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~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi Mensili: ottobre 2022

Cusciuta, cusciulera, cusciuliari

28 venerdì Ott 2022

Posted by paolina campo in pensieri

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Tag

ali ai piedi, arcobaleno, Iris, Omero, parole, vecchio post

Cusciuta, era cusciuta!

Cusciulera, vo diri?

Cusciuta o cusciulera, sempre a cusciuliari era!¹

Camminava, correva. Andava al mare e poi in montagna. Distribuiva sorrisi e afferrava esperienze. Tornava a casa quando era sazia di sguardi, di parole nuove da usare, di pensieri gioiosi da sognare. Cusciuta, era cusciuta. Sì, una volta. Le piaceva cusciuliari, imbarcarsi sulle sue cosce e andare in giro ad ascoltare voci che avevano sempre tanto da raccontare.

-Irù, portaci u pani o zu Vanni- e lei partiva e portava una pagnotta a un vecchio cieco che viveva in una stanza che si affacciava su una grande terrazza che dominava tutto il paese; che era attraversata sempre dall’odore del mare; che ascoltava la voce imponente del vento che arrivava alla pelle e alla mente di quel malandato vecchio che di nulla aveva bisogno, se non di un pezzo di pane e un bicchiere di vino, dove ammorbidire il profumo del grano, e sentire l’ odore che lo portava tra i filari delle viti con pampini enormi e le cantine odorose di mosto.

-Zu Vanni, qua c’è il pane.-

Lui sorrideva e Irù raccoglieva quel sorriso sdentato e se lo portava a cusciuliari. Poi tornava a casa e su dei fogli scriveva parole su parole, descrivendo storie e sensazioni, segnando ricordi e emozioni. Giorno dopo giorno.

Cusciuta, era cusciuta! Sì, una volta. Poi, chissà come fu, quei fogli si trasformarono in un corpo mostruoso che vegliava notte e giorno su di lei e tenevano la sua mente stretta dentro un guscio terribile come una caverna dove non c’erano sorrisi, ma sguardi arrabbiati; e non c’erano parole, ma grida intrecciate e confuse; e non c’erano strade dove andare a cusciuliari. Tutto era buio. In quel buio, arrivava di tanto in tanto un soffio di vento che le attraversava i piedi. E lei camminava. Con il vento ai piedi, arrivava lì dove erbe selvatiche crescevano libere al limitare di una falesia, facendo da cornice alla bellezza infinita del mare.

Succedeva allora che sentiva il cuore gonfiarsi di malinconia, di grande nostalgia per quel mare a cui desiderava consegnare la sua vita. Cosa ne era stato di quella vita? Cosa ne era stato di quel suo cusciuliare in lungo e in largo, credendo che era gioia per sé e per gli altri incontrarsi? In cosa aveva creduto se non esisteva più niente di quello di ciò che era stata e voleva essere?

Girò piano lo sguardo, come per vedere se il mare avesse qualcosa da dirle. Vide onde che guizzavano allegre e nuvole bianche che vagavano lente aspettando che il vento dirigesse sicuro la musica del mondo.

Girò ancora lo sguardo e vide un velo di pioggia bianchissima come neve che faceva da tenda a un variopinto arcobaleno, che emergeva da un cerchio salato per poi nascondersi dietro il sipario di acqua di cielo.

…e Ares le dette i cavalli dai frontali d’oro:

lei montò sopra il cocchio, disperata in cuor suo,

accanto le saliva Iris e prendeva in mano le briglie,

frustò alla corsa e quelli, non contro voglia, presero il volo.

Subito poi raggiunsero la sede degli dei, l’Olimpo scosceso;

qui fermò i cavalli Iris veloce, che ha nei piedi il vento,

li sciolse dal carro e a loro gettò foraggio immortale;

intanto la divina Afrodite s’abbandonava in grembo a Dione,

sua madre; e lei strinse tra le braccia la figlia sua,

l’accarezzò con la mano, articolò la voce e disse:

«Chi ti ha fatto una cosa così, figlia mia, tra i Celesti,

senza ragione, quasi avessi fatto del male sotto i suoi occhi?»

Le rispondeva allora Afrodite che ama il sorriso:

«Il figlio di Tideo m’ha ferito, il tracotante Diomede,

perché io il figlio mio volevo sottrarre alla guerra,

Enea, che fra tutti mi è di molto il più caro.

