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~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi della categoria: vulcano

I racconti della Montagna(2)

07 giovedì Gen 2021

Posted by paolina campo in Etna, vulcano

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Cerere, Etna, Miti e leggende, Proserpina

L’Etna vista da me. Dietro la cupola bianca i Monti Rossi, due coni piroclastici formati in seguito all’eruzione del 1669

Gli antichi, i nostri avi, tra questi i greci che nella Sicilia orientale fondarono la Magna Grecia, vedevano nel grande vulcano l’immagine dell’antitesi tra morte e vita, per cui l’eccezionale fertilità della terra veniva attribuita alla cenere e alla lava distruttrici. Secondo la tradizione, sulle pendici dell’Etna, Aristeo, figlio di Deucalione, inventò la vigna; Empedocle, per soddisfare la sua curiosità scientifica, volle osservare troppo da vicino il vulcano e fu inghiottito dal cratere che ne restituì solo un sandalo; dentro le sue viscere, i Ciclopi lavoravano nelle fucine ardenti di Efesto. Antiche storie attraversano la Montagna, spesso miti, che si intrecciano con la natura dirompente del vulcano. Si può quindi immaginare di scorgere tra i boschi dell’ Etna una madre, Cerere, che vaga sconvolta tra le campagne pedemontane. Accende una torcia nel cratere del vulcano per meglio illuminare i luoghi dove Proserpina, sua figlia, è stata rapita dal tenebroso Plutone. Il mito racconta che il re degli abissi tornava da una spedizione alla triplice base su cui poggiava la Sicilia. Vide Proserpina intenta a raccogliere dei fiori, se ne innamorò e la rapì. Cerere vagò per tutta la regione etnea alla ricerca della figlia. Mentre procedeva per i prati dell’Etna, si sentì infastidita dal rumore caratteristico delle silique struscianti del lupino, un rumore che aumentava al suo passaggio. Pensò che la pianta si prendesse gioco del suo dolore e la maledisse: “Possa tu provare la mia amarezza!”. Da quel momento il lupino dell’Etna divenne amaro. La dea, tramite l’intercessione di Giove, ottenne di vedere la figlia solo per cinque mesi l’anno. Plutone, infatti, prima di permettere a Proserpina di tornare sulla Terra, le fece mangiare dei chicchi di melograno: tanti chicchi mangiati dall’ignara fanciulla, tanti i mesi da trascorrere accanto al tenebroso marito. Secondo gli antichi, la natura, da allora, partecipa della gioia di Cerere che riabbraccia la figlia, regalando ogni anno la primavera che risveglia la natura e fa fiorire i germogli.

I racconti del vulcano

03 domenica Gen 2021

Posted by paolina campo in Etna, Sicilia, vulcano

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Bronte, ducea di Nelson, leggende etnee, Maniace

C’ era una volta, e c’è ancora in località Maniace, graziosa frazione di Bronte, paese alle pendici del vulcano Etna, una Ducea appartenuta a Horatio Nelson, eroe di Trafalgar. Un’antichissima leggenda narrava che nel libro del destino era scritto che la siciliana Bronte finisse, un giorno, nelle mani degli inglesi. Si raccontava, infatti, che alla morte di Elisabetta I, il corpo dell’eretica regina fosse stato preso da una schiera di diavoli e condotto, attraverso la Manica e la Francia, in Italia e infine in Sicilia. Qui, i diavoli lasciarono cadere il corpo della regina nel cratere dell’Etna e una scarpetta scivolò dal piede della sovrana che rotolò fino ad arrivare nei pressi di Bronte. La favola continua. Si racconta che l’ammiraglio britannico Nelson, al momento di ricevere l’investitura di duca nel Palazzo Reale di Palermo, dopo le sue ripetute vittorie nel Mediterraneo contro i francesi, venisse avvicinato da una donna misteriosa. Questa donò al duca un cofanetto che conservava la scarpetta della regina che Nelson, poi, regalò alla sua amante, Lady Emma Hamilton. Il gesto irritò la misteriosa signora che, poco prima della battaglia di Trafalgar, annunciò la sua morte.

