Ho appena finito di leggere “La misura del tempo” di Gianrico Carofiglio. Ne ho apprezzato l’eleganza e la compostezza di un dialogo aperto, colto, di quelli che lasciano spazio a curiosità e approfondimenti. Leggere un libro è sempre un’esperienza, un percorso e quindi uno svelamento di emozioni che via via si intrecciano con quelle dell’autore: un tuffo tra parole, considerazioni, idee, pensieri Un’immersione nella vita, nel tempo. Quanto misura il tempo? Difficile parlarne in maniera univoca. Si può parlare del tempo della nostra giovinezza o quello della nostra vecchiaia; il tempo dedicato agli studi o al lavoro. Ma c’è anche il tempo degli incontri con il mondo fuori di noi, in un arcobaleno di esperienze diverse e che si sommano al proprio. Ecco che il tempo non si può più misurare solo secondo la sua lunghezza, ma anche secondo il suo spessore. Ne “La misura del tempo”, il protagonista è un avvocato che accetta di difendere il figlio di Lorenza, una donna con la quale aveva avuto, in passato, una relazione. Il ragazzo è accusato di omicidio e il processo si anima di prove, di persone, di eventi che si intrecciano con la storia con Lorenza. Una sommatoria di tempi, uno stratificarsi di esperienze. Una definizione si è imposta alla mia attenzione con tristezza, con amarezza: “disagio morale” che, credo, sia qualcosa che venga descritto dalla legge in sede di un processo, sia esso penale che civile. Essere coinvolti in un processo è qualcosa di stancante, che mette alla prova pazienza, comprensione e anni di sacrifici che, nel tempo, si sono sommati per la realizzazione di un sogno. La mia famiglia è stata coinvolta in un processo, usucapione, per noi assurdo, che ha provocato un “disagio morale” che la legge ha pensato di non vedere; un “disagio morale” che si rinnova con indescrivibile cocciutaggine, mirata a calpestare le più elementari esigenze del cuore.
“Disagio morale”
14 sabato Nov 2020
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