
Caro cuore mio,
come stai? Tremi, hai paura? Di cosa? Della vita che scivola via senza allegria, senza sorprese? Di bellezze che eterne credevi ed invece svaniscono con un colpo di ciglia? Ti scrivevo e ancora ti scrivo perché parlare non so più fare, perché dire mi riesce difficile e le parole sono come grossi mattoni che senza pietà ho accumulato, come macerie di qualcosa che di bellezza voleva discutere. Ti scrivo, perché so che sarai paziente con me, saprai ascoltarmi e sognerai insieme a me per vivere l’uno nel sogno dell’altro. Sei pronto? Mi ascolti? Allora andiamo a incominciare.
FILIPPO ‘U RIZZU
-Chi fu? Una bomba? Sì, sì! Una bomba!-
-Calmati, stai tranquillo. Prendi un po’ d’acqua. Ecco, così. E’ l’Etna che ha la voce grossa stasera.-
Da quanto tempo era lì, come un lapillo lanciato dal vulcano. Da quanto tempo rimaneva immobile a guardare il soffitto, mentre ancora ardeva di passione per il tempo che l’aveva attraversato e ora, inesorabilmente, si riavvolgeva, per dissolversi piano piano, per sempre.
-Tutto mi ricordo, tu lo sai! Ho tutto qua, nella testa.-
-Sì, lo so.-
-Sono cento anni che vivo qua e ricordo tutti, mi ricordo di tutti.-
-Sì, sì lo so. Vuoi che prendo i fogli e continuiamo a scrivere la storia di questo tuo borgo? Abbiamo già raccolto tanti racconti, sai?-
-Prendili, voglio scrivere io qualcosa.-
-Ma non vedi bene!-
-Io conosco i segni della scrittura a memoria. Me li ricordo, anche quelli ricordo.-
Cent’anni che era lì e per tanti di quegli anni aveva riparato biciclette in una piccola bottega di un’ antica e nobile villa in piazza Bonadias, nel quartiere di Cibali, a Catania. Filippo “u rizzu”, per via dei suoi capelli ricci, riparava biciclette da una vita, da quella vita che ora ormeggiava nei porti del passato e lanciava le cime negli approdi di un futuro che aveva il dovere di ricordare.
-Vedi quel foglio di giornale? Vedi il nome? E’ uno importante. Anche a lui ho riparato la bicicletta. Era il figlio di un poeta, dicevano. Era cresciuto qua, a Cibali, fino a quando la madre, una bella donna, morì. Allora il padre decise di trasferirsi con i figli a Roma e Igor diventò un giornalista importante. Leggi, leggi.-
-E’ un articolo del 1945. Parla di tedeschi, di donne oltraggiate e di siciliani coraggiosi, nonostante la miseria e la fame.-
-Leggi, leggi.-
-…..A Misterbianco, un paesino alle falde dell’Etna, arriva un giorno trafelato un popolano:
«Oggi verranno i tedeschi per razziare le bestie!»
Qualcuno rispose: «Vengano pure. Suoneremo per loro la banda».
E che banda! Cinque ore di combattimento serrato tra popolani in unione alle poche forze armate di stanza in paese, e un considerevole numero di nazisti. Il parroco, abile cacciatore, sparava con un 91 dall’altezza del campanile. Fra una fucilata e l’altra si segnava. Ad ogni caricatore consumato recitava l’assoluzione per i nemici. Questi furono costretti ad alzare bandiera bianca. IGOR MANN.-
Cent’anni che era lì e in tutti quegli anni aveva tappezzato le mura della sua casa di fogli di giornali, aveva riempito i cassetti del comò delle lettere di gente che aveva camminato con lui tra le macerie di una città distrutta dalle bombe che ancora turbavano il suo sonno. Riusciva a sentire, attraverso quei ritratti e quelle lettere, le voci delle donne che stendevano i panni sotto gli alberi della piazza; quelle degli uomini che sotto quegli alberi chiacchieravano, giocavano a carte; quelle dei giovani, figli di un tempo che doveva voltare pagina, che avevano conosciuto la grande rivolta del NON SI PARTE, che si erano uniti a gruppi armati con un ideale nel cuore, l’autonomia siciliana. Poi c’era una foto, in bianco e nero anche quella. Ritraeva due ragazzini, Mimmo e Cettina, che erano scappati da casa e non erano più tornati a Cibali.
-Volevo tanto bene a quei ragazzi.-
Cominciò a tossire, il fiato era sempre più pesante, gli occhi vagavano in cerca di un sostegno. Afferrò la mano di Rosaria.
-Ricordati sempre di me. Scrivi.-
Si calmò, si addormentò stanco e Rosaria iniziò a scrivere, immaginando di essere seduta lì, davanti la vecchia bottega di suo padre, osservando la gente che intrecciava le fila della vita sotto gli alberi di piazza Bonadies.