

La famiglia del lattaio viveva in una di quelle case a piano terra con una porta d’ingresso che poteva fungere anche da finestra. Chiusa la parte inferiore, dalla parte superiore della porta si sporgeva il mezzo busto di una signora con uno sciallino di lana, lavorato all’uncinetto che le copriva le spalle per buona parte dell’anno. Affacciata all’apertura della sua casa, la donna svogliatamente seguiva il passaggio della gente, aspettando che succedesse qualcosa che la scuotesse dalla monotonia della sua giornata.
-Buongiorno! Mi da’ dieci uova?-
La moglie del lattaio apriva quindi anche la parte inferiore della porta. Le uova si trovavano dentro una credenza addossata ad un divano sul quale, spesso, stava seduto un ragazzo altissimo e magrissimo: lo chiamavano Cocò, forse per ricordare le galline o forse per trovare un appellativo veloce che raggiungesse presto la sua attenzione. Col trascorrere degli anni, il ragazzo si allungava, la sua figura si assottigliava spalmandosi lungo i suoi muscoli e le sue ossa, arrivando a superare i due metri. La donna cercava una bustina dove mettere le uova, Cocò non proferiva parola e il lattaio trafficava tra i suoi bidoni d’alluminio, sparsi per la stanza. Cocò non guardava nessuno. Il viso scarno, gli occhi affossati e un grosso naso aquilino erano incorniciati da una liscia capigliatura. A Palermo si era soliti parlare per similitudine e Cocò era paragonato, riguardo al suo aspetto fisico, a una canna per stendere i panni, di quelle che si vedevano lungo i marciapiedi dei quartieri più popolari della città. Le donne che si affacciavano a mezzo busto, stendevano i panni su una corda legata a due chiodi piantati da una parte ad un’altra della facciata della casa a piano terra. La canna, che inforcava la corda nel suo punto di mezzo, veniva posizionata sul muro per tenere in alto i panni. Più era lunga la canna, più lenta doveva essere la corda e più panni si potevano stendere. Cocò era così: fermo e rigido nella sua lunghezza, come ‘na canna pi stenniri, secca e tesa, aggrappato al suo muro di esistenza.