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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

amareilmare

Archivi della categoria: Salina

Sera

19 mercoledì Mag 2021

Posted by paolina campo in poesia, Salina, storia

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pace, riflessioni, tramonto

Bellezza che ferisce

trafigge il cuore

E poi svanisce.

Si accendono le luci

di gusci che tutelano

le gioie e i dolori

di una vita

ferita da più parti

da raggi di sole

troppo intensi

e che tanto hanno promesso.

Con gli ultimi bagliori,

si rasserenanno le menti

si allontanano gli affanni

si pensa a un raggio verde

da percorrere fino alla Luna

dove abbandonare

follie e sbandamenti

timori e ripensamenti.

Iris

04 martedì Mag 2021

Posted by paolina campo in poesia, Salina

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decennio avvicinamento delle culture


Ringrazio Luisa Zambrotta per avermi invitata a partecipare al DECENNIO DI AVVICINAMENTO DELLE CULTURE – Esposizione internazionale virtuale. Pubblicherò dieci poesie, una al giorno, per dieci giorni.

7° giorno

Iris

Camminava,

correva.

Arrivava fin dove

erbe selvatiche

crescevano libere,

dove da un’ alta falesia

osservava le onde del mare

guizzare felici

e nuvole bianche

vagare leggere.

Un velo di pioggia

un arcobaleno

il vento nei piedi

per correre dietro

 tutti i colori

che emergevano fulgidi

 da un cerchio salato.

Gridò: VOGGHIU!

E subito accorsero

i raggi del sole

che cucirono presto

un vestito di seta

odoroso di terra

di mare e di cielo,

perché per un giorno

fosse regina

fosse una dea

e non più solo

una messaggera.

VOGGHIU NA VESTI

FATTA DI SITA

TUTTA GUARNITA

DI BASILICO’.

Insonnia

30 venerdì Apr 2021

Posted by paolina campo in poesia, Salina, tramonto

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decennio avvicinamento delle culture, fantasia

Molto grata a Luisa Zambrotta che mi ha invitata su Facebook a partecipare al DECENNIO DI AVVICINAMENTO DELLE CULTURE-Esposizione internazionale virtuale. Pubblicherò dieci poesie, una al giorno, per dieci giorni.

3° giorno

INSONNIA

Una bella gallinella

uscì presto quella mattina.

Era stanca e avvilita

di restare chiusa in gabbia

mentre tutte le sorelle

intonavano le note

di un torpore assai profondo.

Che nottata era trascorsa!

A lei il sonno

non la prendeva,

e restò tutta la notte

aggrappata ad un pensiero.

Solo la luna, bella e bianca,

ascoltava i suoi silenzi.

Che stranezze per una dolce gallinella!

Che trovasse un bel galletto

e covasse le sue uova

piuttosto che pensare

al mare

al vento

e

ai concerti.

Volle andare quella mattina,

e sul bordo di una falesia,

vide il sole salutare

l’impossibile suo amore

che pian piano

scivolava aldilà dell’orizzonte;

ascoltò le melodie delle onde spumeggianti,

che ora piano e poi più forte,

si allungavano sul lido

mentre il vento di lì passava

e con garbo la livrea le accarezzava.

Le fu appresso una stellina

che nella notte s’era persa,

ed insieme viaggiarono

per il cielo decorato

da quel sole che nasceva.

Infatato

06 martedì Apr 2021

Posted by paolina campo in mare, silenzio, Salina

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azienda caravaglio, magia, uva, vino, vino infatato

