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sefossionda

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

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Archivi Mensili: Maggio 2020

Fammi strada-Francu ‘u rizzu (1)

31 domenica Mag 2020

Posted by paolina campo in libri

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un racconto al giorno

Caro cuore mio,

come stai? Tremi, hai paura? Di cosa? Della vita che scivola via senza allegria, senza sorprese? Di bellezze che eterne credevi ed invece svaniscono con un colpo di ciglia? Ti scrivevo e ancora ti scrivo perché parlare non so più fare, perché dire mi riesce difficile e le parole sono come grossi mattoni che senza pietà ho accumulato, come macerie di qualcosa che di bellezza voleva discutere. Ti scrivo, perché so che sarai paziente con me, saprai ascoltarmi e sognerai insieme a me per vivere l’uno nel sogno dell’altro. Sei pronto? Mi ascolti? Allora andiamo a incominciare.

FILIPPO ‘U RIZZU

-Chi fu? Una bomba? Sì, sì! Una bomba!-

-Calmati, stai tranquillo. Prendi un po’ d’acqua. Ecco, così. E’ l’Etna che ha la voce grossa stasera.-

Da quanto tempo era lì, come un lapillo lanciato dal vulcano. Da quanto tempo rimaneva immobile a guardare il soffitto, mentre ancora ardeva di passione per il tempo che l’aveva attraversato e ora, inesorabilmente, si riavvolgeva, per dissolversi piano piano, per sempre.

-Tutto mi ricordo, tu lo sai! Ho tutto qua, nella testa.-

-Sì, lo so.-

-Sono cento anni che vivo qua e ricordo tutti, mi ricordo di tutti.-

-Sì, sì lo so. Vuoi che prendo i fogli e continuiamo a scrivere la storia di questo tuo borgo? Abbiamo già raccolto tanti racconti, sai?-

-Prendili, voglio scrivere io qualcosa.-

-Ma non vedi bene!-

-Io conosco i segni della scrittura a memoria. Me li ricordo, anche quelli ricordo.-

Cent’anni che era lì e per tanti di quegli anni aveva riparato biciclette in una piccola bottega di un’ antica e nobile villa in piazza Bonadias, nel quartiere di Cibali, a Catania. Filippo “u rizzu”, per via dei suoi capelli ricci, riparava biciclette da una vita, da quella vita che ora ormeggiava nei porti del passato e lanciava le cime negli approdi di un futuro che aveva il dovere di ricordare.

-Vedi quel foglio di giornale? Vedi il nome? E’ uno importante. Anche a lui ho riparato la bicicletta. Era il figlio di un poeta, dicevano. Era cresciuto qua, a Cibali, fino a quando la madre, una bella donna, morì. Allora il padre decise di trasferirsi con i figli a Roma e Igor diventò un giornalista importante. Leggi, leggi.-

-E’ un articolo del 1945. Parla di tedeschi, di donne oltraggiate e di siciliani coraggiosi, nonostante la miseria e la fame.-

-Leggi, leggi.-

-…..A Misterbianco, un paesino alle falde dell’Etna, arriva un giorno trafelato un popolano:

«Oggi verranno i tedeschi  per razziare le bestie!»

Qualcuno rispose: «Vengano pure. Suoneremo per loro la banda».

E che banda! Cinque ore di combattimento serrato tra popolani in unione alle poche forze armate di stanza in paese, e un considerevole numero di nazisti. Il parroco, abile cacciatore, sparava con un 91 dall’altezza del campanile. Fra una fucilata e l’altra si segnava. Ad ogni caricatore consumato recitava l’assoluzione per i nemici. Questi furono costretti ad alzare bandiera bianca. IGOR MANN.-

Cent’anni che era lì e in tutti quegli anni aveva tappezzato le mura della sua casa di fogli di giornali, aveva riempito i cassetti del comò delle lettere di gente che aveva camminato con lui tra le macerie di una città distrutta dalle bombe che ancora turbavano il suo sonno. Riusciva a sentire, attraverso quei ritratti e quelle lettere, le voci delle donne che stendevano i panni sotto gli alberi della piazza; quelle degli uomini che sotto quegli alberi chiacchieravano, giocavano a carte; quelle dei giovani, figli di un tempo che doveva voltare pagina, che avevano conosciuto la grande rivolta del NON SI PARTE, che si erano uniti a gruppi armati con un ideale nel cuore, l’autonomia siciliana. Poi c’era una foto, in bianco e nero anche quella. Ritraeva due ragazzini, Mimmo e Cettina, che erano scappati da casa e non erano più tornati a Cibali.

