Fa freddo e il letto è un nido da dove è difficile uscire. Lucia ha un appuntamento con Roberto per andare insieme al mare a studiare le onde. Hanno la stessa magia delle lucine che a Natale si agitano dietro le finestre delle case. Ma piove tanto e non è proprio il caso di andare in giro. Il sole sembra avere tante difficoltà a farsi largo tra i nuvoloni neri che da qualche giorno insistono nel cielo, e dalle fessure delle imposte appena socchiuse entra poca luce. La stanza è in penombra e i pensieri scivolano come cera sui mobili antichi che fanno compagnia a Lucia. Vive da sola da qualche tempo, dedicandosi alla cura di quella casa dove le mura e gli oggetti trasudano di antico amore. Pensa che c’è da passare l’antiruggine su una vecchia cucina a tre fuochi e sullo sportello di una cisterna che raccoglie acqua piovana da un secolo ormai; poi bisogna mettere un poco di ordine nella stanza dei colori. È qui che Lucia tiene pennelli, tele, tubetti di colori sparsi per tutto lo spazio che ha a disposizione, perché tutto le sia sempre a portata di mano. Sente l’orologio della chiesa battere già le nove del mattino: di certo Roberto non verrà, meglio riavvolgersi nelle coperte. Si addormenta, e sogna.
Si vede seduta su uno scoglio emerso da una spiaggia nera dove, qua e là, appaiono cespugli verdi che abbracciano piccoli fiori gialli. Non c’è nessuno sulla battigia e il mare sembra irrequieto. Sente quell’ irrequietezza scivolarle addosso e anche il suo animo si agita. Cosa turba il mare? E quelle onde, quali risposte cercano tra il fragore dell’acqua mossa dalle correnti? Si vede rapita da un’onda e, avvolta dall’acqua, sente di essere trasportata lontano. Lucia si sveglia, madida di sudore mentre lo scroscio della pioggia battente arriva nitido nella stanza, sbattendo forte sui vetri delle finestre, confondendosi con il rumore insistente di qualcuno che bussa alla porta. Decide di alzarsi. Allunga un braccio per prendere un plaid che tiene sempre ai piedi del letto e se lo mette sulle spalle. Indossa occhiali e ciabatte e va ad aprire.
– Roberto, ma che ci fai qui? Entra.
– Voglio andare al molo, Lucia. Ora.
– Piove, fa freddo. Vieni, intanto siediti qui.
Sistema una sedia davanti una stufetta elettrica che accende perché il suo amichetto si riscaldi. Roberto ha dieci anni, un sorriso dolce e due occhi grandi.
Lucia apre le imposte delle finestre e va in cucina a preparare una bevanda calda.
– Tieni, bevi. Lo guarda, vuole tanto bene a quel bambino. Lo guarda con più attenzione..
-Ma cosa è successo?
Roberto ha un brutto livido sul collo e dietro l’orecchio.
– Chi è stato? Tuo padre? Ha bevuto di nuovo, vero?
Roberto china la testa, prova vergogna del male subito.
– Non è cattivo, mi legge le favole quando non è ubriaco.
Lucia lo abbraccia. Il bambino inizia a piangere e poi afferra la tazza di cioccolata calda e la beve, piano piano. È dolce, sa di cose buone, di affetto. Sta bene con Lucia; i suoi coetanei spesso lo deridono, lo chiamano “il figlio dell’ubriacone” e lui fugge via quando li incontra per strada. Lucia capisce il dolore di Roberto, conosce il bruciore che certe ferite lasciano per sempre. I loro occhi si parlano, si confortano.
– Ascolta, perché invece non mi aiuti a sistemare i colori nelle lattine? Poi potremmo dipingere insieme. C’ è quella pietra che devi finire di colorare. Se vuoi puoi usare i miei pennelli, so che ti piacciono tanto. Io devo completare un quadro che mi ha commissionato quel tale di cui non ricordo neanche il nome. Sai che ho l’ impressione che sia innamorato di me?
Roberto continua a tenere la testa bassa. È avvolto da una tristezza tale che sembra sordo a ogni sollecitazione.
-Ho capito, non ti va di dipingere. Andiamo al mare, allora?