Salina

Quel giorno, sì, quel giorno era uguale a tanti altri. Il sole sorgeva e poi tramontava; la gente si incontrava e si salutava. All’improvviso tutto sembrò fermarsi, anche il vento smise di soffiare. Un giovane uomo era arrivato su un’isola magica, attraversata da mille colori, da forti profumi, da attraenti malie. Rimaneva spesso incantato guardando un tramonto, osservando il mare in tempesta, ascoltando le storie dei pescatori. Faceva lunghe passeggiate, attraversava i boschi, i campi, gli scogli, e camminava scalzo sulla battigia. Una volta era arrivato in una vallata che scendeva fino al mare come una lunga gonna con grandi ed eleganti pieghe: verdi, rosse, gialle, dorate come i pampini di viti di cui era vestita. Era la gonna di una fata bellissima che, con un gesto elegante delle mani, chiamava il vento perché soffiasse lungo le pieghe e ne pulisse ogni angolo. Quelle mani sottili e leggere, dirigevano l’orchestra di refoli carichi di pollini che, come note di una sinfonia armonica e dolce, si posavano sugli acini dorati diffondendo una musica leggera e ammaliante, mischiando colori, aromi, profumi. Il giovane uomo seguì il soffio del vento, attraversò la valle e scese giù, fino alla riva del mare. Non si accorse. No, non si accorse. O forse la fata lo avvolse tra le pieghe della sua gonna. Chissà come fu.  Ma certo un’onda lo prese e lo portò lì dove la fata affondava i suoi piedi. Il mare era calmo e il vento soffiava leggero. Chissà come fu, ma da quell’anno la valle produsse uva abbondante e mosto odoroso, fruttato, infatato, con l’incantesimo della fata dentro, arricchito di sole e di mare e della storia di un ragazzo che si era perso nella magia di un’isola bella.

Qualcuno, aldilà di quel mare, dormiva e nel sonno incontrava sé stessa mentre alzava lo sguardo alla luna e recitava orazioni. Si spargeva il corpo di oli stregati e poi volava lontano tra valli fatate. La notte, il silenzio, la luna: compagni di un dolore che si faceva dolce via via che il sogno dipanava le sue fila, creava immagini, raccontava storie. Tra i sentieri di quella malia che l’aveva incantata e trasportata in un mondo abitato da fate e fattucchiere, aveva saputo, aveva imparato a trasformare il suo pianto in linfa vitale per potere incontrare chi non avrebbe più visto camminare per strada. Certe notti entrava in un sogno e si vedeva trasportata sull’isola dove il suo amato viveva insieme a una fata. Sedevano sul bordo di un’alta falesia battuta dalle onde, abitata da falchi e caprette selvatiche. Aspettavano l’alba pescando parole che nuotavano libere sulla superficie del mare, per descrivere un mondo odoroso e vivo nei sogni in chi crede alle fate.

Lo ciel, che sol di lui prima s’accende

25 giovedì Mar 2021

Posted by paolina campo in Salina, tramonto

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Dante, Paradiso, Salina, tramonto

Scalo Galera, Malfa-Salina

Quando colui che tutto ‘l mondo alluma

Dell’ emisfero nostro sì discende,

Che ‘l giorno d’ogni parte si consuma,

Lo ciel, che sol di lui prima s’accende,

Subitamente si rifà parvente

Per molte luci, in che una risplende;

E questo atto del ciel mi venne a mente,

Come ‘l segno del mondo e de’ suoi duci

Nel benedetto rostro fu tacente;

Però che tutte quelle vive luci,

Vie più cucendo, cominciarono canti

Da mia memoria labili e caduci.

Dante, Divina Commedia, Paradiso, XX 1-12

Avere la serpe in seno

24 mercoledì Mar 2021

Posted by paolina campo in Salina, Senza categoria

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Esopo, favola, gratitudine, vergogna

Di cosa proverei vergogna? Non certo di mostrarmi per quella che sono, di dire quello che penso. Non certo dei miei sentimenti, delle mie emozioni, delle mie paure; di sentirmi fragile come una foglia d’autunno; di vagare con la mente come nuvola leggera in un cielo azzurro come il mare. No, non saranno le mie debolezze a farmi provare vergogna, non sarà il mio cuore piccolo eppure così pieno di tutto quello che di bello riesco a cogliere attorno a me.

Sicuro proverei vergogna nell’arrecare danno a qualcuno.

Proverei vergogna a vedere negli occhi di un uomo, di una donna, di un cane, un gatto, un uccellino, un disagio che volontariamente vorrei procurargli e per fare questo cercare complici per sopraffarlo.

Proverei vergogna nel provare soddisfazione, godimento nella sottomissione di qualcuno e chiamare giustizia tale sottomissione.

Proverei vergogna a coltivare un tormento senza fine, una malattia e una pena continua quale può essere l’invidia.

Proverei vergogna a non sentirmi grata di quello che ho ricevuto, anche se si dovesse trattare di uno sguardo di tenerezza lanciatomi una volta nella vita come una carezza, un raggio di sole, unico e solo in una giornata di pioggia e per questo ancora più prezioso.

