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Lingua-Salina

1967

Ecco, mettetevi tutti davanti la panchina. Tu fai la spaccata, che sembri una ballerina; tu fai il ponte, che sembra un’atleta. E tu, che sei più piccolo, mettiti vicino la mamma e fai finta che fai la pubblicità alle caramelle, come nel carosello. Comare, mettetevi a sinistra. Stringetevi, altrimenti non vi prendo tutti. 

-Natalino, spicciati cu sta macchina fotografica. Il sole ci sta accecando!-

Fatto.

Mio padre ci fece una foto, una volta, proprio davanti a un sedile che sembrava poggiato sulle onde del mare. Era estate e Lipari alle nostre spalle si mostrava in tutta la sua magnificenza. La foto era in bianco e nero: bella, non fosse altro perché eravamo dei bambini ignari che certi affetti se ne vanno e che i luoghi restano a testimonianza di momenti unici e irripetibili. Ho fotografato il sedile, a colori, carico dei fantasmi del mio passato. E non solo.

Ci troviamo a Salina. Le mattonelle che abbelliscono il sedile, o meglio, il bisolo che si trova sull’ultimo tratto della strada che da Santa Marina arriva a Lingua, parlano di storia, di una storia antica e ricca dell’isola verde dell’arcipelago eoliano. Una storia i cui protagonisti sono il mare e la malvasia, vino dolce, ambrato, inebriante che tanto piacque agli inglesi. Erano gli anni in cui l’Europa era attraversata dal vento napoleonico e le truppe britanniche arrivarono in Sicilia in aiuto ai Borboni che si erano rifugiati sull’isola dopo essere stati espulsi dal loro regno dall’avanzata francese. Gli inglesi avevano accettato di aiutare i Borboni per meglio difendere la loro supremazia economica in Europa e nel Mediterraneo minacciata dalle mire espansionistiche di Napoleone. A Milazzo, cittadina ricordata da Federico De Roberto ne L’Illusione,

Era una giornata bella quanto mai, con un’aria così chiara che, dalla terrazza, Stromboli e Panaria quasi si toccavano con mano, ed anche  il piccolo scoglio di Basiluzzo si scorgeva come un sassolino in mezzo al mare.¹

intorno al 1810, era stato istituito un gran campo inglese che, affacciandosi direttamente sul mare, era adatto al controllo delle rappresaglie francesi. Le truppe britanniche conobbero e apprezzarono presto la Malvasia e ne fecero arrivare enormi quantità al campo.

I padroni di barca salinari hanno così modo di innescare un processo virtuoso che in breve volgere di tempo fa lievitare una flotta mercantile di una decina di velieri e fa mettere a coltura le fertilissime terre di Salina fino alla cima delle due montagne.²

Si avviò quindi un intenso commercio che continuò a prosperare anche dopo la fine delle guerre napoleoniche. I velieri navigarono per tutto il Mediterraneo, intrecciando rapporti commerciali interessanti soprattutto con Napoli. Dai loro viaggi, i temerari navigatori portavano sull’isola tutto ciò che poteva fare ostentare  ricchezza e benessere. Le mattonelle maiolicate di fine manifattura provenienti da Napoli e da Santo Stefano di Camastra abbellirono le case dei ricchi salinari e anche alcune chiese come l’antica chiesa di Sant’ Onofrio a Pollara, frazione del comune di Malfa. Le mattonelle decorate a mano o con l’uso di mascherine  avevano colori diversi a seconda della loro provenienza: quelli di manifattura napoletana erano realizzati con il giallo, l’arancione, il marrone, l’azzurro; quelle provenienti da Santo Stefano di Camastra, paese sulla costa del messinese, erano decorati con sfumature del verde, blu cobalto, rosso e manganese su fondo bianco.

Storia, testimonianze, bellezza.

-Fatti un poco più in qua. Vediamo…-

Fatto.

¹Federico De Roberto, Il ciclo degli Uzeda: L’Illusione, I Viceré, L’Imperio, GRANDI TASCABILI ECONOMICI NEWTON, Roma, 1994, pag. 36
²AA.VV., Mattonelle delle antiche case di Salina, a cura di Elvira Valentina Resta, publisicula srl Mario Grispo Editore, Palermo, 2009, pag. 12