
“Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in sulla terra, e partonsene le immagini vane. Sorgete; ripiglitevi la soma della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero. Giacomo Leopardi, OPERETTE MORALI- CANTICO DEL GALLO SILVESTRE, OscarMondadori, Milano, 1988, pag. 202
DRAPPEGGI INVISIBILI
-Forza Nunzia! Spicciati! Pari ca dommi sta carusa![i]–
Il battesimo della bimba di Rosaria aveva portato tanta allegria tra la gente di piazza Bonadies. Lì tutti si conoscevano e tutti erano stati invitati, anche il prete che aveva celebrato la messa, un uomo alto e di bell’aspetto.
-Padre Iano s’avvicinassi! Brindiamo insieme!-
Padre Iano, Sebastiano, oltre a essere un bell’uomo, era anche simpatico e intelligente e amava stare insieme ai suoi parrocchiani. Il catechismo si trasformava in momento di svago per i bambini: le preghiere, ma anche il gioco del fazzoletto, la pittura e la musica. Le donne erano impegnate in attività manuali, ricamo, uncinetto, per allestire mercatini e, nei periodi di festa, organizzavano sagre di dolci in un tripudio di crispelle, torte, biscotti. Gli uomini pensavano a sistemare le panche ormai vecchie e barcollanti, sostituivano lampadine e montavano palchetti per il coro in occasione di eventi importanti. Era, la comunità parrocchiale di Padre Iano, una comunità coesa, vivace e sempre partecipe. Ma…Padre Iano era un bell’uomo e la sua perpetua, una giovane donna che aveva deciso di dedicare la sua vita alla cura della sacrestia e del parroco, venne presto indicata con l’appellativo de a mugghieri do parrinu[ii]. Lo scandalo di un prete che teneva sfacciatamente una relazione con una donna che viveva in parrocchia, man mano scemò grazie alla simpatia, al lavoro e alla vulcanica organizzazione parrocchiale del giovane prete e della sua perpetua. Ben presto, Pinuzza do parrinu imparò a vivere come un personaggio delle storie dei cantastorie che a volte animavano la piazza. Di lei si parlava e si sparlava, ma Pinuzza era radiosa e metteva tutta sé stessa nell’organizzazione di catechismo e processioni e le chiacchere rimanevano relegate al teatro dell’immaginario collettivo. Anche lei era stata invitata alla festa per il battesimo e con i capelli in ordine, le unghia smaltate, un vestito elegante e un sorriso rassicurante e carico di gioia, contribuì a rendere più bella quella giornata di sole che si scelse di festeggiare nella piazzetta della fontana, vicino al lavatoio, sotto gli alberi dove le donne stendevano i panni e i bambini correvano liberi tra i vassoi di paste di mandorla e confetti.
-Nunzia amuninni![iii]–
La sorella più piccola di Cettina, all’indomani della festa, doveva partire per Palermo, la zia era venuta a prenderla. Era riuscita a convincere i genitori a lasciare che la ragazzina frequentasse la scuola media nel capoluogo siciliano. La zia e la nonna si sarebbero prese cura di lei.
-Non ti preoccupare, dalle una borsa piccola con le sue cose più importanti.-
La zia sembrava avesse tanta fretta di andare via, di salire sul primo treno per Palermo. Guardò Cettina e la baciò con tenerezza. Avrebbe portato via anche lei, ma la famiglia per lei aveva altri progetti: era una signorina da maritare.
Quando Nunzia partì, Cettina pianse disperatamente, di un pianto intimo, con occhi che rimandavano indietro le lacrime che a nulla servivano. La solitudine e l’impotenza mandano al mittente le lacrime che nessuno vuole asciugare. Le rimandano alla sensibilità del cuore che si inasprisce e svuota quella dose di liquida amarezza, nella parte più buia dell’anima dove ristagnano la rabbia e la delusione. Volevano che sposasse Salvatore? Bene, li avrebbe accontentati. A modo suo. Sarebbe scappata via con lui, presto. Al battesimo era stato invitato anche lui. Anche lui si trovò a bere, scherzare e chiacchierare con la gente raccolta attorno ai giovani genitori sotto i rami degli alberi di piazza Bonadias, dove, quel giorno, non svolazzavano lenzuola ma parole e risa e musica, mentre un giradischi diffondeva le voci e le note di Domenico Modugno: – Volare oh oh…Cantare oh oh oh- e la gente era sostenuta da un’allegria che svolazzava leggera sulle onde di canzoni bellissime:- nel blu, dipinto di blu…-
Tra la confusione e l’allegria le arrivò un messaggio, sussurrato piano.
