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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: Catania

Cettina

10 lunedì Lug 2017

Posted by paolina campo in libri, Sicilia

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Catania, dialetto, Palermo

albe

-Buongiorno! Ecco le arancine calde calde! Dai mangiate!-

La nonna era scesa presto e da buona palermitana era andata a comprare le arancine per fare colazione.

-Nonna, noi prendiamo il latte la mattina-

-Mangia questa delizia del palato che ti viene il sorriso solo solo-

E sì, i palermitani, o almeno sua nonna e sua zia, erano così: festaioli a cominciare da cosa si mangiava al mattino.

 -Arancina, nonna? Hai sbagliato, si chiama arancino.-

-Senti, non mi fare arrabbiare cu sti parrati catanisi. Arancina si chiama perché è tonda e arancione come l’arancia. A Catania non le sanno fare- sentenziò la donna.

Arrivate a Palermo, Cettina e sua sorella furono travolte dall’affetto della nonna e della zia.

-Oggi si va a Mondello! Ma prima facciamo un giro in carrozza!-

Attraversarono via Roma sprizzando felicità da tutti i pori mentre il vento scompigliava i capelli e portava via ogni pensiero triste che si affacciava alla mente. Il cavallo sembrava un po’ anziano o forse era il caldo che lo faceva galoppare con fatica. Giunte nei pressi di piazza San Domenico, da dove arrivavano le voci del mercato della Vucciria, scesero dalla carrozza. Salutarono lo gnuri, il cocchiere, e a piedi proseguirono per via Bandiera e la percorsero tutta con il naso all’ in su, stupite dalla magnificenza di antichi palazzi nobiliari. Attraversarono via Maqueda e finalmente si trovarono immerse all’interno del mercato di Sant’Agostino, un tripudio di scarpe, calzini, abiti, stoffe dove entrava e usciva, come un venticello allegro, un forte e invitante odore di sfincione.

-Cavuru cavuru è!!!- gridava il venditore dal carretto trainato da un somarello stordito dalle grida del padrone e dall’odore.

-Sficione?! Ma è una pizza che odora di cipolla e formaggio! A Catania lo sfincione è fatto con il riso ed è fritto. E poi ha la forma di un bastoncino.-

-Ed è dolce, con lo zucchero spruzzato sopra!-

Le due sorelline erano curiose e divertite: una stessa parola indicava cose diverse se ci si spostava di qualche centinaio di chilometri in quella Sicilia bedda, come diceva la nonna.

-Arancino, arancina; sfincione. E’ storia, è tradizione. Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme. Apri una parola e ci trovi i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi e i sicani. Vi racconto una cosa divertente: una volta è stato ospite da noi un ragazzo del messinese, un ragazzo semplice, figlio di contadini della provincia di Messina. Guardando una foto che si trovava su un mobile, ci chiese: -murù?- Noi, a Palermo, alla parola “murù” ne facciamo corrispondere tre: “me lo dai”. Quindi in uno slancio di cortesia lo invitammo a prendere quella foto, sembrava ci tenesse tanto! Continuammo in questo sforzo interpretativo fino a quando lui con un gesto della mano non ci fece capire che voleva sapere se la persona nella foto fosse morta! No! Incredibile! Tre parole per dire la stessa cosa! A distanza di qualche centinaio di chilometri! A Palermo diciamo “muriu”, per indicare qualcuno che è morto. A Catania, “mossi”, non è vero? Murù, muriu, mossi, cioè “è morto”-

Risero di cuore. Quella zia riusciva a farle divertire anche con cose che potevano sembrare noiose.

-Ora comunque prendiamo un bel pezzo di sfincione e ce lo portiamo per uno spuntino al mare.- disse la zia, ormai immersa nell’idea di realizzare una giornata fantastica.

E fantastico lo era stato davvero quel giorno: il mare, il sole, una passeggiata a Villa Favorita, la Palazzina cinese, il museo Pitrè e Palermo in tutto il suo splendore.