Ormai la battaglia crudele non è più tra Troiani ed Achei,

ma anche agli immortali adesso i Danai fanno la guerra»².

Iris, che ha nei piedi il vento, percorse tutti i colori dell’arcobaleno e sparì dietro la tenda di acqua di cielo dove le nuvole, cusciute, seguivano il vento.

 ¹Cusciuta, nel dialetto palermitano indica chi va spesso in giro per le strade. Cusciulera è il termine usato nell’agrigentino per dire la stessa cosa. Cusciuliari ne è il verbo.

² Omero, Iliade, libro V, 363-380

Giardino incantato

26 mercoledì Ott 2022

Posted by paolina campo in pensieri

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Tag

amore, impegno, solitudine, vita

Un contadino aveva lavorato tanto la sua terra: l’aveva curata, amata, seguendone ogni trasformazione. Ne assaporava l’odore quando la pioggia cadeva leggera, ne osservava il colore quando il sole l’attraversava. E soffriva quando non riusciva a darle la forza per generare frutti buoni.

Così è la nostra vita: l’amiamo, la sosteniamo, lavoriamo per dare frutti buoni, e soffriamo quando ci sentiamo incapaci di dare valore a quello che abbiamo.

Arrivò un giorno che il contadino si sentì inutile e solo: il suo giardino s’era inaridito, i frutti pendevano marci dall’albero e pensò che a nulla era valso il suo lavoro. Le sue forze si indebolirono, la sua mente iniziava a cancellare le storie e le competenze che aveva acquisito fino ad allora. Aveva bisogno di qualcosa. Aveva bisogno di un sorriso. Così, iniziò a cantare perché l’aria, gli uccelli, la terra, il sole, la luna lo ascoltassero:

Regalami un sorriso

mio giardino incantato,

consegnami i tuoi silenzi

più intimi e segreti,

da conservare in uno scrigno dorato.

Regalami un sorriso,

che mi abbracci

nei giorni che il mio silenzio

si farà più lungo,

nelle giornate che avranno

il colore grigio della tristezza.

Regalami un sorriso

mio giardino incantato,

perché possa ancora amarti

e desiderare.

Il cielo quella notte si riempì di stelle e, prima che sorgesse il sole, Aurora raccolse ogni nota, ogni parola della canzone del contadino e le seminò nel suo giardino. Dalla terra germogliarono delle piantine dalle foglie tenere e distese. Aurora tornò a est dove il sole attendeva di sorgere, mentre gli uccellini intonarono una canzone di saluto al nuovo giorno.

– Svegliati uomo laborioso e innamorato! Il tuo giardino incantato è pronto per regalarti ancora tanti sorrisi.

Così è la nostra vita: soffriamo, ci sentiamo perduti, delusi, sconfitti e poi deve succedere qualcosa per sentirsi ancora vivi.

Vespe, api e malvasia

25 martedì Ott 2022

Posted by paolina campo in Salina

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Tag

api, vecchio post, vendemmia, vespe

Se ami la terra, questa ti da soddisfazione

Così mi aveva detto una volta un contadino, mentre con orgoglio mi mostrava un campo di rigogliose piante di ortaggi, viti e alberi da frutto. Quell’uomo dalle mani forti e rugose, mi spiegava che  amare la terra significa innanzitutto rispettare l’avvicendarsi delle stagioni che scandiscono le feste comandate e  il lavoro  nei campi: c’è un tempo per zappare, uno per concimare e uno per seminare.

 A Malfa, piccolo comune dell’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, con forti e ricche tradizioni contadine, dopo Natale si potano le viti e si ammausa.  Ammausare  nel gergo eoliano significa legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri.

L’arte di ammausare, che volendo azzardare un’etimologia della parola potrebbe proprio significare usare le mani, è affidata alle donne. Tra gennaio e febbraio, uomini e donne vanno insieme nella vigna: gli uomini avanti per potare e dietro le donne per ammausare. Con l’arrivo della primavera, i tralci si moltiplicano, sostenendo i primi racimoli d’uva vestiti di grossi pampini.  Il sole d’agosto completa il periodo di colorazione dell’uva che ora si mostra nera, bianca o dorata e il contadino ha un altro appuntamento: trascorso il tempo di festa per il santo patrono di Malfa, San Lorenzo, il 10 di agosto, si torna alla vigna per spogliare i grappoli ormai consistenti e mostrarli finalmente a quel sole che li farà completamente maturare. Arriva quindi il tempo della vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus, vino e demia, forma del verbo demere, levare via, prendere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto.

