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Navigarono tutto il giorno con il sole che muoveva come marionette le loro ombre sulla chiglia, a poppa e a prua e scandiva il tempo di quella  estenuante traversata. Navigavano con il cuore pieno di speranza e con il corpo carico di stanchezza. Al tramonto l’orizzonte marcò forte la sua presenza e segnò con determinazione il confine tra il mare e il cielo. Il guscio di legno su cui si erano imbarcati sembrava stesse per essere inghiottito dal silenzio dei colori che parlavano di fate e spiriti maligni.

-Tieni questa coperta. Adesso comincia a fare freddo-

La voce di suo padre, uscita dal silenzio, gli arrivò nitida per poi dileguarsi tra le fitte maglie di quell’intreccio magico di colori e aria tutto intorno.

Si avvolse nella coperta e fissò il suo sguardo lontano fino a che le palpebre si chiusero, la testa si accoccolò su una spalla e il corpo si piegò per trovare rifugio e riposo sulla chiglia del guscio di legno. Dormiva. O almeno credeva che stesse dormendo, perché si vide seduto sull’orizzonte con le gambe penzoloni verso uno spazio occupato da un bagliore di fuoco che, sembrava, avesse sciolto ogni cosa per levigare e addolcire gli angoli spigolosi del giorno passato e consegnare rinnovata bellezza.

Detto così, la lasciò dove stava e tornò ai suoi mantici:

li rivolse al fuoco e comandò loro di agire.

I mantici, venti in tutto, soffiavano sopra i crogioli,

mandando ogni tipo di refolo, che attizzasse il fuoco,

che allorché s’affrettava spirasse, altra volta smettesse,

come Efesto voleva, concluso il lavoro.¹

Sentì di provare un’ incredibile vertigine e, alzando lo sguardo, vide che le stelle si facevano sempre più prossime e la luna gli porgeva il candido lenzuolo dei sogni. Sollevò una mano e toccò le pareti infinite del cielo. Poi, cominciarono a piovere immagini, emozioni, storie, sorrisi e pianti e si vide muovere dentro ogni goccia mentre ancora restava seduto.

O imaginativa, che ne rube

tal volta sì di fuor, ch’uom non s’accorge

perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se il senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa

per sé o per voler che giù lo scorge.²

Poi piovve dentro a l’alta fantasia³ e fissò lo sguardo dentro una goccia, o forse era una stella, e sentì risa di bambini e giochi tra le onde, schizzi di acqua e un odore di dolci ripieni di mandorle appena raccolte. E poi c’era sua madre che volava lontana e suo padre che stanco aspettava un sorriso e costruiva per sé delle ali per poterla raggiungere.

-Svegliati! Siamo arrivati. Dormiremo qui stanotte. Domani ripartiamo.-

Da una goccia di pioggia della sua fantasia si staccò la voce del padre. Lasciò  allora l’orizzonte e tornò sul suo gozzo.

 

 

 

¹Omero, Iliade, Libro XVIII, 468-473

²Dante, Divina Commedia, Purgatorio XVII, 13-18

³Ibid, 25