Si sceglie un libro, si acquista e si porta a casa. Si mette sulla scrivania in attesa di poterlo sfogliare, odorare, scoprire. Leggere. Intanto se ne osserva la copertina e si pensa a quello che c’è oltre quell’immagine, quel titolo e quando si inizia a far scorrere le pagine e le parole ti assale la meraviglia della scoperta, lo stupore della bellezza che tra quei fogli di carta si disvela.
E se la copertina del più grande libro che mai potresti tenere tra le mani, si mostra in ogni momento della giornata, ogni volta che volgi lo sguardo oltre la finestra di casa?

Pensi: che bella! E la mente comincia a frugare tra i meandri di quel vulcano imponente e meraviglioso, alla scoperta degli elementi di una sorta di catasto magico, come l’ha definito Marinella Fiume, figura poliedrica nel panorama culturale, e non solo, della Sicilia, in occasione della presentazione¹ degli eventi che, dal 2 all’8 maggio, hanno accompagnato un progetto, ETNA X EMERGENCY, volto alla raccolta di fondi per Emergency, associazione umanitaria, fondata a Milano da Gino Strada nel 1994.
Un catasto magico dove convivono creature demoniache insieme a fate, regine e cavalieri; dee e filosofi alla ricerca sempre di qualcosa; viaggiatori e contadini toccati da una imperscrutabile bellezza.
-Ma, senta signora Montagna, quando ci sarà la prossima eruzione?-
-E chi ni sacciu iu?- ( E che ne so io)
E’ Boris Behncke, vulcanologo appassionato dell’Etna, tedesco con un simpatico accento catanese, che tenta un’intervista, immaginaria, alla Montagna che risponde in tipico stile siciliano, per spiegare l’impossibilità di fare previsioni, nonostante l’Etna sia il vulcano più osservato al mondo.
Capitolo… uno aperto a caso…
Stupidità della guerra: la natura legata al concetto di pace.
Monte Nero degli Zappini
8 maggio 2016. Ci prepariamo a sfogliare le immagini di un capitolo racchiuso nel grande libro dell’Etna. Il professore Camillo Bella, sostenitore di Emergency e grande appassionato del vulcano siciliano², farà da guida lungo i sentieri di monte Zappino.
Erbetta e fiori colorati rallegrano il paesaggio attraversato da lingue di roccia nera, testimonianza di colate laviche imponenti. Apprendiamo che zappino è il nome con cui, nel dialetto del luogo,vengono denominati i pini. Zappino è anche uno strumento che i boscaioli usano per sistemare la legna da ardere. All’inizio del nostro cammino ci accoglie un grande pino dove sono visibili dei grossi bozzoli. Purtroppo non sono grossi bachi da seta e neanche speciali nidi di uccelli: è un terribile parassita, la processionaria, che si è stanziato da quelle parti. La nostra guida ci avverte di evitare incontri troppo ravvicinati con questi vermi in processione per evitare fastidiose allergie.
Continuiamo il nostro cammino e arriviamo in un luogo dove quel catasto magico sembra svelare alcuni dei suoi misteri. Rocce come grandi volti di maghi che da sempre guardano il mare e poi una bocca che si apre sgomenta su un dirupo, un cratere che un gas feroce formò per dare sfogo alla rabbia della Montagna. Non fantastichiamo più, parla la scienza: quello che a occhi profani potrebbe sembrare un cratere, è invece un hornitos. Durante la colata lavica, succede che sotto il magma fluente, a un certo punto scoppia una carica di gas che si fa spazio tra la massa incandescente, formando appunto un hornitos, termine spagnolo che significa forno caldo, camino da forno. Ho immaginato una cosa più casalinga: una crema che facciamo riscaldare troppo e a un certo punto fa grosse bolle che scoppiano. Non me ne voglia il professore!
Lasciamo l’hornitos e, continuando la nostra passeggiata, incontriamo strane pietre. Ricordano molto un fantastico, quanto simpatico, personaggio di un film di qualche anno fa, La storia infinita, Mordipietra, nativo di Monte Forato. Queste invece provengono dalla bocca del vulcano che le ha lanciate durante un’eruzione.
Arriviamo, quindi, al rifugio Santa Barbara.
Santa Barbara benedetta, liberaci dal fuoco e dalla saetta
così recita una preghiera popolare legata al culto della santa protettrice dalle insidie del fuoco, tanto da essere, anche, la patrona del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Sembra assolutamente appropriato il nome scelto per designare questo luogo che con il fuoco ha dovuto fare spesso i conti. Il rifugio è aperto a tutti e offre legna da ardere,uno splendido camino in pietra, panche, tavolo, griglia e utensili. Ci si lamenta spesso di come la gente lasci spazzatura nei luoghi pubblici che frequenta. Questo rifugio è uno, forse tra i pochi, dove sembra che la regola del RISPETTO sia seguita. C’è anche un romantico pozzo pieno d’acqua e completo di gallo segnavento.

