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Come un ciottolo lanciato in mare, così il villaggio di Unal e Elos si sviluppa in uno spazio assolato di una foresta pluviale dell’Indonesia: dal centro, la struttura si dispone su cerchi concentrici, via via sempre più grandi e sempre più evanescenti.

Cresciuti in quell’arco di circonferenza dove le loro madri condividono alcuni spazi per cuocere le pietanze o per lavare i panni della famiglia, Unal e Elos hanno trascorso sempre tanto tempo insieme, arrampicandosi sugli alberi e saltando da un ramo a un altro rincorrendo gli uccelli in volo. Anche oggi sono andati in giro per la foresta e hanno incontrato un bucero, un grosso uccello dal lungo becco adunco e colorato. Sono forti, coraggiosi e hanno il sole negli occhi. Questa è l’ultima esperienza condivisa, l’ultima avventura che si possono  concedere.

La tribù a cui appartengono ha delle regole rigide, dei ruoli da rispettare. Per i due ragazzi è arrivato il momento di separarsi. Lei è una femmina, rimarrà a vivere tra le capanne della periferia e non potrà avere mai accesso allo spazio riservato agli uomini. Lui è un maschio e deve imparare a cacciare, a costruire arnesi e manipolare oggetti sacri.

É sera e il sole saluta il giorno, mentre la luna sorge per custodire i sogni degli abitanti del villaggio.

Appena il sole sorgerà di nuovo, Elos sarà accompagnato da suo padre alla casa degli uomini. È la legge del villaggio.

La casa degli uomini si trova al centro del grande spazio circondato da alberi altissimi, diviso ad anelli concentrici proprio a partire da quel nucleo dove vivono i celibi e che diventa, occasionalmente, punto di ritrovo per gli uomini sposati.

Le donne non hanno accesso a questa sorta di ombelico del mondo e Unal lo sa. Sa che il suo destino è quello di vivere in una capanna alla periferia del villaggio insieme alle altre donne. Sa che dovrà occuparsi delle faccende domestiche e dei figli la cui sorte sarà gestita dagli uomini.

Sa che le è vietato oltrepassare il cerchio di cespugli che chiudono l’ampio spazio attorno alla casa degli uomini.

Elos, prima di salutarla, le racconta che in suo onore gli uomini hanno organizzato riti propiziatori e danze da eseguire nell’ anello di terra oltre i cespugli.

É sera. E poi mattina. Elos va via. Sembra che il ciclo del giorno e della notte si sia invertito. Il suo sole è scomparso dietro quel muro verde inavvicinabile, pena la morte.

É di nuovo sera. Le voci degli uomini che danzano, mentre esibiscono i loro arnesi sacri, arrivano chiare alla periferia, all’ultimo anello del villaggio.

Unal fugge dalla capanna, raggiunge la foresta e si arrampica su un albero altissimo. É forte, coraggiosa. É femmina. Conquista una posizione, da cui può osservare tutto il villaggio.

Sorge tra i rami e, in silenzio, osserva il suo sole ormai irraggiungibile.

Ci troviamo di fronte a una struttura concentrica, di cui il pensiero indigeno è pienamente consapevole: in essa il rapporto tra centro e periferia esprime due opposizioni quella tra maschio e femmina e quella tra sacro e profano.

Claude Lévi-Strass, Antropologia Strutturale