


L’importante è il fuoco…l’importante sono i coltelli…l’importante sono le mandorle, le nocciole….
Insomma, a tutto l’elenco delle cose importanti sta, come una proporzione matematica, la buona riuscita di un profumato torrone di Sant’Agata. Tra il trambusto della folla, le note folcloristiche delle bande a seguito delle candelore e le voci concitate dei devoti, si erge il silenzio di un uomo che della preparazione del torrone ne ha fatto un’arte.
-Ho imparato da ragazzino. Avevo visto fare il torrone da un parente e volevo provare a farlo. Allora, quando in casa non c’era nessuno, provavo e riprovano e tante volte sono stato costretto a buttare tutto.-
Dentro una pentola di alluminio pulita e lucida ribolle il caramello che Paolo mescola con cura, utilizzando un grande cucchiaio di legno. Il caramello ordina, lui esegue.
-Aggiungi un pochino di farina.
-Diminuisci il fuoco.
-Aumenta il fuoco.
-Aggiungi una parte di nocciole. Mescola.
-Aggiungi l’altra parte di nocciole. E ancora farina. Poca.
Quando dentro il pentolone tutto si è ben amalgamato, le parti si invertono. Ora il signore dell’impasto è lui, Paolo, l’Efesto del torrone. Su un marmo lindo e bianco come la neve, forgia quel magma dolce maneggiando con destrezza due grossi coltelli: assembla gli elementi, li gira e li rigira, li stende, li compatta. Poi i coltelli sollevano l’impasto caldo facendolo saltare, prima con piccoli balzi, poi con onde più alte.
Leviga e divide il foglio di torrone ancora caldo. Lo spettacolo è finito, il lavoro si è concluso, i colori e il gusto esultano.