Ancora un altro fine anno. E un altro inizio d’ anno carico di buoni propositi. Come ogni inizio d’ anno. Come se la buona riuscita della nostra vita dipenda da un anno che arriva e può regalarci cose buone o cose cattive. Il sole sorge ogni giorno e ogni giorno tramonta e noi assistiamo, vivendo, alla grande giostra che è la vita. Una sola cosa vorrei. Vorrei, no “voglio”. “Voglio”, mi è sembrata sempre una parola pretenziosa, arrogante, indelicata. Vorrei, perché non è detto che ciò che ho nel cuore sia sempre possibile. Vorrei, sì vorrei che la bellezza ci sia sempre vicina, che lo stupore ci accompagni ogni giorno della nostra vita. Meraviglia, ecco cosa vorrei augurare. Sempre.
Un grande albero osserva me mentre io osservo il dispiegarsi della storia. Ne ascolto il battito, il respiro, immaginando di leggere tra le pieghe del paesaggio, osservando ogni pietra, ogni elemento da cui evaporano parole e immagini. Una colata di asfalto raggiunge antichi basolati in pietra. Corde tese scorrono attraverso carrucole, in un andare e venire di bucato che profuma di pulito e di futuro: vestiti stesi al sole, rigeneratore di vita, raccontano di bambini che popoleranno la piazza nel pomeriggio, quando saranno liberi dai loro impegni scolastici. Non è grande questo scrigno circondato di storia che si perde nei secoli. In queste ore del mattino, il palazzo Asmundo, che da’ il nome alla piazza ed è uno splendido esempio del barocco catanese, resta all’ombra come una vecchia signora che ha paura di esporsi alla luce del sole: guarda con orgoglio la via Crociferi che le sta di fronte ( tra vecchie e nobili signore ci si intende) e si fa espressione di quella rinascita cittadina avvenuta dopo il terribile terremoto del 1693. Da un lontanissimo passato sento lo scalpitio rumoroso e cadenzato dei cavalli del conte Ruggero, al cui seguito la famiglia Asmundo aveva raggiunto la Sicilia. Originari di Pisa, ricoprirono importanti ruoli nella storia politica e culturale dell’isola. 1434: Adamo Asmundo, insieme a Battista Platamone, membro di un’altra famiglia prestigiosa nel ‘400, fondava l’Università degli studi di Catania, una delle più antiche d’Italia e del mondo.
Cosa nasconde l’ albero che continua a guardarmi, che continua a stuzzicare la mia curiosità? Un edificio, grande, maestoso e severo alle sue spalle odora di rigore e sapienza: un antico monastero dei gesuiti ormai dismesso, dimenticato. Le imponenti finestre si affacciano su via della Mecca e consegnano all’ albero le voci sapienti dei monaci che nel ‘700 popolavano il convento. Via della Mecca. No, non è un riferimento ad antiche religioni orientali, ma al grande sogno di un uomo che agli inizi del ‘900, aveva pensato a una casa cinematografica, l’ Etna Film, che nell’ idea di don Alfredo Alonzo doveva essere guardata come un miraggio, come un grande esempio per tutto il mondo.
Tra i rami del grande albero maturano storie e leggende e come frutti ormai troppo maturi, aspettano che qualcuno le raccolga e ne apprezzi il sapore.
Avevano ragione gli antichi filosofi, pensatori di un mondo fatto di contrari che si scontrano e si sviluppano in un eterno ritorno di rinnovata bellezza.
Sul fianco di una montagna senza nome e senza tempo, era cresciuta una piccola quercia. Mentre Chronos orchestrava il susseguirsi nel cielo del sole e della luna, nascevano altre querce che si strinsero attorno alla prima che era rimasta piccola mentre le altre crescevano, si ingrossavano e con alterigia sfidavano il vento e le piogge violente, evitando prudentemente di pensare. Dalla chioma della piccola quercia s’era distinto un ramo che si allungava a guardare le nuvole e i loro movimenti eleganti. Le scorreva vicino un fiume con incedere lento, come un vecchio saggio che ha tante cose da dire e aspetta qualcuno che lo ascolti. Un giorno arrivò un temporale. Piovve tanto e per tanti giorni. Il vento forte staccò dalla quercia quell’unico ramo che s’era allungato a guardare in cielo le nuvole e cercare un mondo dov’era possibile sognare: la piccola quercia e il suo ramo erano sicuri che sognare era importante quanto respirare. Quando il ramo si staccò, alla quercia mancò il respiro, si sentì mancare. Sentì che la sua vita non aveva più senso: chi avrebbe guardato per lei le nuvole belle? Chi le avrebbe più dato la gioia di sognare? Se un tempo lacrime calde raccontavano la forza di sentirsi comunque forte, comunque bella, si asciugarono anche quelle. Non si piange più quando ci si arrende.
Il ramo seguì la corrente del fiume e arrivò al mare. La felicità di quel mondo infinito lo investì e scelse una nuvola che facesse da messaggera. Le chiese di raggiungere la piccola quercia per raccontarle quello che aveva visto, per descriverle il bagliore di quel blu senza fine. La nuvola partì alla volta della montagna senza nome e senza tempo. Cercò la piccola quercia e non la vide. Al suo posto grandi querce svettavano altere, sazie della loro maestosità, felici di non coltivare alcun pensiero.