Non credo di avere mai voluto chiedere tanto dalla vita. Solo alcune cose per me davvero importanti: circondarmi di ottimi libri; sentire vicino a me l’allegria e la dolcezza della mia famiglia; indossare ogni tanto un bel vestito e godere della gioia di una serata di musica e bellezza; discutere di ciò che ho nel cuore senza sentire imbarazzo; aprire le braccia al mondo così che possa venirmi sempre incontro con la semplicità e la spontaneità di un giorno appena sorto.
In questo mio essere “donna senza troppe pretese”, non ho mai accolto con eccessivo entusiasmo la possibilità che a ricoprire il ruolo di presidente del consiglio sia una donna, se di quello che dice non riesco a condividere neanche una virgola; se non apprezzo il suo modo di muoversi, di stare su un palco, di fare della storia un revival di cui preoccuparsi. Eppure, una donna sarà presidente del consiglio: evento unico nella storia italiana di cui dovrei essere orgogliosa e invece mi confonde. Avrei preferito essere rappresentata da una persona, uomo o donna, autorevole e non autoritaria; una persona che affascina e non trascina con i suoi discorsi; una persona con un sorriso rassicurante e non con un ghigno da tigre all’attacco.
Nel guazzabuglio che ha scatenato la politica negli ultimi tempi, ha vinto la rabbia. Vorrei fare mie le considerazioni di un giovane che stimo e scrive molto meglio di me: tra i vinti c’è sempre stato il desiderio di riscatto e per questo sono necessarie profonde valutazioni su cosa non ha funzionato. Perdere per riflettere su equilibri minati da opportunismi e cattiva gestione della politica. Quella vera.
Da un punto indefinito dello spazio avanzava una donna, piegata dai suoi anni. Lentamente attraversava il cielo con lo sguardo, seguendone un tratto così come si segue una melodia nostalgica, interrotta da silenzi e amore grande. Le note avanzavano e si lasciavano attraversare da quegli occhi incantati. Al sole piacque quel sogno musicale e dipinse d’oro i sentieri su cui la figura leggera si liberava man mano dai suoi pensieri, immaginando di cambiare i suoi abiti tristi, in vestiti di morbida organza. Una nuvola accorse e le donò un abito scintillante, dorato come la strada dipinta dal sole. Le note della melodia la presero per mano e la fecero danzare: un giro e poi un altro, una promenade e un inchino e poi ancora una giravolta fino alla piazza splendente di sole. Arrivò la notte e si spensero le luci dorate. La donna raccolse il suo corpo, diventato all’improvviso pesante, e si avviò verso casa. Trovò un uomo silenzioso e imbronciato, in attesa che lei svolgesse tutte le mansioni affinché la cena fosse finalmente servita. Si fece tardi, molto tardi e lei era tanto stanca. Sentì le spalle dolenti, il cuore lento, le gambe pesanti e gli occhi persi nel buio di quella stanza fredda. Durante la notte sentì uno strano ticchettio alla finestra che si accordava con il battito del suo cuore: prima piano e poi, man mano, più insistente fino a sentire quel muscolo in mezzo al petto bussare forte alle pareti della sua anima. Sgranò gli occhi, portò le mani al petto e ascoltò una voce che si faceva largo tra le tenebre e la chiamava. Si addormentò e in quel sonno si vide lasciare il suo corpo disteso sul letto mentre lei seguiva una scia luminosa per percorrere una via dorata dove danzare avvolta in un abito di seta leggera. L’uomo la sentì agitarsi nel sonno, le si avvicinò, la scosse, la chiamò. Lei non rispondeva. Continuò a chiamarla come mai avesse fatto prima, la baciò e la strinse a sé come da tempo non sapeva più fare. Le diede il suo respiro e lei tornò dal suo sonno. Gli raccontò della strada dorata e lui lesse in quegli occhi la solitudine. Dove era stato? Cosa aveva fatto? Si addormentò vicino a lei e insieme sognarono la strada dorata.
Parto da una considerazione. Per carità, lontana da me l’idea di emulare certi slogan tristi e banali.
Sono siciliana e sono una donna. A voler dare credito ai dibattiti che sfrecciano di recente sui giornali e sui social, nella mia affermazione c’è tutto per considerarmi una sfigata. Il fatto è che ciò di cui si parla spesso è fondato su certezze secolari, dure a morire che vivono in un non-tempo, un tempo statico chiuso in una gabbia, da dove un orecchio attento può ascoltare le grida di dubbi che vogliono tornare alla vita.