Un brucaliffo sull’Etna

27 martedì Ott 2020

Posted by paolina campo in Etna, libri, Sicilia, vulcano

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Alice, vanità

Era dicembre e aveva nevicato copiosamente per due giorni. Zafferana, paese etneo, orgoglioso della sua posizione privilegiata alle pendici della Muntagna, s’era vestito di bianco. La sera, illuminato dai bagliori della lava e investito dalla voce tonante del vulcano, si lasciava attraversare da una magica atmosfera. Al mattino, invece, si svegliava avvolto dall’aria pungente che scendeva dall’Etna vestita di un candido mantello puntellato qua e là da macchie scure di roccia vulcanica che facevano capolino per guardare il cielo. Qualche nuvola si adagiava in cima alla Muntagna, lasciandosi attraversare da sporadici sbuffi di fumo grigio che usciva a sorpresa dal cratere centrale. Era, pensava Cettina, come se un Brucaliffo si fosse accomodato sul bordo del cratere, invece che su un fungo e, fumando il suo narghilè, lanciasse palle di fumo per invitare incaute visitatrici ad andarsene. Aveva letto il romanzo di Luis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie, e tra tutti i personaggi che l’avevano divertita, incuriosita e l’avevano fermata per riflettere su atteggiamenti e situazioni vere, riscontrabili nella vita di ogni giorno, tra il Bianconiglio, il Cappellaio Matto, lo Stregatto e altri, uno le era sembrato proprio particolare, il Brucaliffo, un bruco che si dava tante arie, ma che mai sarebbe diventato farfalla. Guardando gli sbuffi grigi dell’Etna, Cettina lo immaginava lì, tra il fuoco e il fumo, ad arrostire la sua vanità.

Efesto

15 sabato Feb 2020

Posted by paolina campo in Sicilia, vulcano

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aurora, bellezza, Efesto, vulcano

Quella mattina, Efesto aveva tolto i mantici dal fuoco per guardare attraverso la bocca del vulcano.

Vide nuvole rosa distendersi serene nel cielo; osservò la luna che ancora rivolgeva il suo sguardo al mondo come una madre che non arresta mai l’attenzione sui suoi figli.

Quella mattina, il dio del fuoco rimase estasiato dai colori che Aurora aveva preparato per il nuovo giorno.

Si saziò di bellezza, fece il pieno di stupore e accese la fucina per realizzare grandi opere.

Harry

09 giovedì Nov 2017

Posted by paolina campo in mare, silenzio, vulcano

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eruzione a crosta di pane, inglesi, storia eolie, vulcano, zolfo

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Tutto può accadere nei sogni, anche di vedere un albero in mezzo al mare che ha radici negli abissi e rami persi tra le nuvole. Con foglie larghe come quelle di un banano, ma non è un banano. E foglie piccole come quelle di un ulivo, ma non è un ulivo.

Un albero. In mezzo al mare.

 

-Era meglio che rimanevo al mio paese e marcire in carcere invece di seguire quel pazzo di Mr. Stevenson!-

Harry parlava, si arrabbiava e remava. Sbuffava e se la prendeva con i pesci che nuotavano liberi e seguivano la sua barca.

-Cosa avete da guardare? Cosa ne sapete voi della fame? E’ per colpa sua che sono qua ora!- e intanto gli rimbombavano nella mente e nel cuore i boati di Vulcano e il frastuono della sua vita.

