
Ci sono cose nella vita che non hanno bisogno di troppe parole. Basta uno sguardo, un abbraccio perché un’energia buona arrivi a darti nuovo vigore. Maria si abbandonò a un pianto liberatorio. La sua vita doveva essere riconsegnata a quei ciottoli che un giorno anche lei aveva lanciato in mare. «Andiamo alla nostra spiaggetta». Andò in camera sua. Tolse quel vestito che la portava lontano dalle esigenze del suo cuore e lo poggiò distrattamente su una sedia. Tolse anche le scarpe, legò i capelli con un elastico azzurro, indossò un paio di bermuda, una maglietta e un paio di infradito. Si guardò allo specchio e sorrise. Uscirono tutte insieme per strada e prima di dirigersi verso il mare, Gisella volle passare da casa sua. «Piccolo amore mio, vieni con noi!» Prese il suo bambino tra le braccia e uscì fuori. Maria, commossa, gli prese la manina, lo accarezzò dolcemente e chiese alla sua amica di portare lei il bimbo fino alla spiaggia. Era già buio quando arrivarono, ma una luna splendente illuminava i volti raggianti delle ragazze. Raccolsero legni per accendere un falò, sistemarono il piccolo su morbide tovaglie e si sedettero in cerchio.
«Suonerò il violino, canterò canzoni alla luna e voi, care amiche, racconterete storie! Forza Maria, comincia tu.»
«Nonna Melina comprò una volta una gallinella e un galletto. Lei era dolce e remissiva e girava per l’aia con fare tranquillo e senza troppe pretese. Il galletto era vispo e dispettoso, ma quanto era bello! Lunghe piume dai colori variopinti ornavano la sua coda che brillava al sole ed una cresta rossa ed arricciata faceva da corona ad un reuccio conscio della sua beltà. Quando divenne “giovanotto”, cominciò ad allontanarsi dalla sua aia per andare in perlustrazione. Arrivò un giorno in un pollaio dove viveva una bella gallinella bianca di cui si innamorò. Cominciava così un periodo di serio corteggiamento. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, si incamminava per andare a prendere la sua amata e tornare insieme a lei dalla nonna per mangiare. Prima di sera, il galletto riaccompagnava la sua bella al suo pollaio e ritornava a casa. Se tardava, la nonna lo chiamava. Allora lui faceva capolino da dietro una grande pianta di fichidindia e presto rincasava. Un giorno si sentì un grande schiamazzo provenire dal pollaio dietro la pianta di fichidindia: il galletto, preso da un attacco di gelosia, aveva spezzato l’anca al gallo compagno di aia della sua amata. La sera dopo non tornò. Dov’era finito? Perché non rispondeva al richiamo della sua padrona? Perché si era addormentato nel giardino antistante il pollaio della vicina con “lei” da una parte ed il suo rivale dall’altra.» Tutte risero e batterono le mani.
«Adesso tocca a te Sophia. Quali storie di bianche fate ci puoi raccontare?» Sophia si alzò, guardò il cielo e cominciò a recitare i versi di un antico poema.
«Disse Volva, la Veggente: con forza da sud il sole, compagno della luna, stese la mano destra verso l’orlo del cielo; il sole non sapeva dov’era la sua corte, le stelle non sapevano dov’era la loro dimora, la luna non sapeva qual’era il suo potere. Andarono allora gli dei tutti ai troni del giudizio, divinità santissime e su questo deliberarono: alla notte e alle fasi lunari nome imposero; al mattino dettero un nome e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera per contare gli anni.» Le parole di Sophia si diffondevano magicamente. Tutte si alzarono e danzarono leggere attorno al fuoco. Gisella prese il suo bimbo e cantò un’antica ninna nanna cullandolo teneramente. Se è vero che la musica è conversazione, dialogo, il violino di Betty parlava al cuore di ognuna. Nel susseguirsi delle note vi era l’invito a danzare insieme facendo dei grandi cerchi, tenendosi per mano e saltando ora su un piede ora su un altro in un balletto semplice e gaio.
Ogni immagine, ogni scena sembrava il risultato di un grande disegno, un’opera d’ arte suprema.
