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~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi tag: amicizia

La magia delle onde

16 giovedì Feb 2023

Posted by paolina campo in mare, silenzio

≈ 6 commenti

Tag

affetto, amicizia, onde

Fa freddo e il letto è un nido da dove è difficile uscire. Lucia ha un appuntamento con Roberto per andare insieme al mare a studiare le onde. Hanno la stessa magia delle lucine che a Natale si agitano dietro le finestre delle case.
Ma piove tanto e non è proprio il caso di andare in giro.
Il sole sembra avere tante difficoltà a farsi largo tra i nuvoloni neri che da qualche giorno insistono nel cielo, e dalle fessure delle imposte appena socchiuse entra poca luce. La stanza è in penombra e i pensieri scivolano come cera sui mobili antichi che fanno compagnia a Lucia. Vive da sola da qualche tempo, dedicandosi alla cura di quella casa dove le mura e gli oggetti trasudano di antico amore.
Pensa che c’è da passare l’antiruggine su una vecchia cucina a tre fuochi e sullo sportello di una cisterna che raccoglie acqua piovana da un secolo ormai; poi bisogna mettere un poco di ordine nella stanza dei colori. È qui che Lucia tiene pennelli, tele, tubetti di colori sparsi per tutto lo spazio che ha a disposizione, perché tutto le sia sempre a portata di mano.
Sente l’orologio della chiesa battere già le nove del mattino: di certo Roberto non verrà, meglio riavvolgersi nelle coperte. Si addormenta, e sogna.

Si vede seduta su uno scoglio emerso da una spiaggia nera dove, qua e là, appaiono cespugli verdi che abbracciano piccoli fiori gialli. Non c’è nessuno sulla battigia e il mare sembra irrequieto. Sente quell’ irrequietezza scivolarle addosso e anche il suo animo si agita. Cosa turba il mare? E quelle onde, quali risposte cercano tra il fragore dell’acqua mossa dalle correnti?
Si vede rapita da un’onda e, avvolta dall’acqua, sente di essere trasportata lontano. Lucia si sveglia, madida di sudore mentre lo scroscio della pioggia battente arriva nitido nella stanza, sbattendo forte sui vetri delle finestre, confondendosi con il rumore insistente di qualcuno che bussa alla porta.
Decide di alzarsi. Allunga un braccio per prendere un plaid che tiene sempre ai piedi del letto e se lo mette sulle spalle. Indossa occhiali e ciabatte e va ad aprire.

– Roberto, ma che ci fai qui? Entra.

– Voglio andare al molo, Lucia. Ora.

– Piove, fa freddo. Vieni, intanto siediti qui.

Sistema una sedia davanti una stufetta elettrica che accende perché il suo amichetto si riscaldi. Roberto ha dieci anni, un sorriso dolce e due occhi grandi.

Lucia apre le imposte delle finestre e va in cucina a preparare una bevanda calda.

– Tieni, bevi.
Lo guarda, vuole tanto bene a quel bambino. Lo guarda con più attenzione..

-Ma cosa è successo?

Roberto ha un brutto livido sul collo e dietro l’orecchio.

– Chi è stato? Tuo padre? Ha bevuto di nuovo, vero?

Roberto china la testa, prova vergogna del male subito.

– Non è cattivo, mi legge le favole quando non è ubriaco.

Lucia lo abbraccia. Il bambino inizia a piangere e poi afferra la tazza di cioccolata calda e la beve, piano piano. È dolce, sa di cose buone, di affetto. Sta bene con Lucia; i suoi coetanei spesso lo deridono, lo chiamano “il figlio dell’ubriacone” e lui fugge via quando li incontra per strada. Lucia capisce il dolore di Roberto, conosce il bruciore che certe ferite lasciano per sempre. I loro occhi si parlano, si confortano.

– Ascolta, perché invece non mi aiuti a sistemare i colori nelle lattine? Poi potremmo dipingere insieme. C’ è quella pietra che devi finire di colorare. Se vuoi puoi usare i miei pennelli, so che ti piacciono tanto. Io devo completare un quadro che mi ha commissionato quel tale di cui non ricordo neanche il nome. Sai che ho l’ impressione che sia innamorato di me?

Roberto continua a tenere la testa bassa. È avvolto da una tristezza tale che sembra sordo a ogni sollecitazione.

-Ho capito, non ti va di dipingere. Andiamo al mare, allora?

Roberto fa cenno di sì con la testa.

– Dammi il tempo di vestirmi. Intanto ti racconto una cosa: sapevi che il mare si allunga sulla battigia per

portare tante cose belle, le conchiglie ad esempio, e poi si ritira per trascinare le cose cattive che trova

sulla riva? È una storia che mi raccontava sempre mio padre quando mi portava ad ascoltare lo sciabordio delle onde.

-Pronta! Andiamo a studiare le nostre onde.