Conosceva bene la solitudine, in tutte le sue forme, anche quella che si sceglie per difendersi, per continuare a sentire che respiri ancora. I suoi genitori l’avevano abbandonato per strada che era diventata la sua casa e dove aveva conosciuto ladri, ubriaconi, approfittatori. Imparò l’arte di arrangiarsi. Imparò che doveva bastare a se stesso, che guardarsi intorno era l’unico modo per sopravvivere sia quando i crampi allo stomaco lo spingevano a rubare o elemosinare qualcosa, sia quando il sonno arrivava inesorabile a chiudergli gli occhi,  a spingerlo a piegarsi in un angolo di marciapiede per trovare un fugace rifugio. Un giorno la polizia lo prese, dopo una corsa tra le vie più impervie di quella città dove neanche la nebbia, quella volta, lo aveva protetto e nascosto. Finì in carcere e pensò che almeno per un po’ avrebbe avuto un tetto sulla testa. I giorni cominciarono a susseguirsi stanchi, lenti, scanditi dalle voci di malfattori e assassini che trascorrevano il tempo tra imprecazioni e racconti che impregnavano l’aria di sangue e vendetta. Harry ne aveva sentite di storie strane di fattucchiere, streghe, scope volanti e maghi e folletti che apparivano e sparivano tra il buio e la nebbia dei vicoli della sua città. Di notte la città di Glasgow era popolata da ubriaconi, donne grasse dagli occhi terribili e poveracci che si rannicchiavano sotto le panchine per ripararsi dal gelo. Di giorno, su quelle stesse strade sfilavano superbi ricconi e bellissime dame. Harry li guardava, li osservava e non capiva se per quella gente provava invidia, rabbia o ammirazione. Proprio uno di loro lo aveva reclutato, insieme ad altri galeotti, per formare l’equipaggio di una nave a vapore che avrebbe solcato l’oceano e superato lo stretto che separava Europa e Africa, per raggiungere il Mediterraneo. Qualcuno gli aveva detto che il viaggio sarebbe stato lungo e faticoso, ma sarebbero arrivati in un posto dove il mare abbracciava isole che profumavano di vino ambrato, dolce e inebriante; dove le donne lavorano nei campi e conoscevano i pesci, il vento e il mare, e alcune di loro la notte si spalmavano di oli e volavano verso terre lontane per tornare all’alba nei loro letti, a scaldare i loro uomini. Harry non sapeva nulla delle mire egemoniche inglesi descritte su articoli del Times o su quelli del Journal of the Statistical Society of London. Mr James Stevenson aveva fiutato un buon affare proprio in mezzo al Mediterraneo dove spagnoli, francesi e inglesi si contendevano terre, sbocchi sul mare e traffici proficui come quello dello zolfo e dell’allume.  Il ricco imprenditore scozzese aveva comprato l’isola di Vulcano, nell’arcipelago delle isole Eolie, da un generale dell’esercito borbonico, dopo la caduta del Regno delle due Sicilie. Partì quindi con tutta la sua famiglia, per ingozzarsi di potere e di denaro. Era il 1885 e Harry si imbarcò su una nave a vapore per lavorare come fuochista, insieme ad altri galeotti che insieme a lui furono chiusi in grandi cabine dove il rumore dei motori era assordante e il calore toglieva loro il respiro. Si lavorava a gruppi e una volta, stremato dalla fatica, si addormentò prima di raggiungere un giaciglio dove potersi distendere. Si addormentò seduto in un angolo e sognò uno strano albero: era grande, grandissimo, e sorgeva tra le onde del mare. Aveva radici che si allungavano nelle profondità degli abissi e i rami si allungavano fino a perdersi tra le nuvole. Foglie larghe, foglie strette, a forma di cuore o tonde e smerlate componevano una chioma irregolare e strana. Ogni tanto una delle foglie cadeva in acqua e sembrava portasse impresso un messaggio. Allora arrivava un’onda, raccoglieva la foglia e la portava con sé. Dove la chioma si diradava appena, piccoli gnomi scrivevano e sembrava avessero tanto da fare: sulle foglie larghe scrivevano storie; su quelle medie messaggi, aforismi; su quelle piccole, le parole che mai devono essere dimenticate. Harry si vide trasportato da una nuvola fino a raggiungere uno degli infaticabili scrivani che appena lo vide, gli sorrise e gli spiegò che stava scrivendo proprio la sua storia. Ma che storia era la sua? La storia di un povero disgraziato che non sapeva neanche dove era finito!

Fu svegliato da un vocione che gli intimava di tornare al lavoro. Harry aveva sempre creduto ai sogni e sicuramente tra le onde del mare delle donne volanti, doveva esistere un albero che nasceva dal mare e non dalla terra.