-Domani, scappiamo via insieme. Fatti trovare dietro l’altare della Madonna del Pane Cotto.-
Quel giorno, all’orario stabilito, Cettina uscì da casa e si diresse al suo appuntamento: attraversò la piazza, sempre gremita di persone, raggiunse un’auto ferma nella traversa dell’ altare della Madonnina e prese posto in macchina, sbattendo lo sportello con atteggiamento di sfida. Un attimo, un soffio di vento e volò via con quell’uomo che non sapeva niente dei suoi sogni, della sua amarezza. Le si aprì improvviso uno spiraglio nella memoria: Palermo, le cupole rosse, le strade odorose di sfincione, il vociare festoso di mercati affollati. La casa della nonna. E poi, alcune “cose” più intime, più chiacchierine che facevano capolino da un cassetto dal fondo profondo cento anni e cominciavano a svelare immagini, situazioni, parole, come a voler lasciare un lembo di fantasia, una traccia della loro esistenza, per poi sparire ancora nel fondo del cassetto profondo cento anni. La nonna, nella sua casa, custodiva gelosamente uno strumento da ricamo avvolto in un lenzuolo di lino. Era un tombolo appartenuto a una zia monaca dal caratterino vivace. La nonna era una che amava il cunto e il canto e sopra il cilindro del tombolo, e attorno ai tanti fuselli, ricamava la storia della zia. Monaca, non certo per devozione, aveva appreso l’arte del ricamo a tombolo in maniera esemplare, come a volere descrivere la bellezza di un mondo che le esplodeva dentro, mentre le era toccato di appartenere all’ordine delle suore di clausura del convento di Santa Caterina. L’antico convento sorgeva nel cuore del centro storico di Palermo, lì dove la nonna cresceva tra giochi e storie antiche. Seguendo la trama del ricamo sul tombolo, intesseva la storia di monache operose, tra queste la zia, e delle quali non si sapeva nulla se non che usavano una sorta di ruota per comunicare con la vita fuori dal convento. Su quella ruota passavano ricami per le spose, dolci prelibati e anche orfanelli, bimbi avvolti in fasce di cui le monache si prendevano cura. Finito il cunto, la nonna riavvolgeva il tombolo nel lenzuolo di lino e lo riponeva nel cassetto dal fondo profondo cento anni, lasciando un drappo sempre visibile a chi di quel tombolo ne aveva ascoltato la storia. Quante cose custodisce una casa! Drappeggi invisibili, appesi alle porte del cuore. Chiuse gli occhi mentre l’auto divorava la tenerezza di quei ricordi. Forse si addormentò, forse fu rapita da un sogno. Quando riaprì gli occhi, l’auto stava ancora percorrendo una strada tortuosa, lunga, infinita. Quanto durava quel viaggio! Sembrava non finisse mai. Con lo sguardo fisso sulla strada, Cettina e Salvatore sembravano ignorarsi. Non parlavano, non si dicevano niente. Non si guardavano, non si scrutavano, ognuno perso nei propri pensieri. L’auto si fermò finalmente al limitare di una presenza, di una grande testimonianza, di una forza femmina, atavica. Si sentivano boati, come ruggiti di una leonessa, come la voce imponente e maestosa di una dea che libera dal suo ventre un gigante di fuoco. Si erano abbassate le luci del giorno e l’Etna in tutta la sua maestosità, comunicava con il mondo, lanciava fiamme e lapilli, come lunghe braccia che tendevano verso un amore eterno. La luna, intanto, sorgeva dal mare, anche lei rossa di ardore, bella e seducente. Pian piano si alzava alta nel cielo per meglio osservare il suo amore eterno eppure così irraggiungibile. Cettina rimase abbagliata da tanta bellezza, mentre la tristezza e la rassegnazione si aggrappavano alla rabbia che l’aveva portata fin lì, a Zafferana Etnea.
[i] -Forza Nunzia, sbrigati! Sembra che dorme ‘sta ragazzina!-
[ii] Moglie del prete.
[iii] -Nunzia, andiamo!-