Quel giorno era trascorso come il soffio di vento di quella stagione che le aveva portate lì i primi giorni di luglio. Con la zia avevano visitato altri posti: erano andate a giocare al Foro Italico e una volta, c’era anche la nonna, erano andate a messa in cattedrale: bella, bellissima! Erano arrivate a piedi, attraversando via Maqueda fino al Cassaro, ai quattro canti, incrocio tra via Maqueda e via Vittorio Emanuele, U Cassaru, appunto. Il Duomo a Catania era immerso nella vita cittadina, la gente viveva quella grande struttura come una realtà giornaliera: il Duomo, l’Etna, l’elefantino di pietra lavica con l’obelisco, la pescheria, la fontana dell’Amenano. Tutto viveva ogni giorno insieme ai catanesi. La Cattedrale di Palermo sembrava vivere una vita a parte: sontuosamente ricca, antica e lontana nel tempo, sembrava di avvertire ancora l’odore e il fruscio di vestiti di dame e regine, le onorificenze di vescovi e re: faceva quasi soggezione. Finita la messa, avevano continuato la loro passeggiata attraverso il mercato del Papireto e poi su per piazza Indipendenza dove presero una carrozza per tornare a casa.

Il tempo della vacanza palermitana trascorreva veloce, allegro anche se a giorni gioiosi si alternavano notti insonni. Era proprio la notte che i fantasmi nascosti durante il giorno nella mente e nel cuore, legati dal desiderio di cacciarli per sempre e trovargli un posto, magari all’inferno, si liberavano dalle catene della gioia. Nella cameretta buia dove Cettina e sua sorella Rosetta dormivano insieme alla zia, si muovevano figure, sfrecciavano tormenti. Una notte sentì gridare sua sorella nel sonno. La zia la svegliò e la rassicurò. Il giorno dopo chiese alle nipoti della mamma, di papà e del fratello e, senza umiliarle con sentenze tristi e irritanti come il sale su una ferita, disse loro che tornate a casa dovevano impegnarsi a studiare. Presto avrebbe parlato con la loro mamma per farle rimanere per sempre  a Palermo. Lei si sarebbe presa cura di loro e così avrebbero potuto continuare gli studi con più serenità. Prese in disparte Cettina e le confidò di avere ricevuto una lettera da sua madre. Non le dava nessuna notizia di Mimmuzzo, il fratello di Cettina. Tra quelle righe dove le parole sembravano navigare impetuose, c’era qualcosa che riguardava proprio lei, Cettina, la sua vita, il suo ritorno a Catania.

-Vi raccomando, non lasciatevi trasportare dalla follia di vostro padre. Continuate ad andare a scuola e insistete sul vostro diritto di guardare al futuro con fiducia.-

Con queste parole le riaccompagnò alla stazione. La vacanza era finita. Salirono sul treno con le raccomandazioni della zia che pesavano come una promessa già non mantenuta. Un grido del capostazione e tutto si dileguò tra le colline dorate e arse dal sole di fine agosto.

 

 

Quadretti di vita

25 sabato Mar 2017

Posted by paolina campo in pensieri

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Catania, Cura, curiosità, Etna, Heidegger, immagini

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Quando ero una giovane mamma, mestiere che svolgevo a tempo pieno, la mia vita trascorreva per lo più in auto per raggiungere scuole, piscine, parchi, centro cittadino quindi piazze e strade, il mare e la montagna. Mi rendo conto, oggi, che essere mamma coincideva con la frenesia di conoscere, insieme alle mie figlie che crescevano, un mondo che altrimenti non si sarebbe svelato senza la libertà che quel “mestiere” mi permetteva. Quando poi mi “toccava” andarle a prendere a scuola, la mia curiosità, munita di raggi laser ad ampio spettro, si lanciava dritta sulla gente che proprio a quell’ora affollava la piazza che ospitava non solo il liceo ma anche un ospedale ostetrico e la facoltà di lettere e filosofia, oltre alle antiche case di una Catania da cartolina vintage. Arrivavo con un buon margine di anticipo e cominciavo a osservare quell’arnia di vite che ai piedi del vulcano si incrociavano, si scontravano e si ignoravano, e andavano dritti per la loro strada, lungo il loro da fare: studenti, informatori scientifici, medici, vigili urbani, infermieri, abitanti della piazza.

