Un ominide lancia un osso in aria, segnando l’inizio dell’evoluzione dell’uomo (Stanley Kubrik, 2001-Odissea nello spazio). Il linguaggio e la capacità di numerare saranno gli strumenti essenziali per muoversi e progredire. Attraverso il linguaggio l’uomo ha potuto trasmettere emozioni, desideri, segnalare un pericolo, discutere della validità o falsità di un’ipotesi (funzione argomentativa di cui parla Popper).
Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’ oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.
Genesi, 11,1
Secondo la Genesi, gli uomini, agli albori della loro civiltà, usavano tutti le stesse parole, si esprimevano tutti con lo stesso linguaggio. Fino a quando non iniziarono a costruire una Torre, con la quale avrebbero voluto toccare il cielo. Il Signore punì la loro presunzione, disperdendoli su tutta la terra e confondendo la loro lingua.
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra
Genesi,11,1
Questa premessa mi apre alla possibilità di parlare della ricchezza delle parole e della diversità dei modi di dire nel percorso triangolare Palermo-Salina-Catania, percorso a me molto familiare.
Io – Iò – Iù, pronome personale soggetto, prima persona singolare, nell’ordine: a Palermo, a Salina, a Catania
Est, verbo essere, terza persona singolare, usata nell’antica Roma ma anche oggi a Salina.
Muriu-murù-mossi, tre parole per dire “è morto” a Palermo, a Salina, A Catania.
Le parole sono un poco come la porta della storia, delle tradizioni, del modo di fare della gente che nei secoli si è incontrata e ha imparato a vivere insieme, in Sicilia come in tutte le parti del mondo. Come non pensare alle colonizzazioni, all’America, all’Australia dove i nostri emigranti hanno adattato i loro dialetti, costruendo altre parole. Apri una parola e ci trovi gli spagnoli, i francesi, i greci, i normanni, gli arabi e prima ancora i siculi, i sicani, i latini, gli etruschi. E’ importante riflettere sulle parole? Credo proprio di sì. Credo sia importante per riuscire a guardarsi dentro e scoprire che oltre quello che ascoltiamo, vediamo, oltre quello che i nostri sensi ci offrono c’è un mare di storie, volti, paesaggi tutti da interpretare.
Ammausari, vinnigna, cuofani, valliri: un dipinto di parole che descrivono campi, filari di viti, pampini, uva, uomini e donne che lavorano alacremente tutto l’anno. Siamo a Salina.
Ammausari è un termine che indica la tecnica di legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri. Volendo azzardare un’etimologia della parola ammausari, potremmo pensare proprio al significato di usare le mani per legare i tralci buoni, lavoro spesso affidato alle donne.
Vinnigna, vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus-vino e demia, forma del verbo demere, cioè levare via, togliere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto. Tutta l’uva, tranne quella dorata, l’uva malvasia che, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate, che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.
Ni viremu, bonasira, salutamu.
A presto!
Le etimologie delle parole sono un modo affascinante per entrare nella storia e nella vita quotidiana dell’umanità, con percorsi a ritroso che illuminano il presente; ma ci vuole una solids base culturale e molto studio .
Mi ci sono dedicata in passato, ma ora sojo troppo pigra. Se mi vengono in mente esempi più tardi tornerò qui
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie! Mi farà molto piacere
"Mi piace""Mi piace"
Complimenti per l’articolo. Mi affascina la provenienza delle parole dalle lingue antiche e da quelle straniere nel Napoletano in particolare. I cosiddetti dialetti sono lingue a tutto tondo e non sono una storpiatura dell’italiano, ma derivano tutti direttamente dal latino. Ad esempio “voglio i a casa” dove i è andare dal verbo ire latino, oppure “ce vedimmo a crai” dove crai è domani in latino. E ancora dal francese butteglia (bouteille) bottiglia, buatta (boite) scatola. dallo spagnolo sparatrap cerotto, e tamarro dall’arabo el tamar (mercante di datteri) zotico. E qui mi fermo la lista è lunga,
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sì, c’è una storia lunga millenni nelle parole
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie per i complimenti
"Mi piace"Piace a 1 persona
Pingback: Ammausari | amareilmare