-Volevo tanto bene a quei ragazzi.-

Cominciò a tossire, il fiato era sempre più pesante, gli occhi vagavano in cerca di un sostegno. Afferrò la mano di Rosaria.

-Ricordati sempre di me. Scrivi.-

Si calmò, si addormentò stanco e Rosaria iniziò a scrivere, immaginando di essere seduta lì, davanti la vecchia bottega di suo padre, osservando la gente che intrecciava le fila della vita sotto gli alberi di piazza Bonadies.

Uomini di cervello

24 domenica Mag 2020

Posted by paolina campo in Sicilia, storia

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cultura, Giovanni Falcone, mafia, Sicilia

Durante gli anni del liceo vivevo a Palermo in un antico quartiere vicino al mercato storico di Ballaro`. Il balcone della mia stanza, dove dormivo, studiavo e passavo la maggior parte delle mie giornate tipiche di un’ adolescente, si affacciava su una strada che correva fino al Policlinico, all’ Ospedale Civico e al cimitero monumentale di Sant’ Orsola. Quella strada era quindi attraversata da ambulanze in corsa verso quelle destinazioni, ultimo porto a cui approdavano, troppo spesso in quegli anni, le vittime di mafia. Sul finire degli anni settanta e agli inizi degli anni ottanta, le sirene tuonavano forte e senza tregua. Erano gli anni in cui i giornali e i telegiornali rendevano conto del susseguirsi di morti eccellenti per mano di un’ organizzazione che sembrava avere ingaggiato una guerra per un potere che doveva essere incontrollato, il potere degli uomini “d’ onore”. A Palermo si usava definire qualcuno di cui ci si poteva fidare masculu di panza o fimmina di panza, non nell’ accezione di persone di grossa taglia, ma di gente che teneva nello stomaco verità inconfessabili, e quindi persone che non avrebbero mai parlato di cose che era meglio tenere nel limbo delle verità pericolose. Un uomo d’ onore era un masculu di panza, addestrato ad essere silenzioso e crudele. A lui era dovuto rispetto, assenso e sottomissione, facendo leva su chi aveva più paura della miseria che dell’ annullamento di sé stesso, del coraggio di rivendicare i propri diritti, perché la mafia “da’ pane e morte” come si leggeva negli articoli del giornale L’ Ora, fiore all’ occhiello di una Sicilia colta e coraggiosa. Vittorio Nistico`, mitico direttore del quotidiano palermitano dal 1954 al 1975, non si stancava di scrivere nei suoi editoriali che era proprio nella stretta dell’ omertà, dell’ ignoranza, della miseria che i poteri mafiosi intrecciano i loro affari. Quando ci fu l’ attentato al magistrato Giovanni Falcone, non ero a Palermo, non sentii le sirene delle ambulanze che gridavano di costernazione, quelle stesse che anni prima avevano annunciato la morte di Pio La Torre, il generale Dalla Chiesa, per citarne alcuni, che erano uomini di cervello, di libertà culturale. Mi ero trasferita da poco a Catania e la notizia dell’ attentato mi arrivò come una scossa, un terremoto: hanno vinto loro? Certo che no. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e quelli che prima di loro hanno dato la vita per sciogliere le catene del malaffare, ci hanno insegnato che l’ ignoranza va combattuta, che l’ entusiasmo premia, che la paura va guardata in faccia perché ci dica qualcosa e poi ci hanno lasciato un grande messaggio: dobbiamo amare di più la nostra terra e non dobbiamo permettere a nessuno di offenderla.

Lo “stricaturi”

20 mercoledì Mag 2020

Posted by paolina campo in pensieri

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cose, cose infinite, Cura, Hegel, Heidegger, infinità semplice, stricaturi

Attraversiamo la vita circondati da “cose” che ci aiutano a muoverci, a gestire il lavoro, le nostre azioni quotidiane, a esprimere la nostra creatività, a stare con gli altri.

L’Esserci trova “se stesso” innanzi tutto in ciò che sta facendo, in ciò di cui ha bisogno, in ciò che si aspetta, cioè nell’utilizzabile intramondano di cui si prende cura.

Martin Hiedegger, ESSERE E TEMPO, Longanesi, Milano, 1976, pag. 154

Le “cose” nascono dal lavoro dell’uomo e possono anche non morire mai, se l’uomo riconosce in esse la forza della sua storia.

Una “cosa” si nutre. Sì, si nutre della cura, dello sguardo, dell’amore per la tenerezza che si è portata addosso attraverso gli anni.