La curiosità non si prende cura di vedere per comprendere ciò che vede, per «essere-per» esso, ma si prende cura solamente di vedere…La curiosità non ha nulla a che fare con la considerazione dell’ente piena di meraviglia…non la interessa lo stupore davanti  a ciò che non si comprende…

Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1976, pag. 217

Stavo lì. A vedere, senza prendermi cura di niente, senza stupirmi di niente. Senza pretendere di approfondire cosa mi stava attraversando la mente: semplici quadretti di vita.

Interessanti i neo-papà: arrivavano da soli, posteggiavano la loro auto e, imbracciati baby pulman e borsa “neonatale”, si dirigevano frettolosamente verso l’ospedale. Il ritorno in macchina era da super eroe: sedia sdraio sotto un braccio, baby pulman in una mano, borsa a tracollo stracolma e  lui, con il suo bel malloppo da portare, si metteva a capo di una mini processione seguito da lei, la moglie, che avanzava con una mano sotto il ventre e un’aria stanca e l’altra, la suocera, con in braccio il risultato di quella confusione.

Una signora percorreva spesso a quell’ora il marciapiede lungo la piazza. Con passo elegante e ovattato avanzava con i suoi vestiti scuri e modesti, ma sempre in ordine. Alta, magra, capelli scuri e ondulati mostrava sul viso un sorriso velato da una certa tristezza, come di chi si è rassegnato a un destino che l’ha portata lontano dai suoi sogni e dignitosamente abbracciava la sua vita con la cura che meritava ogni cosa che la circondava. Quanto era diversa questa signora dall’impiegata della posta, dal viso simile a un maialino che si trovava in un recinto vicino casa dove ho trascorso l’infanzia. Assalita da migliaia di tic nervosi, l’impiegata strizzava gli occhi a intermittenza: prima uno e poi l’altro, e poi insieme come le lampadine di un albero di natale. Alzava nervosamente il labbro superiore, mentre le sue spalle scattavano come molle nel momento in cui si lanciava ad articolare qualche parola che stentava a uscire, incatenata da una lingua che occupava troppo spazio. E il rosa! Il colore rosa! Quanto le doveva piacere! Usava cipria e rossetto rosa, spesso sbavato; e orecchini con perline rosa; e fermaglietti rosa trattenevano i capelli gialli e arricciati. Rosa, un colore su un viso che non si rassegnava alla fuga di una primavera, allo sfiorire della sua giovinezza.

Sentivo poi il suono della campanella. I ragazzi cominciavano ad affollare la piazza per raggiungere annoiati le auto, gli autobus o si avviavano a piedi verso casa. Le mie figlie mi raggiungevano e insieme a loro portavo con me dei quadretti di vita dipinti ai piedi del vulcano, nascosti da qualche parte nella mia mente.

Catania

11 sabato Feb 2017

Posted by paolina campo in pensieri, Sicilia

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bergamotto, Calvino-Le città invisibili, Catania, festa, la magia di un profumo, palazzi storici

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5 febbraio. Giro interno del fercolo di Sant’Agata.

Di una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda

Italo Calvino, Le città invisibili, OSCARMONDADORI, Milano, 2014, pag. 42

Sono appena trascorsi i festeggiamenti agatini. La città spegne i riflettori su candelore, devoti vestiti di bianco, fiumi di gente inneggianti la Santuzza, fuochi d’artificio sempre più innovativi e costosi, e migliaia di palloncini colorati che hanno mandato in visibilio i bambini. Adesso è tempo di ripulire le strade dalla cera che ha acceso l’entusiasmo di quei giorni di festa, quando tutto si è fermato e la città è stata consegnata ai cittadini.

Cittadini! Siti tutti devoti tutti?

Si! Si! Si!