L’isola di Vulcano apparve come un’immensa miniera d’oro agli occhi di Stevenson, e una meravigliosa, magica apparizione agli occhi dei fuochisti sporchi di carbone: il blu del mare, il verde di piante selvatiche che a chiazze prendeva il posto del giallo dello zolfo che spargeva nell’aria un pesante odore di uova andate a male. E poi il bianco dei vapori che qua e là si aprivano un varco tra la roccia e che sembrava manifestare l’esistenza di giganti fuochisti dentro la montagna che lavoravano incessantemente per dare vita a quel posto. Sbarcati sull’isola, si pensò subito ad avviare la fabbrica per l’estrazione dello zolfo e Harry e i suoi compagni furono alloggiati in grandi cameroni attigui alla fabbrica. Stevenson si fece costruire un elegante dimora e visse tra gli agi, fino a che i diavoli del vulcano non uscirono dai crateri e lanciarono grosse  pietre che distrussero la fabbrica. Un masso a crosta di pane si conficcò proprio sul tetto della bella casa dei ricchi scozzesi che corsero in cerca di una barca per fuggire da quell’isola infernale. Scapparono via mentre i diavoli di Vulcano se la godevano sguazzando tra i bollori dell’acqua sulfurea. L’imprenditore non tornò più sull’isola. Harry, preso da una grande paura, era sceso anche lui in riva al mare e sulla battigia era salito su un gozzo e aveva cominciato a remare, affannandosi e imprecando. Era il 3 agosto del 1888, un giorno che non avrebbe mai più dimenticato. Si trovò al largo, stanco e confuso. Frenò la sua ira e non remò più e, disteso a poppa del gozzo, si fece trasportare dalle onde. L’aria era limpida e l’odore del mare lo raggiungeva come una carezza. Chissà come è stato: all’improvviso una grande foglia gli si posò sul viso. La prese tra le mani e lesse la sua storia. In lontananza, tra la folta chioma di un grande albero, uno gnomo scrivano lo salutava. Harry pensò che aveva ragione: ai sogni bisognava credere. Continuò quindi a dormire, lasciando che le onde si occupassero di lui e segnassero per sempre il suo destino.

∗http://www.ct.ingv.it
∗http://www.giornaledilipari.it/lalbum-dei-ricordi-leruzione-del-1888-a-vulcano/
∗http://www.nuovarivistastorica.it/?p=3211
∗Guy de Maupassant, Viaggio in Sicilia, trad. e note Carlo Ruta, Edi.bi.si., Palermo, 2004, pag.61
∗Gastone Vuillier, La Sicilia-impressioni del presente e del passato, nota intr. di Francesco Brancato, Edizioni Grifo, Palermo, 1995, pag. 401 

 

 

 

 

Leggere la Montagna

21 sabato Mag 2016

Posted by paolina campo in vulcano

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emergency, Etna, osservatorio astrofisico, pineta, raccolta fondi, rifugio

Si sceglie un libro, si acquista e si porta a casa. Si mette sulla scrivania in attesa di poterlo sfogliare, odorare, scoprire. Leggere. Intanto se ne osserva la copertina e si pensa a quello che c’è oltre quell’immagine, quel titolo e quando si inizia a far scorrere le pagine e le parole ti assale la meraviglia della scoperta, lo stupore della bellezza che tra quei fogli di carta si disvela.

E se la copertina del più grande libro che mai potresti tenere tra le mani, si mostra in ogni momento della giornata, ogni volta che volgi lo sguardo oltre la finestra di casa?

etnaneve

Pensi: che bella! E la mente comincia a frugare tra i meandri di quel vulcano imponente e meraviglioso, alla scoperta degli  elementi di una sorta di catasto magico, come l’ha definito Marinella Fiume, figura poliedrica nel panorama culturale, e non solo, della Sicilia, in occasione della presentazione¹ degli eventi che, dal 2 all’8 maggio, hanno accompagnato un progetto, ETNA X EMERGENCY, volto alla raccolta di fondi per Emergency, associazione umanitaria, fondata a Milano da Gino Strada nel 1994.