Nella zona del rifugio Santa Barbara si trova una neviera, una grotta sotterranea dove veniva raccolta la neve per poi essere venduta a valle. La neve, appositamente avvolta e conservata in sacchi di juta e paglia, veniva trasportata a dorso di asini che arrivavano fino al porto di Catania. La neve dell’Etna, quindi, partiva alla volta di Malta.
Proseguiamo il nostro cammino tra alberelli solitari e rocce vulcaniche ornate da collane di ciuffi d’erba. Ci immergiamo all’improvviso in un bosco dove alti pini rendono il paesaggio fatato.
Siamo nelle vicinanze del Giardino Botanico Nuova Gussonea, nato nel 1979 da un accordo tra la direzione generale delle foreste della Regione Sicilia e l’Università di Catania. Il giardino, intitolato a un importante botanico italiano, Giovanni Gussone vissuto tra il 1787 e il 1866, si trova sul versante meridionale dell’Etna, nei pressi del comune di Ragalna. Inaugurato nel 1981, la Nuova Gussonea raccoglie e riproduce piante e semi dell’ambiente vulcanico etneo.

La nostra passeggiata sta per terminare. Ci dirigiamo verso l’Osservatorio Astrofisico, ai piedi di colate laviche che ancora ci parlano di fuoco e di magia, dove ci attende il dott. Giuseppe Cutispoto, astronomo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
La prima sede dell’Osservatorio era nata nel 1880 a 2941 m slm, ed era stata intitolata a Vincenzo Bellini. L’antica sede venne distrutta nel 1971 da una disastrosa eruzione dell’Etna. Nel 1966 era nata la sede dell’Osservatorio Astrofisico presso la Cittadella Universitaria a Catania, grazie al lavoro del Prof. Mario Girolamo Fracastoro a cui è dedicata la nuova sede sull’Etna, in contrada Serra la Nave, a 1725 m slm. Ciò che più mi colpì fu il cinguettio forte e chiaro degli uccelli. Ma come? Il dott. Cutispoto ci aveva raccontato la storia dell’Osservatorio, prima distrutto dalla lava; ci aveva detto come la sede costruita presso la Cittadella Universitaria non garantiva una buona osservazione delle stelle per via dell’illuminazione cittadina. Pensai: lì, non solo si vedono meglio le stelle ma si sente bene il canto degli uccelli e questo mi piacque molto. Mi dava un grande senso di pace, quella pace non contaminata dalla stupidità degli uomini che non sentono e non vedono. La stupidità della presunzione che le armi siano la soluzione…a cosa? Alla tragedia di vedere un bimbo dilaniato invece di osservarlo mentre cresce e sogna? Chiudo il libro dell’Etna e apro una pagina de Viaggio al termine della notte:
Mai mi ero sentito così inutile come in mezzo a tutte quelle pallottole e le luci di quel sole. Un’immensa, universale presa in giro³
è questo che la nostra passeggiata ha voluto sottolineare: che la guerra è una grande presa in giro.
¹Catania, Palazzo Platamone, 28 aprile 2016
²www.etnanatura.it
³Louis-Ferdinand Cèline, Viaggio al termine della notte, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, Roma, 2002, pag.16