Tutta l’uva è destinata al palmento, tranne quella dorata, l’uva malvasia, arrivata a Salina nel XVI secolo insieme al culto di Santa Marina. Questa, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.

Arriveranno le vespe e poi le api. Dopo, l’uva stesa al sole è pronta.

Altra nota di saggezza contadina, appresa mentre mi fermavo davanti a una delle case storiche di Malfa, colpita dalla bellezza delle rose che circondavano il giardino. I romani piantavano rose in fondo alla vigna per attirare gli insetti, perché avevano capito che erano proprio loro a migliorare il vino. Vespe e api sono molto simili tra loro ma hanno delle caratteristiche fondamentali che le distinguono. La differenza che qui interessa, a proposito dell’uva è che le vespe sono onnivore, e quindi dotate di forti mandibole, mentre le api succhiano sostanze dolci.

Uno studio condotto presso l’istituto di microbiologia dell’Università di Firenze¹, ha dimostrato che i lieviti di fermentazione del vino non sono presenti nelle cantine, ma vengono trasportati da vespe e calabroni nei loro intestini e depositati sugli acini. Le vespe bucano l’acino e rilasciano lieviti di fermentazione. Intanto le api iniziano i loro voli di perlustrazione e quando le loro cugine hanno finito il lavoro di bucare tutti gli acini, tornano all’alveare e segnalano alle compagne il luogo dove trovare abbondante cibo. Un giro a destra e poi a sinistra; testa in giù, testa in su; movimento svelto dell’addome e poi ancora un giro, e le api ballerine indicano la sorgente del cibo, considerata la distanza dall’alveare e la posizione del sole. Già il grande filosofo greco, Aristotele, aveva scoperto la danza delle api ma non ne aveva capito il motivo.

La danza delle api è un ingegnoso scambio di segnali che lo scienziato Karl von Frisch studiò a fondo, tanto che le sue ricerche gli valsero il premio Nobel nel 1973 proprio per gli studi condotti sul comportamento dei pesci e delle api. Ma torniamo sui nostri cannizzi, dove arrivano sciami di api che trovano l’acino rotto e succhiano la soluzione zuccherina permettendo all’acino di rinsecchire invece di marcire. La Natura sa quello che fa. Il contadino può quindi ritirare i cannizzi e quell’uva dorata è pronta per diventare il nettare tanto apprezzato, la Malvasia,  che sa di sole, di mare e di terra vulcanica.

Dopo la vendemmia, si torna tra i filari e si svecchia, si libera la vite dai tralci vecchi per ricominciare un altro ciclo dell’uva, di vespe e di api. Ma solo dopo Natale.

Battito di cuore

20 giovedì Ott 2022

Posted by paolina campo in mare, silenzio

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adattamento, cambiamento, Darwin, soluzioni

Darwin, nella sua teoria dell’evoluzione della specie, affermava che non sopravvive il più forte o il più intelligente. A sopravvivere è chi sa accettare e muoversi all’interno del cambiamento.  Che esso sia climatico, familiare, psicologico, è indispensabile essere sempre bene equipaggiati e assolutamente capaci di trovare le strategie giuste.

In una prateria di verde e ondeggiante posidonia, s’era rifugiato un battito di cuore. Era fuggito da una terra di frastuoni, dove era diventato difficile ascoltare e farsi ascoltare, dove non esisteva più il silenzio per riflettere e, in un affollamento di parole e discussioni senza possibilità di soluzioni, era impossibile adattarsi perché ogni cosa si era avvolta da un cupo senso di solitudine e annientamento.

Tum, tum tum… Nel silenzio del fondo del mare, il suo procedere era nitido e bello, accompagnato dalla danza dei pesci, seguito dall’ondeggiare delle foglie verdi, accarezzato dallo sciabordio delle onde. Era quello il suo mondo, ne era certo. Ogni cosa nel mondo deve avere un posto tranquillo dove stare, e lì, in fondo al mare, c’era tanta armonia.

Arrivò un giorno una corrente furiosa che scosse le acque e agitò i pesci. Posidonia raccolse tutte le foglie e si avvolse attorno a battito di cuore che aumentò la sua frequenza, lanciando un allarme a tutti i pesci. Gli abitanti del mare seguirono il tum tum diffuso dalle particelle liquide e si raccolsero presto dentro il rifugio di posidonia. Così, la corrente non trovò più nessuno a cui potesse fare del male e scivolò via, catturata da un vento lontano. Posidonia, allora, sciolse le sue foglie che tornarono a ondeggiare e i pesci iniziarono a danzare.