Roberto fa cenno di sì con la testa.
– Dammi il tempo di vestirmi. Intanto ti racconto una cosa: sapevi che il mare si allunga sulla battigia per
portare tante cose belle, le conchiglie ad esempio, e poi si ritira per trascinare le cose cattive che trova
sulla riva? È una storia che mi raccontava sempre mio padre quando mi portava ad ascoltare lo sciabordio delle onde.
-Pronta! Andiamo a studiare le nostre onde.
Agitando le dita della mano come una fata pronta a mettere in atto una magia, si avvicina a Roberto che sorride e si appresta a indossare giubbotto e un cappello di lana della sua amica magica. Prendono un ombrello e, mano nella mano, percorrono una stradina e poi scendono giù per una scala che sembra calare a picco sul mare.
-Guarda quella, farà una bella schiuma appena arriva.
Il fragore dei ciottoli accompagna il susseguirsi delle onde e l’entusiasmo di osservarle, mentre le tensioni si sciolgono e tutto sembra bellissimo.
-Guarda quella…
Il tempo di vederla arrivare e poi il buio.
Quella sera Roberto non torna a casa e in paese iniziano le ricerche. Qualcuno ha visto il bambino scendere al molo con Lucia, la pittrice. Tutti sapevano della passione che quei due avevano per le onde, ma oggi non si doveva andare.
Trascorrono due giorni prima che si possano continuare le ricerche in mare. Su una delle barche sale anche il padre di Roberto. Bianco in viso, non dice una parola. Le ricerche vanno avanti per ore, invano. Quando arriva la sera, si torna a riva. Dalla barca scende un uomo che chiede di essere lasciato solo. Si siede su una bitta e con lo sguardo abbraccia il mare e promette. Promette di non bere più e di scendere ogni sera al molo per leggere una favola al suo bimbo che da qualche parte, laggiù in fondo al mare, dorme, cullato dalle onde.
È una mattina strana. Dalle fessure delle finestre appena socchiuse non arriva tanta luce. Fuori il sole ha di certo difficoltà a farsi spazio tra i nuvoloni scuri che già dal giorno prima, avevano preso possesso della porzione di cielo che sovrasta il paese. Fa freddo e il letto è un nido caldo da dove è difficile uscire. Eppure gli uccellini sono già in giro da un pezzo. Li sente scambiarsi cinguettii, incuranti della brutta piega che sta per prendere la giornata. Lucia non ha voglia di dare inizio alla sua di giornata. Richiude gli occhi e si riaddormenta. Si vede seduta su uno scoglio emerso da una spiaggia nera dove, qua e là, appaiono cespugli verdi che abbracciano piccoli fiori gialli. Non c’è nessuno su quella battigia, fa freddo e il mare sembra irrequieto. Cosa lo turba? Sente quell’irrequietezza scivolarle dentro e il suo animo inizia ad agitarsi. Quante cose ha da chiedere al mondo! E quelle onde, quante risposte cercano tra il fragore dell’acqua mossa dalle correnti! Si vede travolta da una di esse. Si vede avvolta dall’acqua che la trasporta lontano. Ha paura. Si sveglia madida di sudore. Fuori ha iniziato a piovere e lo scroscio della pioggia battente arriva nitido nella stanza dove il sole, quel giorno, non sarebbe entrato. Ognuno ha il suo destino, dicevano gli anziani seduti attorno alla conca. Non capiva di cosa parlavano mentre il fuoco del braciere ardeva di calore e memoria. Andava spesso a trovare i parenti di papà. Loro vivevano in case dai tetti spioventi per fare scivolare la neve che in inverno cadeva lenta e copriva tutto, tranne l’odore del pane di casa che si diffondeva forte e invitante tra le stradine dell’antico borgo incastonato tra i monti delle Madonie. Di quegli anziani non c’è più traccia, se non nella mente di chi ancora li ricorda.
Darwin, nella sua teoria dell’evoluzione della specie, affermava che non sopravvive il più forte o il più intelligente. A sopravvivere è chi sa accettare e muoversi all’interno del cambiamento. Che esso sia climatico, familiare, psicologico, è indispensabile essere sempre bene equipaggiati e assolutamente capaci di trovare le strategie giuste.
