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Quando il cuore non sa più cantare,
si chiude nel silenzio e
attende.
Comprende che è tempo di ascoltare,
di guardare ciò che sempre si rinnova,
di osservare che la vita
si dipinge di colori sempre nuovi.
Attende. E, nell’ attesa, spera.
27 mercoledì Nov 2019
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Quando il cuore non sa più cantare,
si chiude nel silenzio e
attende.
Comprende che è tempo di ascoltare,
di guardare ciò che sempre si rinnova,
di osservare che la vita
si dipinge di colori sempre nuovi.
Attende. E, nell’ attesa, spera.
25 lunedì Nov 2019
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Suvvia, con piede leggero, formiamo un cerchio e teniamoci per mano; tutte insieme seguendo il ritmo della danza. Su, su, con passi veloci. E il coro si disponga in modo da volgere l’occhio tutt’intorno da ogni parte.
E insieme tutte cantiamo, e onoriamo nella danza scatenata la stirpe degli dei Olimpi.
E se qualcuno si aspetta che in questo tempio, perché siamo donne, parliamo male degli uomini, si sbaglia.
Ma bisogna innanzitutto, nella danza in tondo, trovare subito un passo armonioso.
Avanti dunque, e celebriamo il dio dalla splendida lira e la vergine regina, la cacciatrice Artemide. Salute, dio che saetti di lontano, concedici vittoria. E poi com’è giusto celebriamo Era, protettrice dei matrimoni, che gode di tutte le danze, e custodisce le chiavi delle nozze.
Aristofane, LA FESTA DELLE DONNE, 411 a.C.
15 venerdì Nov 2019
Posted pensieri
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C’è nel mare una poesia che raccoglie tutte le emozioni del mondo, e anche di più. Ci sono cose che non potremo mai provare, che il mare tiene nascoste e noi possiamo solo immaginare, possiamo solo desiderare, anche se a volte non sappiamo di cosa sentiamo desiderio. E’ qui, in mezzo al petto la consapevolezza di questo desiderio di cui non conosciamo la natura. E’ questo vuoto che non riusciamo mai a colmare.
01 venerdì Nov 2019
Talè chi mi misinu i morti
u pupu cu l’anchi torti
u succi c’abballava
a iatta ca sunava.
Guarda cosa mi hanno messo i morti/ una bambola con le gambe storte/un topo che ballava /un gatto che suonava.
-Guarda cosa mi hanno “messo” i morti-, perché i morti vivono di una vita fatta di gesti, frasi, situazioni, luoghi, che fanno da sottofondo alle vite a cui, secondo una tradizione siciliana, “mettono” qualcosa il 2 novembre, giorno della loro commemorazione. Ma cosa “mettono”? Innanzitutto pupi cu l’anchi torti” che letteralmente sarebbe pupazzi con le gambe storte, quindi vecchi, o meglio, antichi. Poi “mettono” un topo che ballava ( l’ imperfetto dà il senso del cuntu siciliano) e un gatto che suonava. Ricordo che la mattina del 2 novembre ci svegliavamo frementi di gioia: uno dei divani della nostra casa era pieno di giocattoli quasi dimenticati, tirati a lucido e “messi” lì dai nostri morticeddi, così ci dicevano i nostri genitori che con un termine vezzeggiativo ce li facevano sentire ancora più vicini, come se i nostri cari fossero tornati bambini. Certo, il fatto che “mettevano” e non si vedevamo, faceva un poco di tristezza.
Tra le cose che i morti “mettevano”, nell’ immaginario del cuntu, c’ erano un topo e un gatto che per l’ occasione smettevano di essere nemici e si accompagnavano in un concerto festoso, suonando e cantando. C’ è una grande verità in questa semplice filastrocca: il rispetto e la cura per ciò che ci appartiene ci rende gioiosi e costruttivi, la memoria ci indirizza verso quei canali del saper vivere, valorizzando ogni piccolo particolare, rinnovando il valore per la riconoscenza per coloro che hanno e continuano ad arricchire la nostra vita.