Immacolata Concezione, 1628 di Peter Paul Rubens (1577-1640, Italy)
Primo segno: la Donna e il dragone
Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno: un enorme drago, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzodelle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.
Il mio tempo, scandito dalle immagini che colpiscono gli occhi e feriscono il cuore con infinita bellezza.
Il mio tempo, attraversato dalle parole che scorrono lungo le pagine dei libri che amo leggere, che mi incontrano e mi stanno vicino.
Era col mare che ogni giorno parlavo per ore, e dal mare mi attendevo risposte. Era col mare che mi offendevo quando, per le sue ragioni, non mi dava ciò che mi sarei aspettato, ed era per quell’enorme vastità che gioivo quando mi era amico.
Giuseppe Catozzella, Il grande futuro, Feltrinelli Editore Milano, 2016
Erano arrivati su un’isola verde, profumata e magica. Come i raggi del sole al mattino, don Vicè sembrava raggiungere tutti, sembrava illuminare ogni luogo e accendere il fuoco dell’amicizia. Così fu, quando, con il suo equipaggio, arrivò a Salina e incontrò i pescatori del posto. Spesso si riunivano nelle grotte scavate nella roccia lungo la costa. Si trovavano grotte a nord, a sud, a est e a ovest dell’isola e tutte guardavano il mare. I pescatori avevano sguardi profondi, occhi attenti dove sembrava fluttuassero onde e saggezza. Non avevano fretta: restavano ore fermi sul molo a scrutare l’orizzonte, ad ascoltare il vento, ad assaporare l’odore salmastro che li avvolgeva. Nelle grotte scioglievano i nodi alle reti, sistemavano ami in cerchio sul bordo di grosse vasche, preparavano esche e guardavano il mare che amavano, certo, più delle loro donne.
-Era un bel pesce! Te lo sei fatto scappare!-
-Vuol dire che non era il mio!-
Una risata leggera, un segnale di rispetto profondo e poi ancora risate e parole che circolavano libere tra l’aria colorata d’azzurro. Mimmo era arrivato sull’isola insieme a don Vicè. Era solo un ragazzo sognatore che rimase incantato da quel guscio di mondo dove tutto era vicino, avvolgente, odoroso. Lì, era sicuro, abitavano le fate. Prese l’abitudine di fare lunghe passeggiate: attraversò boschi, campi, scogli, e camminò sulla battigia. Arrivò una volta in una vallata che scendeva fino al mare come una lunga gonna con grandi ed eleganti pieghe verdi, rosse, gialle, dorate come i pampini di viti di cui era coperta. Era la gonna di una fata bellissima che, con un gesto elegante delle mani, chiamava il vento perché soffiasse lungo le pieghe e pulisse la gonna. Mimmo seguì le pieghe, ne attraversò una e scese giù, fino alla riva del mare. Non si accorse, no, non si accorse. O forse la fata lo avvolse tra le pieghe della sua gonna. Chissà come fu, ma certo un’onda lo prese e lo portò lì dove la fata affondava i suoi piedi. Eppure il mare era calmo e il vento soffiava leggero. Chissà come fu, ma quell’anno la valle produsse uva abbondante e mosto odoroso, fruttato, infatato, arricchito di sole e di mare e della storia di un ragazzo che si era perso nella magia di un’isola bella.
Per molti secoli l’ anello che ha unito i popoli d’ Europa non è stato il denaro, ma la cultura europea. Persino le nazioni che erano in guerra tra loro non mettevano in dubbio la comune cultura europea. Oggi parliamo con molto orgoglio di eredità culturale. Ci sfugge, tuttavia, che l’ eredità arriva sempre dopo la morte di qualcuno. Prima della morte non c’è eredità. E quindi la domanda : non è che, alla fine, il denaro ha ucciso la cultura ed è per questo che ci troviamo ad avere a che fare con la sua eredità?
Un amico, una volta, mi ha spiegato la differenza tra il XVIII secolo e il nostro tempo. – Nel XVIII secolo il sogno del ricco aristocratico consisteva nell’ acquisire un suo teatro e una su orchestra sinfonica-, mi ha detto. – Oggi, il sogno del ricco oligarca è di acquistare una squadra di calcio. Una differenza abbastanza significativa.
Petros Markaris, L’ OSSESSIONE DA TRE SOLDI, su Robinson-La Repubblica, sabato 21 novembre 2020.