 

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Mattina del quattro febbraio: la processione percorre il giro esterno della città. La giornata è cominciata molto presto, con la messa dell’aurora in cattedrale. A metà mattinata la Vara, addobbata con garofani rosa per ricordare il martirio di Agata, si trova in Piazza Dei Martiri, lì dove il Passiatore confina con la linea ferroviaria che si affaccia al porto di Levante. Una giornata fantastica, dal tepore primaverile. I treni che passano salutano la Santa con ripetuti fischi e uno dei macchinisti non resiste alla tentazione di immortalare il suo passaggio con una foto alla piazza in festa. Iniziano i botti che disegnano nel cielo azzurro di febbraio nuvole dorate e frange colorate. La Vara si muove e continua il suo percorso verso la stazione. C’è chi torna verso il Duomo, attraversando via Vittorio Emanuele chiusa al traffico per l’occasione. Non ci sono auto ma persone che godono di quella giornata e si riappropriano dei propri spazi.  E’tutto un susseguirsi di palazzi storici, molti dei quali ricordano l’opera del grande architetto Giovanni Battista Vaccarini(1702-1768).

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(Archivio di Stato di Catania) Gallery

Un grande portone si apre a imbuto lì dove ha sede l’archivio di Stato. Sono curiosa, entro. Mi vengono incontro due occhi raggianti di una signora che accarezzava una foglia e ne odorava il profumo.

-E’ una foglia di bergamotto, sa? Ha un profumo gradevolissimo! Non è quello di un’arancia e neanche di un limone. Si avvicina a quelle fraganze  ma se ne differenzia. E’ una magia.-

La signora sembrava volere giustificare la sua gioia. Si è così abituati a essere tristi.

-Quando ero bambina andavo a scuola qui vicino e la mattina entravo in questo androne per venire a trovare quest’albero che mi piaceva tantissimo. Sono passati sessant’anni, sa? E’quello guardi, il secondo a destra. E’ un poco malato, ha bisogno di cure. Prenda una foglia, odori: sa di buono, di nostro.-

Mi feci contagiare da quell’entusiasmo. Presi anch’io una foglia e la misi in tasca. La signora si dileguò come una nuvola mossa dal vento, come quei giorni di festa durante i quali la città aveva risposto alla gente venuta anche da lontano. E poi via. Passati quei giorni la città torna a non dare risposte. I grandi portoni si chiudono e il bergamotto attenderà ancora qualcuno che si ricordi di lui.

Festeggiamenti agatini

01 mercoledì Feb 2017

Posted by paolina campo in Sicilia

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annacata, candelore, Catania, Etna, ricordi, sant'Agata, video Lavinia Russo

Colori, suoni, allegria, musica, folklore e i festeggiamenti per la Santuzza corrono per tutta la città di Catania. Quando mi trasferii nel capoluogo etneo, fui molto colpita dallo slancio emotivo e dalla partecipazione dei catanesi alla festa in onore di Sant’Agata. Al grido: “Cittadini! Siti devoti tutti?” i fedeli rispondono con un caloroso, profondo e potente “Sì” che risuona per le vie della città, scena teatrale dove danzano e corrono le Candelore da metà gennaio fino al sei febbraio.

Decorate con fiori, lampade e immagini che ricordano la vita della Santa, le candelore, alti cerei votivi (alcune raggiungono anche sei metri di altezza), sono in tutto dodici: di queste, dieci rappresentano  arti e mestieri della città; una, “la piccola”, è la candelora di Monsignor Ventimiglia, il vescovo che la fece costruire dopo l’eruzione del 1766; un’altra rappresenta il Circolo Cittadino di Sant’Agata. Trasportate per le strade della città da uomini vigorosi, le candelore hanno spesso al seguito una banda che suona musiche vivaci e allegre a cui segue una sorta di balletto della candelora, l’annacata che impegna notevolmente i devoti impegnati nel trasporto dei cerei.

Ricordo che la prima volta che vidi una candelora rimasi basita perché, per come me le ero immaginate, esse dovevano esprimere un significato esclusivamente religioso.

