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Lungo la costa, al tramonto, si vedevano spesso dei pescatori. Non erano pescatori di mestiere. Quest’ultimi partivano la sera con le loro barche per prendere il largo e calare le reti lì dove loro sapevano della presenza o del passaggio di pesci; tornavano poi all’alba alla volta di quel tratto di mare segnato come su di una cartina geografica, tiravano su le reti e poi raggiungevano la costa per vendere il pescato. Questo era lavoro. I pescatori al tramonto erano pensatori solitari che attendevano che un pesce abboccasse per scambiare appena due parole con quella creatura che si dimenava agganciato all’amo. Nel tardo pomeriggio si posizionavano in un punto della spiaggia e dopo avere sistemato una sedia pieghevole, indossavano degli stivaloni di gomma, allungavano la canna da pesca e, infilzata un’esca appetibile in uno o più ami, lanciavano la lenza in mare e aspettavano pazienti che il galleggiante affondasse e la canna da pesca tremasse. Guardavano il mare in silenzio, per ore, entrando in una dimensione tutta personale di dialogo con il mondo, di comunione con quell’aria salmastra che li avvolgeva. Calava piano piano la sera e la luna diffondeva magia, diluiva i pensieri che si imbarcavano sui riflessi lunari disegnati sull’acqua cheta del mare. Una volta un pensiero più ribelle di altri si mise a nuotare lungo la scia luminosa che la luna aveva tracciato su una fetta di mare proprio di fronte a un pescatore solitario. Era così assorto che a malapena si accorse che insieme al suo pensiero ribelle erano fuggiti anche altri pensieri che gli affollavano la mente e lo avevo reso così triste e angosciato negli ultimi tempi. Li vide atterrare sulla luna e sperò che, una volta partiti, non tornassero più da quel luogo. E così fu: la luna si alzò ancora più alta nel cielo, dileguò tra le onde del mare la scia luminosa e i pensieri, una volta lontani, assunsero un altro significato, si vestirono di leggerezza e l’uomo continuò a guardarli e non ne ebbe più paura.