In una prateria di verde e ondeggiante posidonia, s’era rifugiato un battito di cuore. Era fuggito da una terra di frastuoni, dove era diventato difficile ascoltare e farsi ascoltare, dove non esisteva più il silenzio per riflettere e, in un affollamento di parole e discussioni senza possibilità di soluzioni, era impossibile adattarsi perché ogni cosa si era avvolta da un cupo senso di solitudine e annientamento.
Tum, tum tum… Nel silenzio del fondo del mare, il suo procedere era nitido e bello, accompagnato dalla danza dei pesci, seguito dall’ondeggiare delle foglie verdi, accarezzato dallo sciabordio delle onde. Era quello il suo mondo, ne era certo. Ogni cosa nel mondo deve avere un posto tranquillo dove stare, e lì, in fondo al mare, c’era tanta armonia.
Arrivò un giorno una corrente furiosa che scosse le acque e agitò i pesci. Posidonia raccolse tutte le foglie e si avvolse attorno a battito di cuore che aumentò la sua frequenza, lanciando un allarme a tutti i pesci. Gli abitanti del mare seguirono il tum tum diffuso dalle particelle liquide e si raccolsero presto dentro il rifugio di posidonia. Così, la corrente non trovò più nessuno a cui potesse fare del male e scivolò via, catturata da un vento lontano. Posidonia, allora, sciolse le sue foglie che tornarono a ondeggiare e i pesci iniziarono a danzare.
C’era stato un turbinio delle acque. Ora, era tutto passato. Ogni cosa nel mondo deve avere la forza di accettare i tumulti di eventi inaspettati, sopportare la fatica di sbalzi improvvisi, superare i sussulti di scossoni pesanti. In silenzio, insieme.
Battito di cuore era stato il vero cambiamento, costante nel tempo, di quel tratto di mare. Tum tum tum: come un’eco si diffuse fino a lambire la superficie e più in là, fino alla costa, ricevendo vigore dai raggi del sole e dal chiarore lunare che spesso l’andavano a trovare.
Era arrivato il giorno che la piccola Nereide doveva tornare a riva da sola, viaggiando sulla sua barchetta svuotata di tutti i sogni in cui aveva creduto.
Mai avrebbe pensato che sarebbe stato così difficile, alla fine di tutto, chiedere un sostegno, un ascolto sincero.
Mai avrebbe pensato che la sua voce potesse essere stata messa a tacere da chi era riuscito a distruggere la serenità di tutti, specialmente la sua.
Certo, le azioni buone che si fanno, vengono appese su una parete nascosta dell’anima e mai esibite per pretendere qualcosa.
Ma, si chiedeva, da quando, ciò che si era ritenuto fosse frutto di una disponibilità incondizionata, non era bastato e non era servito a nulla? Quando la stanchezza, il desiderio di gratitudine, il desiderio di volere qualcosa per sé, erano stati oscurati da chi per anni non aveva ascoltato la difficoltà di esserci sempre?
Qualcosa non aveva funzionato nell’ ingranaggio dei rapporti tra essere e non essere, chiedere e avere, soddisfazioni e fallimenti. Qualcosa le era sfuggito e troppe cose avevano preso sentieri oscuri, misteriosi.
Con questi pensieri pesanti sul cuore, aveva spinto a secco la sua barca e si era ritirata in un angolo di spiaggia, rimanendo ad aspettare che il sonno la prendesse con sé, rapisse l’ ombra che le annebbiava la mente.
Si era poi addormentata. Un’onda l’ accarezzava, bagnandola teneramente e facendole compagnia per tutta la notte. La schiuma salmastra andava e tornava come un petalo leggero cullato dal mare, intonando una dolce canzone.