Era gennaio, faceva freddo ma non pioveva. La piazza della chiesa del quartiere dove vivevo si animò di suoni e di allegria. Vestii le mie bambine, indossammo cappotti e sciarpe e ci unimmo alla folla eccitata e grata. Era arrivata una candelora e, fedele alle mie convinzioni religiose, feci il segno della croce e invitai anche le mie figlie a recitare una preghierina. Ma ecco che degli uomini muscolosi cominciarono a far dondolare la candelora a ritmo di trombe e tamburi e riconobbi tra quelle note una canzone che non era proprio una melodia religiosa: U surdatu ‘nnammuratu. Cercai di darmi un contegno e pensai che non dovevo essere troppo esigente e critica. Dovevo capire cosa stava succedendo. Ma più mi sforzavo di fare spazio alle mie convinzioni, più mi perdevo. Che c’entrava quella canzone con Sant’Agata?! Non capivo più nulla e cominciai a ridere fino alle lacrime. -Va bene- mi dissi- non si prega più! Abbandoniamo l’aria dimessa! Ora ci divertiamo!- Man mano mi lasciavo coinvolgere da quella simpatia gioiosa mentre osservavo le mie figlie che battevano il tempo con le mani. Era come se da quella annacata e da quella musica “strana” fosse scaturita una magia: la gente accorreva numerosa attorno alla torre variopinta e riccamente adornata e la musica sortiva da richiamo per i cittadini. Le note li allontanavano dai loro affari, dalle loro controversie e li tuffava in una dimensione dove la gioia, seppur scaturita dal ricordo di un sacrificio, diventava manifestazione di gratitudine infinita.

Imparai ad apprezzare la festa e l’amore che i catanesi nutrono anche per la Montagna che osserva, racconta e invita anche le nuvole a danzare e aggiunsi ancora un altro tassello al puzzle della mia vita.

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Le acconciature della Montagna

24 domenica Gen 2016

Posted by paolina campo in vulcano

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capelli, Catania, Etna, libri, mare, nuvole

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Acconciatura anni ’60, con cotonatura casual e ciocche lunghe alla Brigitte Bardot.

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Cappellino inglese, sfizioso, reale ed elegante.

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Riccioli sparsi, ribelli, un po’ rivoluzionari.

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Chioma ordinata, liscia e seriosa, da professoressa impegnata.

Osservando la Montagna dal balcone di casa, la mia fantasia si scatena! Eppure quelle nuvole, che ho immaginato come capelli variamente acconciati di una elegante signora, ho scoperto che hanno un significato molto importante per i pescatori catanesi. Prima che arrivasse la pandemia, amavo visitare i numerosi negozi di rigattieri che qua e là si affacciano sulle vie della città etnea. Tra vecchie lampade, sedie traballanti, tavoli di legno pesantissimo e libri dai fogli ingialliti e delicatissimi, un giorno fui attirata da un libro. Ne ho presi tanti di libri, vecchi e con un odore antico di cose usate e amate. Quello invece non era proprio antico. Si trovava dentro un cesto poggiato sul pavimento e aveva una bella copertina gialla: Pippo Testa e Mimmo Urzì, IL GOLFO DI CATANIA E I SUOI PESCATORI, Edizioni GRECO, 1996. L’ho letto tutto d’un fiato e subito ho scoperto che le nuvole che volteggiano e abbracciano l’Etna, sono, in vero, il barometro dei marinai, sono i segni attraverso cui i pescatori interpretano le condizioni meteorologiche.

-Oggi la Montagna dice che si può uscire per mare-

-Mmm…oggi è meglio che non ci muoviamo. L’Etna è strammata (disturbata)-

Ecco, l’Etna condiziona la fantasia di chi non si stanca mai di osservarla come smuove le correnti del mare. Quannu u mari vugghi (quando il mare ribolle), vuol dire che il vulcano tuona. E la fantasia galoppa.

Presentazione 8 luglio 2015-Biblioteca Comunale di Santa Marina

13 lunedì Lug 2015

Posted by paolina campo in libri, ricordi, Salina

≈ 3 commenti

Tag

biblioteca, Catania, mare, Palermo, presentazione libri, Salina, Santa Marina

 

8 luglio 2015 001 8 luglio 2015 015

8 luglio 2015 023

8 luglio 2015. Sono le 17:30. Devo correre a Santa Marina, in biblioteca. Alberto Mazzone, collaboratore volontario del Comune, mi aspetta. Lo trovo sul corso a distribuire ancora volantini per invitare la gente ad ascoltare Paolina Campo. Mi fotografa davanti alla locandina che ha preparato all’ingresso della biblioteca. Penso:-non ha trascurato nulla, è proprio appassionato a quello che fa.-

Corro in sala e mi preparo: metto i cavetti al computer e al proiettore e spero di avere fatto un buon lavoro. Comincia a entrare la gente. Mi intrattengo piacevolmente con le prime persone che hanno accolto l’invito, mentre Alberto ancora è sul corso.