Proverei vergogna a comportarmi come quella serpe raccolta da un vecchio contadino in un campo aggredito da una brutta giornata d’ inverno. Aveva avuto pena per lei vedendola intirizzita dal freddo e se la mise al calduccio sul seno. Quella si riscaldò e, riprendendo le sue forze, ferì il benefattore e lo uccise.

La serpe non aveva provato vergogna per la sua ingratitudine. Quello che era cortesia lo aveva trasformato in pretesa e poi in diritto. Anche di uccidere.

Messaggi, rinascita

17 mercoledì Mar 2021

Posted by paolina campo in Eolie, libri, Salina

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Baudelaire, I fiori del male, primavera, Salina

La Natura è un tempio dove colonne vive

lasciano a volte uscire confuse parole;

l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli

che l’osservano con sguardi familiari.

Charles Baudelaire, I FIORI DEL MALE.

Monte Porri

14 domenica Mar 2021

Posted by paolina campo in Eolie, Salina

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Esodo, Monte Porri, Salina

Monte Porri, vulcano estinto dell’isola di Salina. Si trova nella parte occidentale dell’isola ed è alto 860 metri. Il suo è un nome botanico, deriva dalla pianta del porro che rigoglioso cresce in maniera spontanea lungo le sue pendici. Prima era denominato Monte della Vergine, per il culto profondamente sentito dagli abitanti verso la Madonna, a cui è stato dedicato un Santuario nella vallata che unisce il monte al suo gemello più alto, il Monte Fossa delle Felci.

Prima che arrivi la sera, una nube avvolge la cima del monte, tingendosi man mano di rosso e il divino torna a farsi presente. Ogni sera.

Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte.

Esodo, 13,21

Un angolo di mondo

24 domenica Gen 2021

Posted by paolina campo in Eolie, Salina

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L'uomo di scalo Galera, pubblicazione 2012

sca
Scalo Galera-Malfa-Salina-Isole Eolie

In un angolo di mondo dove il cielo ed il mare si tenevano per mano, ogni cosa, ogni ricordo sembrava incastonato in un azzurro dalle mille sfumature.

Ogni cosa, ogni ricordo si vestiva di grandi emozioni, fluttuanti tra le onde di un mare che sembrava trattenuto dall’orizzonte.

Il cielo apriva il libro della vita di un’isola dove storie di contadini si intrecciavano a storie di sacerdoti dal cuore umile. Vicende di navigatori temerari sfociavano in opere che coinvolgevano le comunità paesane.

Storie di uomini che avevano amato quel cielo, quel mare. Storie di gente che aveva provato il dolore di un destino che li aveva portati via da quell’aria che profumava di verde e di azzurro.

C’era spesso una nuvola sull’isola di Salina: sembrava la dimora di un angelo che conosceva profondamente l’anima dell’isola.

E quando veniva la sera, qualcuno si attardava sul molo.                              

Un uomo immobile contemplava dal porto il suo mare, su cui lentamente si spegnevano le luci raggianti del cielo.

Con una mano sorreggeva il suo viso segnato da rughe profonde.

Che pensava? Che diceva in silenzio?

Aspettava che arrivasse la sera che lenta si stendeva come un velo leggero sull’anima forte del mare. Il suo sguardo si perdeva lontano negli abissi più profondi. In silenzio discuteva col mondo. Immaginava che dietro l’orizzonte, insieme al sole, fossero scivolate le storie perdute nel silenzio di un tempo che solo il ricordo poteva far sorgere ancora.

Improvvisamente, figure leggere si muovevano lente al confine tra il cielo ed il mare: raccontavano tutta una vita, scritta lungo quel filo sottile dove il sole voleva sparire.

E in religioso silenzio, quell’uomo, dal molo, continuava a dialogare col mondo.