C’era stato un turbinio delle acque. Ora, era tutto passato. Ogni cosa nel mondo deve avere la forza di accettare i tumulti di eventi inaspettati, sopportare la fatica di sbalzi improvvisi, superare i sussulti di scossoni pesanti. In silenzio, insieme.

Battito di cuore era stato il vero cambiamento, costante nel tempo, di quel tratto di mare. Tum tum tum: come un’eco si diffuse fino a lambire la superficie e più in là, fino alla costa, ricevendo vigore dai raggi del sole e dal chiarore lunare che spesso l’andavano a trovare.  

L’uomo con la busta

15 sabato Ott 2022

Posted by paolina campo in pensieri

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Tag

passeggeri, viaggio

Provincia di Messina- laghetti di Oliveri

Si parte per lavoro, per piacere, per raggiungere familiari lontani, per riappropriarsi di affetti di cui non si vuole fare a meno. C’è chi in aeroporto arriva contento, chi stanco, chi smarrito.  Lui aveva lo sguardo malinconico, incorniciato da capelli sottili e bianchi che svolazzavano ribelli. Sembrava concentrato sulla ricerca di prendersi cura di se stesso, ora che non c’era più nessuno che lo faceva per lui.

Indossava un paio di jeans larghi, o meglio, comodi e lunghi con delle pieghe alle caviglie da cui sbucavano delle scarpe nere, lucide, pulite, nuove. Portava poi una giacca e sotto una camicia, e sotto ancora una maglietta bianca sulla quale risaltava una collanina di quelle che si trovano in certe località di preghiera: un laccio e una crocetta di legno. Era arrivato tirandosi dietro un trolley. Ma quante cose portava con sé, oltre la sua malinconia! Aveva un borsello a tracolla, di quelli a più scomparti, uno zainetto sulle spalle e una busta rossa che pendeva dal collo come una collana per poi poggiarsi sul petto. Sopra quel rosso acceso, risaltava una frase scritta con grosse lettere a stampatello di colore bianco: “ abbiamo a cuore i vostri progetti”.

Seguì la fila per arrivare al gate. Ad un certo punto si fermò: sembrò che un consiglio, una cura antica lo avesse raggiunto.

Tolse lo zainetto dalle spalle e lo poggiò sul trolley. Sfilò dal collo la busta rossa e tirò fuori un giubbino che piegò ancora per poterlo sistemare in una delle tasche dello zaino. Piegò anche la busta che trovò posto in un altro scomparto dello zaino.

Così va bene?

Si guardò intorno, muovendo gli occhi ora da una parte, ora dall’altra. Serio, continuò a seguire la fila con qualcuno accanto che nessuno vedeva.

Amo

08 sabato Ott 2022

Posted by paolina campo in Senza categoria

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https://amareilmare.wordpress.com/2022/04/04/amo/

Massa di cera

06 giovedì Ott 2022

Posted by paolina campo in ricordi

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Tag

arte, cielo stellato, massa di cera, Platone, ricordi, Socrate, Teeteto

Socrate – …supponi che nelle nostre anime si trovi una massa di cera, in qualcuno più grande, in qualcuno più piccola, e in qualcuno di cera più pura, in qualcun altro di cera più sporca e indurita e in altri di cera più molle, in altri ancora di consistenza intermedia.

Platone, Teeteto, 191d

Da una galassia lontana arrivò sulla Terra una stella. Cercava tre anime: una che sapesse bene descrivere con le parole la magnificenza dell’universo; una che ne dipingesse i contorni splendenti e ne tracciasse le linee armoniche; una che trascrivesse su uno spartito, le note del suono che avvolgeva gli astri e i pianeti.

Le trovò e consegnò a ciascuna una tavoletta di cera dove segnare i ricordi più cari e partire così senza rimpianti.

Si imbarcarono su una scia luminosa che attraversò il cielo come un lampo che squarcia le tenebre, preludio di un cambiamento in arrivo. Durante il viaggio, il calore del sole sciolse le impronte dei ricordi fissati sulle tavolette e la cera cadde informe e si disperse per l’aere. Indelebili erano rimaste le tracce della loro arte che continuò a viaggiare con loro.