La Sicilia è “strutturata” in modo tale che non è mai riuscita a dare risalto alle proprie risorse.
Le donne sono “strutturate” in modo tale che non possono fronteggiare l’avanzata trionfale degli uomini.
Ma se ribaltassimo le prospettive tanto da riuscire a scorgere che l’essere “differenti” è una risorsa, che inseguire un modello che vada bene per tutto e per tutti porta inevitabilmente al blocco della creatività, dell’ essere unici tra le mille cose del mondo?
Un territorio chiede attenzioni diverse secondo la sua posizione geografica e le sue tradizioni che vanno tutelate e mai dimenticate, pena l’appiattimento delle emozioni: cosa proverei io, siciliana, se spostandomi in un altro luogo trovassi le stesse cose, la stessa atmosfera che ho in casa? E lo stesso chi viene nella mia terra ha voglia di scoprire, di stupirsi, di curiosare. Di conoscere. Nessun territorio può essere considerato un problema, una questione da risolvere (da chi spesso non conosce i termini di tale problema), un groviglio di contraddizioni (io le definirei ricchezze multiple), se venisse osservato secondo le opportunità che offre, se si lasciasse ai limiti di diventare propositi e progetti.
Le donne. Ma davvero è necessario assumere atteggiamenti da soldati consumati, avanzando con passi pesanti di chi non ce l’ ha duro, ma ci prova?
Le donne sono diverse dagli uomini. Certo. Come il sole è diverso dalla luna; come il mare è un’altra cosa rispetto alla terra; come i fiori sono differenti dai frutti e le foglie dai rami; gli alberi dagli arbusti; i fiumi dai laghi; i pesci dai crostacei e i mammiferi dagli ovipari. Quanta ricchezza in queste differenze! Ogni cosa al mondo ha un suo ruolo, la sua insostituibile importanza. Cosa è mancato, quindi, alle donne perché il loro ruolo è stato così spesso sottovalutato? Non certo la spavalderia. Non serve. Ciò che è mancata è stata l’ autorevolezza, spesso, ancora oggi, in molti campi, prerogativa degli uomini che preferiscono descrivere come irrilevante l’esperienza delle donne.
Nell’Antico Testamento, pochi sono i racconti dedicati alle donne ma c’è una storia che racconta di una donna, Giuditta, che ha messo in atto tutta la sua femminilità per salvare il suo popolo. La sua autorevolezza è stata riconosciuta dal consiglio degli anziani, la sua voce è stata ascoltata e la sua strategia non è stata sbeffeggiata dagli uomini. Giuditta, donna autorevole, una sorta di Ulisse buono al femminile, con l’inganno è riuscita a introdursi in uno degli accampamenti delle truppe di Nabucodonosor, conquistandone la fiducia. Non ha avuto bisogno di atteggiarsi a maschio furente. Il suo ingegno, la sua determinazione di donna sono bastati a portare a termine il suo piano.
Troppe donne vivono all’ombra di uomini che non riescono a liberarsi del fardello di una tradizione patriarcale che li ha fatti sentire dominanti. Si è detto che bisogna “educare la nuova generazione di maschi”. Bisogna educare anche le nuove generazioni di madri. In questa parentesi che è la vita, tutti devono avere il diritto di guardare al proprio destino con orgoglio. Le nuvole in cielo corrono libere di assumere ognuna la propria forma, di raggiungere ognuna il proprio traguardo.
Un pensiero nacque di notte, come tanti altri. Lui però era nato strano, irrequieto: si girava e rigirava, saltava e poi all’improvviso rimaneva impigliato nei suoi stessi movimenti. Come tutti era fatto di qualcosa. C’erano pensieri composti di sorrisi solitari, altri di risate in compagnia. C’erano pensieri fatti di tristezza e malinconia. Noiosi! Alcuni erano ibridi e non si capiva da dove fossero saltati fuori. Erano un misto di gioia, di arrabbiature, di lacrime e sorrisi. E lui, il pensiero che era nato di notte, era proprio così, era un ibrido. Si infilava spesso nei sogni della gente e svolazzava, facendo confusione, mettendo disordine, scompigliando le storie, interrompendo le trame. Si immergeva ora in uno, ora in un altro sogno che come laghetti appena mossi dal vento accoglievano parole e immagini e parlavano, raccontavano e si tingevano dei tanti colori dell’arcobaleno. Il pensiero ibrido si avvicinò a un laghetto violetto e iniziò ad ascoltarne la voce.