Un catasto magico dove convivono creature demoniache insieme a fate, regine e cavalieri; dee e filosofi alla ricerca sempre di qualcosa; viaggiatori e contadini toccati da una imperscrutabile bellezza.

-Ma, senta signora Montagna, quando ci sarà la prossima eruzione?-

-E chi ni sacciu iu?- ( E che ne so io)

E’ Boris Behncke, vulcanologo appassionato dell’Etna, tedesco con un simpatico accento catanese,  che tenta un’intervista, immaginaria, alla Montagna che risponde in tipico stile siciliano, per spiegare l’impossibilità di fare previsioni, nonostante l’Etna sia il vulcano più osservato al mondo.

Capitolo… uno aperto a caso…

Stupidità della guerra: la natura legata al concetto di pace. 

Monte Nero degli Zappini

8 maggio 2016. Ci prepariamo a sfogliare le immagini di un capitolo racchiuso nel grande libro dell’Etna. Il professore Camillo Bella, sostenitore di Emergency e grande appassionato del vulcano siciliano², farà da guida lungo i sentieri di monte Zappino.

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Erbetta e fiori colorati rallegrano il paesaggio attraversato da lingue di roccia nera, testimonianza di colate laviche imponenti. Apprendiamo che zappino è il nome con cui, nel dialetto del luogo,vengono denominati i pini. Zappino è anche uno strumento che i boscaioli usano per sistemare la legna da ardere. All’inizio del nostro cammino ci accoglie un grande pino dove sono visibili dei grossi bozzoli. Purtroppo non sono grossi bachi da seta e neanche speciali nidi di uccelli: è un terribile parassita, la processionaria, che si è stanziato da quelle parti. La nostra guida ci avverte di evitare incontri troppo ravvicinati con questi vermi in processione per evitare fastidiose allergie.

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Continuiamo il nostro cammino e arriviamo in un luogo dove quel catasto magico sembra svelare alcuni dei suoi misteri. Rocce come grandi volti di maghi che da sempre guardano il mare e poi una bocca che si apre sgomenta su un dirupo, un cratere che un gas feroce formò per dare sfogo alla rabbia della Montagna. Non fantastichiamo più, parla la scienza: quello che a occhi profani potrebbe sembrare un cratere, è invece un hornitos. Durante la colata lavica, succede che sotto il magma fluente, a un certo punto scoppia una carica di gas che si fa spazio tra  la massa incandescente, formando appunto un hornitos, termine spagnolo che significa forno caldo, camino da forno. Ho immaginato una cosa più casalinga: una crema che facciamo riscaldare troppo e a un certo punto fa grosse bolle che scoppiano. Non me ne voglia il professore!

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Lasciamo l’hornitos e, continuando la nostra passeggiata, incontriamo strane pietre. Ricordano molto un fantastico, quanto simpatico, personaggio di un film di qualche anno fa, La storia infinita, Mordipietra, nativo di Monte Forato. Queste invece provengono dalla bocca del vulcano che le ha lanciate durante un’eruzione.

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Arriviamo, quindi, al rifugio Santa Barbara.

Santa Barbara benedetta, liberaci dal fuoco e dalla saetta

così recita una preghiera popolare legata al culto della santa protettrice dalle insidie del fuoco, tanto da essere, anche, la patrona del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Sembra assolutamente appropriato il nome scelto per designare questo luogo che con il fuoco ha dovuto fare spesso i conti. Il rifugio è aperto a tutti e offre legna da ardere,uno splendido camino in pietra, panche, tavolo, griglia e utensili. Ci si lamenta spesso di come la gente lasci spazzatura nei luoghi pubblici che frequenta. Questo rifugio è uno, forse tra i pochi, dove sembra che la regola del RISPETTO sia seguita. C’è anche un romantico pozzo pieno d’acqua e completo di gallo segnavento.

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Nella zona del rifugio Santa Barbara si trova una neviera, una grotta sotterranea dove veniva raccolta la neve per poi essere venduta a valle. La neve, appositamente avvolta e conservata in sacchi di juta e paglia, veniva trasportata a dorso di asini che arrivavano fino al porto di Catania. La neve dell’Etna, quindi, partiva alla volta di Malta.