-E’ alla sua prima esperienza?-

-Vive sull’isola?-

-Da quanto tempo scrive?-

Faccio anche io qualche domanda.

-Siete qui in vacanza?-

-Conoscete già Alberto?-

Ma eccolo che arriva. Si comincia.

Il grande protagonista dei miei libri è il mare e le storie che racconto hanno il sapore salmastro di onde che vanno e vengono ora delicatamente, ora impetuose.

Sono nata a Palermo, per caso. Sì , perché già da qualche anno mio padre era stato trasferito a Salina dove lavorava per conto di una società elettrica. Sull’isola portò mia madre e lì coltivarono il sogno di mettere su una grande famiglia. Decisero comunque di farmi nascere nella loro città d’origine e, dopo appena un mese, tornarono con il loro fagotto che strillava notte e giorno. Ho vissuto la mia infanzia tra lucertole e grilli color smeraldo, fino a quando ci trasferimmo a Palermo. Avevo dodici anni e la città mi sembrava così grande! Seguii i miei studi al liceo scientifico e poi alla facoltà di filosofia, trascorrendo le vacanze estive sempre a Salina dove conobbi mio marito, catanese. Quando mi chiedono se mi sento più eoliana, palermitana o catanese, non ho assolutamente dubbi nel rispondere che sono siciliana, figlia di un mare che racconta storie e diventa specchio di un cielo dai colori vivaci e cangianti, come vivaci e cangianti sono i paesaggi che mi hanno vista crescere.Nelle case dei contadini e dei pescatori sentivamo il calore di antiche tradizioni che si traducevano in amicizia e affetto soprattutto quando, dai più grandi ai più piccoli si era coinvolti in certe attività domestiche come ad esempio fare il pane in casa. In inverno trascorrevamo il tempo a casa, a studiare, o nelle case delle comari davanti al fuoco delle cucine dalle belle mattonelle azzurre che ricordavano tanto il mare che in quel periodo era in tempesta. Poi arrivava la bella stagione e si tornava a correre e giocare in giardino e iniziava la raccolta dei capperi.

Palermo, Catania e ancora Salina in una serie di immagini, ricordi, riflessioni, descrizioni di miti e tradizioni popolari che si susseguono, come diapositive di una vita dedita ai valori della famiglia ma che cerca uno spazio dove potere sempre fantasticare e trovare finalmente se stessa.

Nostalgia? Desiderio di ripercorrere ancora quei luoghi? Desiderio di appassionarsi al presente come al passato? Non so, certo è che ogni cosa che mi circonda, ieri, oggi, domani, mi parla, mi tende una mano. Ogni volto nuovo comincia a imprimere nella mia storia la sua storia e nulla mi può essere estraneo.

Alla fine Alberto mi dice:-Sei contenta? Io si!-

Certo che ero contenta! Avevo avuto un pubblico attento alle mie storie, cosa potevo volere di più!

Antonio Brundu, responsabile culturale della Biblioteca Comunale di Malfa e mio sapiente mentore, mi aspetta per tornare a Malfa mentre un sole splendido si mostra al tramonto.

 

Vi racconto una storia

23 giovedì Apr 2015

Posted by paolina campo in ricordi

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Ballarò, Catania, Etna, liceo, mercato, Palermo, Salina, sant'Agata

viuna

Palermo, Catania e ancora Salina in una serie di immagini, ricordi, riflesioni, descrizioni di miti e tradizioni popolari che si susseguono, come diapositive di una vita dedita ai valori della famiglia ma che cerca uno spazio dove potere sempre fantasticare e trovare finalmente se stessa.