Un buio luminoso

23 sabato Gen 2021

Posted by paolina campo in libri, Salina

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A FINE GIORNATA, Malfa, pubblicazione 2015, Salina

A fine giornata, ci si sedeva tutti su poltrone reclinabili disposte in fila sul terrazzo, a guardare il cielo. Si spegnevano le luci a neon che illuminavano anche il giardino antistante e in silenzio si osservavano le stelle. In silenzio. Fino a quando, spinti forse dalla necessità di ascoltarsi, cominciavamo a leggere ad alta voce quel cielo stellato, indicando  l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, puntando lo sguardo sui disegni che si potevano tracciare, trasformando l’indice della mano in una matita allungabile fino a toccare quelle stelle come se fossero punti su un foglio da disegno. Poi, di nuovo in silenzio, ognuno  seguiva con la mente una strada attraverso quel cielo. Una strada lunga, larga, di dimensioni infinite che raccoglieva i ricordi, le speranze e li portava lontano, mentre ci sentivamo osservati, e forse anche protetti, da quella casa enorme alle nostre spalle che, come una grande nave ci aveva accompagnati nell’avventura su un’isola che ci regalava ogni sera quel cielo stellato e dove ognuno cercava una strada che conservava nel cuore e nella mente, larga duecento chilometri e anche di più. Non so gli altri: il silenzio garantiva ad ognuno la segretezza intima e speciale di un incontro che poteva essere fatto solo con sé stessi, per correre su binari predefiniti, individuali, particolari. Ognuno viaggiava sul suo treno, come se non si dovesse più tornare indietro. Eppure, la casa-nave ci guardava, e sapeva che anche in quella corsa ci sarebbe stato un momento in cui i binari avrebbero invertito la marcia e ci avrebbero riportato, in un modo o in un altro,  lì da dove eravamo partiti. Io mi sentivo catturata da un particolare bagliore che tracciava una strada che pulsava di vita, di vite che andavano e tornavano come in quei disegni dove cascate, nastri, figure iniziavano il loro cammino e poi tornavano irrimediabilmente al loro punto di partenza. I miei ricordi cominciarono a dilatarsi, a intrecciarsi a storie di un tempo che scoprii essere immenso. Fu così che, nell’evanescenza di un mondo pulsante di luce, mi trovai tra i fantasmi della memoria, desiderando sempre più di perdermi tra le pieghe di quel buio luminoso dove potevo incontrare stelle che, dopo avere percorso la lunga strada della loro evoluzione, erano destinate a pulsare e brillare per sempre.

Ho sentito parlare di una malattia che spegne i ricordi nella mente di chi viene colpito da un morbo inesorabile che colpisce i neuroni del cervello e, come colui che ha deciso di percorrere un lungo corridoio per l’ultima volta, spegne man mano le luci delle stanze che a esso  accedono, ne chiude le porte e alla fine disattiva l’interruttore generale e va via, si dilegua. Per sempre. Ma le cose? Le cose possono soffrire di quella malattia? Possono essere attaccate dal tarlo di un tempo che non le riconosce più, che non le fanno più parlare? Arrivava dal mare una fata che lanciò una maledizione: tutte le luci che illuminavano quei ricordi si sarebbero spente per sempre e sarebbero state avvolte da un sonno perenne.

Era ormai passato tanto tempo da quando scrutavo il cielo su una di quelle poltrone sul terrazzo. Ma era come non fosse passato neanche un attimo da quando quella casa-nave mi afferrò e rimasi prigioniera di un sogno che voleva splendere e pulsare all’infinito. Ero tornata da sola in quella casa che ormai sembrava colpita da quella strana malattia e qua e là erano visibili zone di abbandono, di degenerazione: il tetto perdeva l’intonaco, la muffa si impadroniva di muri e il pavimento era roso dall’incuria. Andai a letto presto e scelsi di dormire su un vecchio letto in ferro nero, con fregi dipinti su entrambe le testate su cui tentavano di brillare dei frammenti di madreperla. I dipinti raffiguravano dei paesaggi notturni lontani, quasi irreali: un castello, un albero dalla chioma ben definita, sembrava pettinata, una riva calma, più da lago che da mare. Scelsi di dormire lì, su quel letto alto, quasi presuntuoso che odorava di antica stima, di passate amicizie coltivate all’interno di un progetto di lavoro che richiedeva tenacia, entusiasmo, passione.

Quella notte ebbi paura dei fantasmi che avrebbero potuto ostacolare il mio sonno e che invece io disturbavo, cercandoli per mischiarmi a loro, alle loro storie. Eppure mi addormentai e mi trovai altrove.

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