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Proseguiamo il nostro cammino tra alberelli solitari e rocce vulcaniche ornate da collane di ciuffi d’erba. Ci immergiamo all’improvviso in un bosco dove alti pini rendono il paesaggio fatato.

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Siamo nelle vicinanze del Giardino Botanico Nuova Gussonea, nato nel 1979 da un accordo tra la direzione generale delle foreste della Regione Sicilia e l’Università di Catania. Il giardino, intitolato a un importante botanico italiano, Giovanni Gussone vissuto tra il 1787 e il 1866, si trova sul versante meridionale dell’Etna, nei pressi del comune di Ragalna. Inaugurato nel 1981, la Nuova Gussonea raccoglie e riproduce piante e semi dell’ambiente vulcanico etneo.

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La nostra passeggiata sta per terminare. Ci dirigiamo verso l’Osservatorio Astrofisico, ai piedi di colate laviche che ancora ci parlano di fuoco e di magia, dove ci attende il dott. Giuseppe Cutispoto, astronomo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

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La prima sede dell’Osservatorio era nata nel 1880 a 2941 m slm, ed era stata intitolata a Vincenzo Bellini. L’antica sede venne distrutta nel 1971 da una disastrosa eruzione dell’Etna. Nel 1966 era nata la sede dell’Osservatorio Astrofisico presso la Cittadella Universitaria a Catania, grazie al lavoro del Prof. Mario Girolamo Fracastoro a cui è dedicata la nuova sede sull’Etna, in contrada Serra la Nave, a 1725 m slm.  Ciò che più mi colpì fu il cinguettio forte e chiaro degli uccelli. Ma come? Il dott. Cutispoto ci aveva raccontato la storia dell’Osservatorio, prima distrutto dalla lava; ci aveva detto come la sede costruita presso la Cittadella Universitaria non garantiva una buona osservazione delle stelle per via dell’illuminazione cittadina. Pensai: lì, non solo si vedono meglio le stelle ma si sente bene il canto degli uccelli e questo mi piacque molto. Mi dava un grande senso di pace, quella pace non contaminata dalla stupidità degli uomini che non sentono e non vedono. La stupidità della presunzione che le armi siano la soluzione…a cosa? Alla tragedia di vedere un bimbo dilaniato invece di osservarlo mentre cresce e sogna? Chiudo il libro dell’Etna e apro una pagina de Viaggio al termine della notte:

Mai mi ero sentito così inutile come in mezzo a tutte quelle pallottole e le luci di quel sole. Un’immensa, universale presa in giro³

è questo che la nostra passeggiata ha voluto sottolineare: che la guerra è una grande presa in giro.

¹Catania, Palazzo Platamone, 28 aprile 2016

²www.etnanatura.it

³Louis-Ferdinand Cèline, Viaggio al termine della notte, LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA, Roma, 2002, pag.16

Le acconciature della Montagna

24 domenica Gen 2016

Posted by paolina campo in vulcano

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capelli, Catania, Etna, libri, mare, nuvole

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Acconciatura anni ’60, con cotonatura casual e ciocche lunghe alla Brigitte Bardot.

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Cappellino inglese, sfizioso, reale ed elegante.

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Riccioli sparsi, ribelli, un po’ rivoluzionari.

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Chioma ordinata, liscia e seriosa, da professoressa impegnata.

Osservando la Montagna dal balcone di casa, la mia fantasia si scatena! Eppure quelle nuvole, che ho immaginato come capelli variamente acconciati di una elegante signora, ho scoperto che hanno un significato molto importante per i pescatori catanesi. Prima che arrivasse la pandemia, amavo visitare i numerosi negozi di rigattieri che qua e là si affacciano sulle vie della città etnea. Tra vecchie lampade, sedie traballanti, tavoli di legno pesantissimo e libri dai fogli ingialliti e delicatissimi, un giorno fui attirata da un libro. Ne ho presi tanti di libri, vecchi e con un odore antico di cose usate e amate. Quello invece non era proprio antico. Si trovava dentro un cesto poggiato sul pavimento e aveva una bella copertina gialla: Pippo Testa e Mimmo Urzì, IL GOLFO DI CATANIA E I SUOI PESCATORI, Edizioni GRECO, 1996. L’ho letto tutto d’un fiato e subito ho scoperto che le nuvole che volteggiano e abbracciano l’Etna, sono, in vero, il barometro dei marinai, sono i segni attraverso cui i pescatori interpretano le condizioni meteorologiche.