Nelle acque tranquille del mar Tirreno, vivevano tanti pesci: chi andava su, chi andava giù; chi nuotava a destra e chi a sinistra. Avevano tutti un gran da fare tutto il giorno, ma poi, alla sera, tutti tornavano al luogo da dove erano partiti: un’immensa grotta in fondo al mare dove, appoggiato a una parete, si trovava un grande libro con enormi fogli bianchi. I pesci, al ritorno dai loro viaggi, scrivevano, sulle pagine del volume sottomarino, le storie che avevano ascoltato dalle conchiglie che si muovevano lente sugli scogli. Una volta al mese, la fata degli abissi radunava tutti i pesci e chiedeva a uno di loro di leggere ciò che aveva scritto. Mupe, scorfanelle, polpi, lampughe e cernie accorrevano lieti per partecipare al grande evento. Quando tutti avevano preso posto, da un angolo della caverna partivano tante bollicine per avvolgere e accompagnare il prescelto al centro della grotta. Le storie erano tutte interessanti, alcune commoventi, altre allegre. Quelle lette dai polpi erano a dir poco stravaganti e a volte complicate. Una volta un polpo, che tempo per raccontare ne aveva ormai poco, iniziò a leggere la storia della sua breve vita come fosse un’apertura e chiusura di parentesi tonde, quadre e graffe.
Risolte le operazioni in parentesi tonda riguardante la sua infanzia, era poi passato al calcolo della sua giovinezza in parentesi quadra. Infanzia più giovinezza uguale età adulta che, in parentesi graffa, si andava a moltiplicare con il valore della compagna della sua vita e il risultato era un numero elevato al quadrato di piccoli polipetti. Così concludeva la sua dissertazione e tutti applaudivano con soddisfazione.
Ma la storia più tenera che s’era sentita era quella di uno scorfanello che si era innamorato di una rondinella. Una volta, al tramonto, era salito in superficie, e la vide volare allegra insieme alle sue compagne. D’un tratto i loro sguardi si incontrarono ed entrambi si fermarono, assaporando quell’attimo di tenerezza. Tramonto dopo tramonto, attesero di guardarsi, alimentando il loro amore fino a quando il vento portò via per sempre la rondinella. Da allora lo scorfanello soffrì di una tristezza sorridente che lo accompagnò per tutta la vita. Era triste ma sorrideva quando, chiudendo gli occhi, aveva l’impressione di vederla. Applausi.
C’era una volta una vecchina che viveva in una grande casa situata tra la roccia vulcanica di un antico monte e il mare; una casa dove non aveva nessun senso parlare di misura perché tutto era dilatato. Solo una cameretta aveva un solaio in legno. Qui la vecchina custodiva gli utensili e trovava riparo quando fuori imperversava il vento, la pioggia e il freddo della notte. Chiudeva quindi l’antica porta in legno, dipinta in azzurro come il mare a cui si rivolgeva, e se ne stava tranquilla a preparare minestre e marmellate. Il resto della casa aveva come tetto il cielo e come pareti alberi, arbusti e ginestre odorose. Era proprio in questa parte più grande della casa che Asteria trascorreva la maggior parte della sua vita. Di giorno ospitava le caprette bianche della luna che pascolavano libere nel versante più a nord dell’isola. Di notte si distendeva ai piedi di un grande albero di ulivo a osservare le stelle. Da tempo ormai viveva su quell’ isola dove nulla le era mai mancato. Un giorno, vecchia e stanca, decise di fare testamento.
Presto tornerò ad abitare tra le stelle, mie sorelle. Lascio la mia grande casa a tutti quelli che, con rispetto, vorranno assaporare la gioia di immergersi nei colori di questa meravigliosa parte della Terra. Mai dovrà essere chiusa la cameretta, è antica e obbedisce al vecchio rito dell’ospitalità. Non sperperate ciò che vi è stato offerto, ma donate con amore quel che più vi aggrada. Una cosa ancora chiedo: non dimenticate mai di chiudere bene sempre la pompa che tira su l’acqua del pozzo, le api sono solite trovare lì un rifugio e non sanno che potrebbero annegare.
Ripose quindi il foglio su una pietra vicino la casetta e, quando arrivò la notte, attese una capretta che l’accompagnò in cielo.
*Asteria era, nella mitologia greca, una dea delle stelle. Per sfuggire a Zeus, Asteria si trasformò in quaglia. Precipitò però in mare e fu trasformata dallo stesso Zeus in un’isola vagante sulle onde.