considerazioni, informazioni e consigli fluttuando sul traffico stradale di auto, ambulanze, bus e “abbanniatori”. Erano, quest’ultimi, venditori ambulanti la cui voce oltrepassava l’intreccio delle voci delle donne al balcone attirandone l’attenzione più di una sirena di un’ambulanza in codice rosso.
-Bih! C’è chiddu du sali!- e, in automatico, calavano dai balconi dei panieri, con una corda lunga quanti erano i piani che le mille lire dovevano percorrere per essere sostituiti dai quattro pacchi di sale: non sia mai che si cercava quello del sale e non si trovava!
-Ascaretti!!- Secco, preciso. Era estate e con 50 lire nel paniere si poteva avere un ascaretto, uno stecco gelato, un semplice cremino. E poi pullanchielli belli (pannocchie belle), sficione cavuru-cavuru ( pizza alta, soffice e profumata calda-calda), panelle e crocchè (frittelle di farina di ceci e polpettine di patate) a testimoniare una Palermo quotidiana fatta e scritta dalla gente di ogni giorno. Voci che custodivano gelosamente una sicilianità che si raccontava attraverso l’amore e l’attaccamento alle tradizioni che per le strade rivendicano il diritto a continuare a vivere. “Non esiste più la Sicilia di una volta”, scrive Savatteri: non serve dormire sugli allori. La Sicilia ha avuto una grande storia, grandi letterati e poeti. Ha avuto. Adesso bisogna continuare a costruire, a scrivere altra storia che non sia scritta da chi non ha occhi per valorizzare quello che c’è. C’è il sole, il mare, l’abbraccio di voci che per le strade desiderano ancora qualcuno che li ascolti e abbassi un paniere ricco di speranza.