-Oggi la Montagna dice che si può uscire per mare-

-Mmm…oggi è meglio che non ci muoviamo. L’Etna è strammata (disturbata)-

Ecco, l’Etna condiziona la fantasia di chi non si stanca mai di osservarla come smuove le correnti del mare. Quannu u mari vugghi (quando il mare ribolle), vuol dire che il vulcano tuona. E la fantasia galoppa.

‘A Muntagna

14 lunedì Dic 2015

Posted by paolina campo in vulcano

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acqua, aria, conoscenza, Empedocle, Etna, fuoco, Nelson, regina, sandalo, terra

etna

Gibel Utlamat, Mongibello, Etna. ‘A Muntagna.  Fuoco, aria e terra la cui eccezionale fertilità veniva attribuita dagli antichi alla cenere e alla lava distruttrici. Vita, morte e poi ancora vita. Nel suo cratere Cerere accese una torcia per illuminare i sentieri lungo i quali, disperata, vagava alla ricerca di Proserpina, sua figlia, rapita alle pendici del vulcano dal tenebroso Plutone. Storie, leggende che come nuvole leggere avvolgono e corteggiano questo miracolo della natura. Nel suo cratere cadde o si gettò il filosofo agrigentino, Empedocle, che identificò l’organo del’intelligenza con il sangue, rosso come lava, e pensava che lì scorresse il pensiero; e nella lotta tra Amore e Odio vide la continua aggregazione e disgregazione di fuoco, aria, acqua, terra. Cadde o si gettò? Uomo di vastissima cultura, si dice si fosse avvicinato troppo al cratere. Sapere implica curiosità, il desiderio della scoperta è accompagnato da innumerevoli domande e il vulcano che riusciva mirabilmente a mescolare i quattro elementi originari, rhizòmata, radici, attirò a sé quella fonte inesauribile di scienza, di domande, fino a inghiottirlo e con uno sbuffo ne restituì solo un sandalo.

Ma un altro calzare scivolò lungo un pendio dell’Etna, questa volta una scarpetta regale. Secondo un’antichissima leggenda, era scritto nel libro del destino che la siciliana Bronte finisse nelle mani degli inglesi. Si racconta che alla morte della regina Elisabetta I, il suo corpo era stato preso da una schiera di diavoli e condotto, attraverso la Manica e la Francia, in Italia e infine in Sicilia, dove sarebbe finito nel cratere dell’Etna. Nel precipitare, dal piede della regina si sarebbe staccata una scarpetta finita, rotolando, nei pressi di Bronte. La favola racconta che l’ammiraglio Horatio Nelson, al momento di ricevere l’investitura di duca della Ducea siciliana nel Palazzo Reale di Palermo, fu avvicinato da una misteriosa signora che gli donò un cofanetto dentro il quale vi era la scarpetta della regina. Nelson regalò la scarpetta alla sua amante, gesto non gradito alla misteriosa signora che, poco prima della battaglia di Trafalgar, sarebbe di nuovo riapparsa all’ammiraglio per rimproverargli il cattivo gesto e annunciargli la sua prossima fine.

“La vita, la morte e poi ancora la vita… Fitti boschi dove tra alberi altissimi corrono liberi gruppi di cinghiali e poi all’improvviso la lava nera che inesorabilmente copre tutto e da cui furtivamente fa capolino un’erbetta, un albero, simile a un condannato a morte a cui è stata concessa la grazia, simile a un bimbo che con forza nasce dalle viscere della madre.” (P. Campo, Vi racconto una storia, Bonanno, Acireale, 2009, pag.24)   

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