Agitando le dita della mano come una fata pronta a mettere in atto una magia, si avvicina a Roberto che sorride e si appresta a indossare giubbotto e un cappello di lana della sua amica magica. Prendono un ombrello e, mano nella mano, percorrono una stradina e poi scendono giù per una scala che sembra calare a picco sul mare.

-Guarda quella, farà una bella schiuma appena arriva.

Il fragore dei ciottoli accompagna il susseguirsi delle onde e l’entusiasmo di osservarle, mentre le tensioni si sciolgono e tutto sembra bellissimo.

-Guarda quella…

Il tempo di vederla arrivare e poi il buio.

Quella sera Roberto non torna a casa e in paese iniziano le ricerche. Qualcuno ha visto il bambino scendere al molo con Lucia, la pittrice. Tutti sapevano della passione che quei due avevano per le onde, ma oggi non si doveva andare.

Trascorrono due giorni prima che si possano continuare le ricerche in mare. Su una delle barche sale anche il padre di Roberto. Bianco in viso, non dice una parola. Le ricerche vanno avanti per ore, invano. Quando arriva la sera, si torna a riva. Dalla barca scende un uomo che chiede di essere lasciato solo. Si siede su una bitta e con lo sguardo abbraccia il mare e promette. Promette di non bere più e di scendere ogni sera al molo per leggere una favola al suo bimbo che da qualche parte, laggiù in fondo al mare, dorme, cullato dalle onde.

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Pensieroso

01 mercoledì Feb 2023

Posted by paolina campo in pensieri

≈ 2 commenti

Tag

amicizia, fantasia, nuvole

Faceva proprio freddo quel giorno. Aveva piovuto tanto e dalla terra si alzava un buon odore di germogli nascosti, di erba verde ristorata dall’acqua del cielo.

            Appollaiato tra i rami dell’albero, suo amico da sempre, discorreva dei tempi passati e della gioia di riuscire ancora ad arrampicarsi su per quei rami. Era quello il luogo dei giochi d’infanzia, della fantasia, dello sguardo indiscreto sulle cose laggiù e su quelle che si muovevano lente nel cielo. Vedeva la gente uscire di casa, i ragazzi correre allegri per le stradine del paese, e le massaie che aprivano porte e finestre perché quell’odore di terra bagnata invadesse le stanze e circolasse libero tra le mura domestiche.

            – Sai alberello, la mia vita è speciale perché ho te che sei sempre pronto ad accogliermi. Quando sentirò che le forze mi verranno meno, non scenderò più da qui.

            L’albero strinse i suoi rami e lo avvolse come in un tenero abbraccio. Chiuse allora gli occhi, Pensieroso. Che nome era il suo! Glielo avevano affibbiato perché stava sempre assorto a pensare qualcosa.

            – Lui non parla con noi, discute con la mente – diceva qualcuno.

            Pensieroso, quel giorno che aveva piovuto, rifletteva sul fatto che tutti devono avere un lavoro, di quelli di cui si è proprio contenti e che hanno bisogno di fantasia perché su un prodotto finito, si possa sognare di fare di più e dare spazio alla mente perché costruisca idee sempre nuove. Lui lavorava con il padre, faceva il fornaio. Gli piaceva impastare acqua e farina e vedere lievitare i panetti: c’era vita lì dentro. Poi creava le forme e spesso suo padre lo riprendeva perché le sue erano strane, ricordavano nuvole sparse nel cielo.

            – Sai alberello, vorrei essere un pittore. Vorrei disegnare nuvole nel cielo.

            Tra quei rami tutto era possibile. Chiudeva gli occhi, afferrava un ramo più lungo di tutti e raggiungeva il cielo: nuvole a forma di cappello, rosse di raggi di sole al tramonto; nuvole bianche striate di grigio come i capelli di una bella signora; nuvole tonde come astronavi o allungate come fiumi di latte.  

            – Ci vediamo domani.

            Giorno dopo giorno, finito il lavoro di fornaio, Pensieroso raggiungeva il suo albero e continuava il lavoro ad occhi chiusi.

            Poi, un temporale, che insisteva da giorni in paese, impedì al ragazzo di salire sull’albero. Un giorno, due giorni e altri ancora ne passarono chiuso in casa o al panificio.  Quando finalmente la pioggia cessò, corse dal suo amico e non ebbe il coraggio di arrampicarsi. Da qualche tempo la pianta soffriva, era vecchia e la linfa saliva a fatica lungo il suo fusto. Dov’erano i frutti succosi, le foglie che godevano al sole rendendo il suo albero orgoglioso e tanto forte? I rami pendevano arrendendosi al truce destino.

            – Non morire, ti prego – e intanto dei rami si spezzavano e cadevano a terra come soldati che avevano perso la guerra.

            – Chiudi gli occhi e portami lassù tra le tue nuvole. Sarò sempre lì ad accoglierti.