Una “cosa” si riproduce. Certo, si riproduce rimanendo uguale e però cambiando nella rappresentazione di sé.

Uno “stricaturi” è una “cosa”, una tavola di legno forgiata da un artigiano, un falegname. Lo “stricaturu” veniva usato dalle donne di casa per il bucato che un tempo si faceva a mano. Sulle scanalature passavano lenzuola e tovaglie, abiti e mutande, camicie e pantaloni, accompagnati da mani forti di amore e dedizione. L’ho trovato nel magazzino di mio padre, nascosto tra tante cose vecchie e dimenticate. L’ho visto e ha cominciato a raccontare di giornate luminose, di bianche lenzuola stese al sole, appese ai fili che orgogliosi guardavano il mare. E poi un terrazzo che ascoltava i rintocchi della chiesa di San Lorenzo e quelli dell’Immacolata. Un pozzo, un catino zincato, acqua fresca e lumache. Lo “stricaturi” di mia madre continua a raccontare, diventando altro per vivere e farmi vivere.

Tramite l’infinità, noi vediamo che la legge si è compiuta in sé stessa facendosi necessità…. Questa infinità semplice, ossia il concetto assoluto, deve essere chiamata l’essenza semplice della vita, l’anima del mondo, il sangue universale, il quale, ovunque presente, non viene intorbidato, né interrotto da alcuna differenza, e che anzi è sé stesso tutte le differenze, così come il loro essere-levate: il sangue universale, dunque, entro di sé pulsa senza movimento alcuno, trema senza alcuna inquietudine.

G. W. Friedrich Hegel, LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO, Giulio Einaudi editore spa, Torino, 2008, pag. 116-117

Noi siciliani

09 sabato Mag 2020

Posted by paolina campo in libri

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De Rerum Natura, Etna, Lucrezio poeta latino, Sicilia

……e di chi ammette che quattro elementi bastano a produrre tutte le cose: il fuoco, la terra, l’aria, l’acqua. Li guida Empedocle di Agrigento (che dentro le sue spiagge ha visto nascere la Trinacria Sicilia, che i flutti dell’Ionio circondano e frastagliano in vaste insenature, bagnandola con l’acredine delle verdi acque-uno stretto canale, dove precipita l’onda marina, separa questa terra dalla sponda italica: qui sta la divorante Cariddi e i boati dell’Etna che minacciano un nuovo risveglio della sua collera, una nuova eruzione la cui violenza vomiterebbe il fuoco dalle sue bocche portando fino al cielo i bagliori delle fiamme-). Malgrado tutte le meraviglie che rendono questa terra degna di ammirazione del genere umano e della curiosità dei viaggiatori, e l’abbondanza dei suoi beni, e il baluardo che per lei forma la forza d’un popolo numeroso, mai -credo- essa ha posseduto nulla più illustre di quest’uomo, più venerabile, stupefacente, prezioso.

Lucrezio, De Rerum Natura, vv.714-730

Un sorriso al mondo

05 martedì Mag 2020

Posted by paolina campo in libri, pensieri

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ambiente, mondo, responsabilità, Vi racconto una storia, Walt Disney

C’era una volta un bosco abitato da piccoli gnomi. Vivevano felici, fino a quando arrivarono i dudin, gli uomini, armati di seghe. Tagliarono uno dopo l’altro i loro alberi, sequoie giganti, che erano lì da sempre e da sempre erano stati la loro casa. Cade! gridavano i boscaioli quando il tronco di una sequoia era completamente tagliato. Cade! e il più anziano degli gnomi iniziava a svanire.

Nel 1967 la Walt Disney produsse il film LA GNOMO MOBILE, un film per bambini, ma non solo. Una comunità di gnomi rischiava l’estinzione per colpa di dudin che non vedevano oltre la soglia del guadagno economico che si poteva ricavare dall’abbattimento di alberi secolari. Disney diede un messaggio di speranza: i dudin, così come possono distruggere un bosco, allo stesso modo lo possono salvare e salvare sè stessi da scelte irresponsabili.

Il mondo è fuori e aspetta di riappacificarsi con tutti noi, poveri e irresponsabili esseri umani. Aspetta dei giovani dudin che, tra un batticuore e una canzone d’amore, possano ascoltare il suo grido di aiuto.

Il mondo attende un sorriso, il tuo sorriso!

Il mondo attende che tu sia felice!

Ma ora. Presto.

I miei libri

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A fine giornata
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