Le anime, ignare del fatto che i loro ricordi non erano più impressi sulle tavolette, non si preoccuparono di avere perso qualcosa di cui avere memoria. Avvertirono solo una strana leggerezza.

Socrate – Diciamo allora che questo è dono di Mnemosine, la madre delle Muse, e che in esso, ponendolo sotto le nostre percezioni e i nostri pensieri, come se vi imprimessimo impronte di sigilli, imprimiamo ciò che vogliamo ricordare fra le cose che vediamo, udiamo o pensiamo. Di ciò che viene impresso abbiamo memoria e scienza, finchè ne permanga l’immagine; ciò che viene cancellato o che non è possibile imprimere, invece, lo dimentichiamo e non ne abbiamo scienza.

Platone, Teeteto, 191d

Arrivate al centro di una galassia lontana, la meraviglia li investì di luci, suoni e movimenti mai conosciuti prima. Quanto era immenso quel mondo? Dove finiva quel brillare di stelle?

L’ infinito le accolse e naturale fu per loro dare inizio alla loro missione.

Un pennello si allungò per far risaltare il giallo e l’arancio di stelle vicine; l’ indaco e il blu cobalto definirono i contorni dei pianeti lontani; uno spruzzo di viola e di fuxia si disperse tra il bianco splendente di pulviscolo stellare.

Parole furono appese alle stelle e parole viaggiavano tra la luce per comporre poesie e recitare le rime di un racconto incantato mentre tutto danzava.

Do, re, mi/ mi, sol, fa/si, la, do. L’ anima della musica catturava le note, librandosi su quel grande spartito di aria leggera.

Un messaggio cominciò a fissarsi su ognuna delle tavolette di cera delle anime della galassia lontana:

Ricordate le cose più belle, sono loro a generare stupore, armonia e altra bellezza. Fate in modo che la massa di cera della vostra anima non si debba mai sporcare e mai indurire.

La stella che aveva portato le anime belle nella galassia lontana, tornò indietro e, arrivata su una nuvola che guardava la Terra, lanciò il messaggio come pioggia che cade su un campo di grano dorato.

Petalo di onda

04 martedì Ott 2022

Posted by paolina campo in mare, silenzio

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Nereidi, onde, sogni

 Era arrivato il giorno che la piccola Nereide doveva tornare a riva da sola, viaggiando sulla sua barchetta svuotata di tutti i sogni in cui aveva creduto.

Mai avrebbe pensato che sarebbe stato così difficile, alla fine di tutto, chiedere un sostegno, un ascolto sincero.

Mai avrebbe pensato che la sua voce potesse essere stata messa a tacere da chi era riuscito a distruggere la serenità di tutti, specialmente la sua.

Certo, le azioni buone che si fanno, vengono appese su una parete nascosta dell’anima e mai esibite per pretendere qualcosa.

Ma, si chiedeva, da quando, ciò che si era ritenuto fosse frutto di una disponibilità incondizionata, non era bastato e non era servito a nulla? Quando la stanchezza, il desiderio di gratitudine, il desiderio di volere qualcosa per sé, erano stati oscurati da chi per anni non aveva ascoltato la difficoltà di esserci sempre?

Qualcosa non aveva funzionato nell’ ingranaggio dei rapporti tra essere e non essere, chiedere e avere, soddisfazioni e fallimenti. Qualcosa le era sfuggito e troppe cose avevano preso sentieri oscuri, misteriosi.

Con questi pensieri pesanti sul cuore, aveva spinto a secco la sua barca e si era ritirata in un angolo di spiaggia, rimanendo ad aspettare che il sonno la prendesse con sé, rapisse l’ ombra che le annebbiava la mente.

Si era poi addormentata. Un’onda l’ accarezzava, bagnandola teneramente e facendole compagnia per tutta la notte. La schiuma salmastra andava e tornava come un petalo leggero cullato dal mare,  intonando una dolce canzone.

Dimentica, dimentica chi ti ha arrecato disagio.

Regalati un sorriso,

abbandonati

alle tue riflessioni.

Abbraccia i tuoi sogni,

vola lontano

dove nessuna voce o tormento

ti possa mai raggiungere.

Regala le tue lacrime

                 al cielo,       

perché le trasformi in rugiada

e il sole

le attraversi

per trasformarle

in tanti piccoli arcobaleni.

La notte scioglierà

come cera al sole

i cattivi ricordi,

e una nuova vita

ti regalerà Aurora.

I miei libri

era
vi racconto
l'uomo di
A fine giornata
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