-Chi fu? Una bomba? Sì, sì! Una bomba!-
-Calmati, stai tranquillo. Prendi un po’ d’acqua. Ecco, così. E’ l’Etna che ha la voce grossa stasera.-
Da quanto tempo era lì, come un lapillo lanciato dal vulcano. Da quanto tempo rimaneva immobile a guardare il soffitto, mentre ancora ardeva di passione per il tempo che l’aveva attraversato e ora, inesorabilmente, si riavvolgeva, per dissolversi piano, piano, per sempre.
-Tutto mi ricordo, tu lo sai! Ho tutto qua, nella testa.-
-Sì, lo so.-
-Sono cento anni che vivo qua e ricordo tutti, mi ricordo di tutti.-
-Sì, sì lo so. Vuoi che prendo i fogli e continuiamo a scrivere la storia di questo tuo borgo? Abbiamo già raccolto tanti racconti, sai?-
-Prendili, voglio scrivere io qualcosa.-
-Ma non vedi bene!-
-Io conosco i segni della scrittura a memoria. Me li ricordo, anche quelli ricordo.-
Cent’anni che era lì e per tanti di quegli anni aveva riparato biciclette in una piccola bottega di un’ antica e nobile villa in piazza Bonadias, nel quartiere di Cibali, a Catania. Filippo “u rizzu”, per via dei suoi capelli ricci, riparava biciclette da una vita, da quella vita che ora ormeggiava nei porti del passato e lanciava le cime negli approdi di un futuro che aveva il dovere di ricordare.
Cent’anni che era lì e in tutti quegli anni aveva tappezzato le mura della sua casa di fogli di giornali, di ritratti di gente che aveva camminato con lui tra le macerie di una città distrutta dalle bombe che ancora turbavano il suo sonno. Riusciva a sentire, attraverso quei ritratti, le voci delle donne che stendevano i panni sotto gli alberi della piazza; quelle degli uomini che sotto quegli alberi chiacchieravano, giocavano a carte; quelle dei giovani, figli di un tempo che doveva voltare pagina. Poi c’era una foto, in bianco e nero anche quella. Ritraeva due ragazzini, Mimmo e Cettina, che erano scappati da casa e non erano più tornati a Cibali.
-Volevo tanto bene a quei ragazzi. La guerra era finita, ma loro continuavano ad averla in casa.-
Cominciò a tossire, il fiato era sempre più pesante, gli occhi vagavano in cerca di un sostegno. Afferrò la mano di Rosaria.
-Ricordati sempre di me. Scrivi.-
Si calmò, si addormentò stanco e Rosaria iniziò a scrivere, immaginando di essere seduta lì, davanti la vecchia bottega di suo padre, osservando la gente che intrecciava le fila della vita sotto gli alberi di piazza Bonadies.