Vorrei raccontare di oggi, di ieri, di domani; di paesaggi, immagini, storie e leggende. Vorrei raccontare di Catania, di Palermo, immaginare di avere un sacchetto con dentro le biglie colorate del tempo e giocare con esse e decidere di guardarvi attraverso e rivedermi bambina, ragazza, donna.

La quotidianità diventa avventura mentre dall’abitacolo della mia macchina immagino storie e studio la gente che attraversa la strada, in una Catania che ha un rapporto particolare con il vulcano, l’Etna infuocato.

La vita, la morte e poi ancora la vita. Questo è l’Etna: fitti boschi dove tra alberi altissimi corrono liberi gruppi di cinghiali e poi all’improvviso la lava nera che inesorabilmente copre tutto e da cui furtivamente fa capolino un’erbetta, un albero simile a un condannato a morte a cui è  stat concessa la grazia, simile a un bimbo che a forza nasce dalle viscere della madre.

Ma poi,  dai ricordi degli anni in cui ero una giovane studentessa, arrivano le voci del mercato di Ballarò nel quartiere dell’Albergheria a Palermo dove c’era anche il liceo scientifico Benedetto Croce.

Albergheria, terra a mezzogiorno, terra in cui la luminosità esplode in una varietà di colori e immagini tipici del mercato di Ballarò, che venne chiamato così da Bahlara, villaggio presso Monreale da cui provenivano i mercanti che lo frequentavano…….

…….Il preside ci accordava di uscire dalla scuola durante l’ora di ricreazione per comprare qualcosa da mangiare e neanche a dirlo, spesso eravamo orientati verso un bel panino con le panelle.

Nostalgia? Desiderio di ripercorrere ancora quei luoghi? Desiderio di appassionarsi al presente come al passato? Non so, certo è che ogni cosa che mi circonda, ieri, oggi, domani, mi parla, mi tende una mano. Ogni volto nuovo comincia a imprimere nella mia storia la sua storia e nulla può essere estraneo a…

…una donna che vaneggia, vulcano che scoppia, riflesso di una terra calda e tormentata, forte e orgogliosa della sua semplice storia.

 

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I miei libri

22 mercoledì Apr 2015

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Catania, libri, mare, Palermo, Salina, tradizioni

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Il grande protagonista dei miei libri è il mare. Racconta storie e diventa specchio di un cielo dai colori vivaci e cangianti, come vivaci e cangianti sono i paesaggi che mi hanno vista crescere.

In Era la mia casa, pubblicato nel 2005, racconto della mia infanzia a Salina in un intreccio di ricordi, preghiere, canzoni e poesie che fanno da sottofondo a giochi di bambini all’aria aperta. Di alcune canzoni ho fatto scrivere la musica che fa da corollario al libro.

Nel 2009 esce Vi racconto una storia. Con questo libro ho voluto sottolineare la necessità di diventare amica dei luoghi in cui vivevo, ed entrare in sintonia con Palermo prima e Catania poi, significava per me conoscere a fondo quelle città ascoltando le storie che dai vicoli, dal mare, dalla montagna, l’Etna, aspettavano di tendermi la mano. Con questo libro non sono più bambina, ma moglie e madre e faccio mio il pensiero di sant’Agostino sul tempo.

L’uomo di scalo Galera esce nel 2012. L’orizzonte diventa un filo sottile dove scorrono figure leggere che un uomo dal molo di Malfa osserva in silenzio. Faccio ancora più amicizia con Salina: chiedo, mi informo, cerco persone e fatti che hanno segnato la storia dell’isola.

Il lavoro storico ed etnoantropologico è continuato con A fine giornata, pubblicato di recente.

Ma andiamo per ordine. Presentazione libri Paolina Campo

Pubblicato da paolina campo | Filed under libri

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I miei libri

era
vi racconto
l'uomo di
A fine giornata
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Mare e Montagna

  • Il Nubitreno
  • BUCHI BIANCHI
  • Tristezza sorridente
  • Otto e il principe Orgoglio
  • Si apra il sipario
  • Il mondo dentro e fuori di noi
  • Una mattina particolare
  • Ulna e Elos (1)
  • Mente e cuore
  • A lezione da Rodari
  • Unal e Elos
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  • Vita da geco
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