-Una donna, con il cuore giovane e le gambe stanche, usciva ogni notte per dirigersi verso un pozzo dove la luna si specchiava. Riempiva un catino di acqua del pozzo e tornava a casa per annaffiare il suo giardino. Qui crescevano piante che emanavano una forte luce che attraversava gli occhi e arrivava al cuore dove rigogliosi sbocciavano sogni e speranze. Una notte però la donna non vide la luna dentro il pozzo. Non c’era più un goccio di acqua. Sentì all’improvviso il peso degli anni, il tempo trascorso gravare sulle sue fragili spalle e non vide più il tempo futuro. La luna che dal cielo osservava lanciò un’idea che un genio impazzito aveva lasciato sulla sua superficie. L’idea tardò ad arrivare, non trovava la strada per raggiungere la donna che curva e in silenzio lasciava che i tramonti e le albe trascorressero indifferenti al suo dolore.-
-E poi? Riuscì l’idea del genio impazzito a trovare la donna?-
-Certo. La raggiunse e le insegnò l’arte di essere felice, la gioia di avere ancora un cuore dove accogliere la luce del sole e i bagliori della luna. Le insegnò che il pozzo a cui attingere l’acqua dei suoi sogni era dentro di lei.-
Era l’idea di un genio pazzo, ma funzionava. Il pensiero ibrido pensò che anche lui doveva essere un po’ matto. Si convinse che essere un ibrido non era male. Bisognava essere fuori di testa per coltivare ogni giorno la gioia.
Molto grata a Luisa Zambrotta che mi ha invitata su Facebook a partecipare al DECENNIO DI AVVICINAMENTO DELLE CULTURE- Esposizione internazionale, virtuale. Pubblicherò ogni giorno una poesia, per dieci giorni.
Un’altra notte era trascorsa e un nuovo giorno si accendeva.
Quella notte una donna di pietra era stata raggiunta da un esercito di granelli di nera sapienza e le ripetevano in coro un messaggio che tanto rumore faceva.
-Donna! Donna che hai lottato per avere uno spazio, una voce, un pensiero! Che al mattino ti svegli per capire cosa dire, cosa fare; e la sera ti abbandoni a pensieri che sai voleranno lontano da questo mondo strano, guarda in faccia la vita e lasciati andare, segui la scia della nera sapienza.-
Cominciarono, quindi, per salvarle la vita (così loro pensavano), a toglierle via la parola. Aveva un suono diverso e fuggiva lontano a scoprir chissà quali cose: pensieri vecchi, valori lontani e rendevano triste la donna di pietra che da quella notte rimase senza parola. Così aveva deciso l’esercito della nera sapienza. Ma pur senza parola, il suo cuore batteva perché fosse ascoltato.
-Oh donna di pietra, tu hai troppe pretese! Non volerai mai lontano se continui a sperare che la vita ti offra una spalla dove versar lacrime e gioia. Sei già senza parola!-
L’esercito le tolse anche quel cuore troppo esigente, troppo complicato e partì lasciandola lì, finalmente felice (così loro pensavano). Ma la nera sapienza dimenticò di toglierle gli occhi, curiosi, vivaci come bambini sulla battigia a saltare sulle onde. Un mattino furono raggiunti dal mare che li presi e li portò dove i pesci, senza parola, nuotavano leggeri e, danzando, raggiungevano la superficie salmastra e giocavano con i raggi del sole.
Un’altra notte era passata e un altro sogno aveva raggiunto i raggi del sole nascente.
Com’è che non hai pianto, com’è che non piangi? Non puoi, forse sei muto? Meglio sarebbe, saresti in salvo, si dà troppa importanza alle parole, succede che costringono all’esilio, alle prigioni o peggio. Portano peso eppure sono fiato. Guarda come va su quello della nostra asina e quello del bue che ci ospita è più forte e sale più veloce. Pure il nostro, lo vedi? Soffio e va su.
E le parole no, una volta uscite mettono fuori il peso. Quelle di un annuncio ti hanno portato a me, quelle di un profeta danno ordini al futuro.
……….
Dormi? Sì, dormi, non ascoltare tua madre infuriata contro se stessa, afferrata alla gola da un terrore. Dormi, respira sazio, cresci, ma poco, lentamente, vivi, ma di nascosto. Aspetta il tuo primo sorriso per coprirlo, che non abbagli il mondo e ti denunci. Dormi, domani vedrai la prima luce della tua vita e avrai di fianco la tua prima ombra. Dentro di me non ne facevi. Dormi, sogna che sei ancora lì, che la tua vita ha ancora il mio indirizzo. In sogno ci potrai tornare sempre.