            Pensieroso abbassò le palpebre e immaginò di disegnare una nuvola a forma di albero e altre come uccellini che si posavano leggeri sui rami  dove immaginava di continuare a salire .

Buona Pasqua

17 domenica Apr 2022

Posted by paolina campo in poesia

≈ 1 Commento

Tag

amicizia, Buona Pasqua, Camus, solidarietà

Buona Pasqua

Non camminare davanti a me

potrei non seguirti;

non camminare dietro di me,

potrei non sapere dove andare.

Cammina a fianco a me

e sii per me un amico!

Albert Camus

La spiaggetta del vulcano

29 venerdì Apr 2016

Posted by paolina campo in libri, Salina

≈ 1 Commento

Tag

amicizia, casa, mare, spiaggia, terra madre

foto (19)

Ci sono cose nella vita che non hanno bisogno di troppe parole. Basta uno sguardo, un abbraccio perché un’energia buona arrivi a darti nuovo vigore. Maria si abbandonò a un pianto liberatorio.  La sua vita doveva essere riconsegnata a quei ciottoli che un giorno anche lei aveva lanciato in mare. «Andiamo alla nostra spiaggetta». Andò in camera sua. Tolse quel vestito che la portava lontano dalle esigenze del suo cuore e lo poggiò distrattamente su una sedia. Tolse anche le scarpe, legò i capelli con un elastico azzurro, indossò un paio di bermuda, una maglietta e un paio di infradito. Si guardò allo specchio e sorrise. Uscirono tutte insieme per strada e prima di dirigersi verso il mare, Gisella volle passare da casa sua. «Piccolo amore mio, vieni con noi!» Prese il suo bambino tra le braccia e uscì fuori. Maria, commossa, gli prese la manina, lo accarezzò dolcemente e chiese alla sua amica di portare lei il bimbo fino alla spiaggia. Era già buio quando arrivarono, ma una luna splendente illuminava i volti raggianti delle ragazze. Raccolsero legni per accendere un falò, sistemarono il piccolo su morbide tovaglie e si sedettero in cerchio.

«Suonerò il violino, canterò canzoni alla luna e voi, care amiche, racconterete storie! Forza Maria, comincia tu.»

«Nonna Melina comprò una volta una gallinella e un galletto. Lei era dolce e remissiva e girava per l’aia con fare tranquillo e senza troppe pretese. Il galletto era vispo e dispettoso, ma quanto era bello! Lunghe piume dai colori variopinti ornavano la sua coda che brillava al sole ed una cresta rossa ed arricciata faceva da corona ad un reuccio conscio della sua beltà. Quando divenne “giovanotto”, cominciò ad allontanarsi dalla sua aia per andare in perlustrazione. Arrivò un giorno in un pollaio dove viveva una bella gallinella bianca di cui si innamorò. Cominciava così un periodo di serio corteggiamento. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, si incamminava per andare a prendere la sua amata e tornare insieme a lei dalla nonna per mangiare. Prima di sera, il galletto riaccompagnava la sua bella al suo pollaio e ritornava a casa. Se tardava, la nonna lo chiamava. Allora lui faceva capolino da dietro una grande pianta di fichidindia e presto rincasava. Un giorno si sentì un grande schiamazzo provenire dal pollaio dietro la pianta di fichidindia: il galletto, preso da un attacco di gelosia, aveva spezzato l’anca al gallo compagno di aia della sua amata. La sera dopo non tornò. Dov’era finito? Perché non rispondeva al richiamo della sua padrona? Perché si era addormentato nel giardino antistante il pollaio della vicina con “lei” da una parte ed il suo rivale dall’altra.» Tutte risero e batterono le mani.

«Adesso tocca a te Sophia. Quali storie di bianche fate ci puoi raccontare?» Sophia si alzò, guardò il cielo e cominciò a recitare i versi di un antico poema.

«Disse Volva, la Veggente: con forza da sud il sole, compagno della luna, stese la mano destra verso l’orlo del cielo; il sole non sapeva dov’era la sua corte, le stelle non sapevano dov’era la loro dimora, la luna non sapeva qual’era il suo potere. Andarono allora gli dei tutti ai troni del giudizio, divinità santissime e su questo deliberarono: alla notte e alle fasi lunari nome imposero; al mattino dettero un nome e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera per contare gli anni.» Le parole di Sophia si diffondevano magicamente. Tutte si alzarono e danzarono leggere attorno al fuoco. Gisella prese il suo bimbo e cantò un’antica ninna nanna cullandolo teneramente. Se è vero che la musica è conversazione, dialogo, il violino di Betty parlava al cuore di ognuna. Nel susseguirsi delle note vi era l’invito a danzare insieme facendo dei grandi cerchi, tenendosi per mano e saltando ora su un piede ora su un altro in un balletto semplice e gaio.

Ogni immagine, ogni scena sembrava il risultato di un grande disegno, un’opera d’ arte suprema.

 

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A fine giornata
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