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Tante immagini scorrono davanti agli occhi attenti di un fruitore della festa che  incendia i cuori dei catanesi nei giorni dedicati alla Santuzza, prime fra tutte quelle offerte dalle candelore o cerei di Sant’Agata. Alte e grosse costruzioni in legno riccamente decorate e scolpite con immagini che ricordano la vita e il martirio della santa, arrivano a pesare dai quattrocento ai novecento chili. Fino al secolo scorso, le candelore uscivano in processione a partire dal due febbraio, giorno appunto della festa della Candelora che ricorda la Luce del mondo che squarcia le tenebre della notte, ovviamente con tutta la simbologia cristiana ad essa legata.

A seconda del peso, vengono portate a spalla da quattro a dodici uomini attraverso le vie più popolari della città di Catania con al seguito una banda di trombe, tromboni e tamburi che inneggiano alla festa, al divertimento, alla spensieratezza. Le candelore fremono per uscire dalle chiese dove sono custodite tutto l’anno, così, dall’ultima settimana di gennaio, sfilano, s’annacanu, ballano, e fanno tanto rumore per annunciare la festa, per aprire un varco all’allegria, in una sorta di travaglio gioioso che attende di partorire il tributo maestoso alla giovinetta martire che ha dato a Catania la forza di amarla e venerarla nei secoli. Ogni candelora è legata a una corporazione di arti e mestieri, tranne quella voluta dal vescovo Ventimiglia dopo l’eruzione lavica del 1776, e quella del Circolo Cittadino di Sant’Agata fondato dal Beato Cardinale Dusmet.  Queste due sono più piccole delle altre undici. Durante le processioni del quattro e cinque febbraio, quando fervono i festeggiamenti, la prima a sfilare è quella del vescovo. Seguono quella dei Rinoti, donata agli inizi dell’ottocento dai cittadini del quartiere di San Giuseppe la Rena; quella degli Ortofrutticoli; dei Pescivendoli; dei Fruttivendoli; dei Macellai; dei Pastai; dei Pizzicagnoli; dei Panettieri. Negli anni se ne sono aggiunte altre, sempre molto colorate e pesanti. A chiudere la processione è sempre la candelora del Circolo Cittadino di Sant’Agata. Nei giorni in cui il fercolo di Sant’Agata attraversa la città in un giro esterno e uno interno, perché tutti i cittadini incontrino la loro Santa, le candelore abbandonano il loro carattere folcloristico e pagano che li aveva caratterizzati nei giorni precedenti, per assumere un atteggiamento devoto accompagnato da preghiere e inni, canti e donazione di ceri accesi: più grosso è il cero, più grande è la grazia che viene chiesta.  

            La sera del tre febbraio è la sera dei fuochi più importanti dedicati alla Santa patrona. Seduta nell’atrio del Palazzo Comunale, aspettavo insieme a tantissima altra gente che fosse dato il segnale d’inizio dei fuochi d’artificio. Tra la folla si fece spazio una candelora alta più di un metro, costruita con due scatole di cartone tenute insieme da un bel po’ di nastro adesivo. Legata a due bastoni di legno, era portata in giro da un bambino e il suo papà: il piccolo avanzava serio con la tradizione stampata sul viso, sculettando a destra e a sinistra, seguendo il ritmo di una musica che sentiva solo lui, simulando l’annacata tipica di una candelora che si rispetti. Fece il giro dell’atrio, seguito diligentemente dal padre che assecondava l’innato spirito devoto del figlio, e poi scomparì tra la folla.

            Nota tenera di una festa ricca di sorprese.

Ricordo che in quei giorni di festa ero molto preoccupata. Il mio tempo interiore, la mia goccia di vita si era trasformata in un mare in tempesta. I festeggiamenti in onore di Sant’Agata erano già iniziati: botti, luci e suoni festosi si sentivano da ogni parte della città. Una candelora arrivò nella piazza della chiesa del quartiere dove abitavo e, non avendo ancora avuto la possibilità di vederne una da vicino, decisi di andare con le mie bambine. Con il cuore gonfio di speranza nella preghiera, mi avvicinai a quella torre colorata ricca di fiori, per cercare un conforto. Degli uomini muscolosi iniziarono a far dondolare la candelora al ritmo di note, a volte strampalate, intonate da trombe e tromboni che suonavano musiche e canzoni popolari. Mi sembrava tutto molto buffo, credevo di trovare un clima religioso, appassionato. Appassionato lo era ma nel senso ludico, folcloristico. Allora risi, e con le mie figlie partecipammo alla festa, battendo e le mani, ballando e cantando. La nostra gioia aveva comunque rasserenato il mio cuore.

Paolina Campo, Vi racconto una storia