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C’era una volta un bambino bellissimo, ma anche tanto triste. Il suo papà lo aveva portato a lavorare presso un mugnaio che aveva il mulino così distante dalla loro casa che doveva alzarsi molto presto al mattino per raggiungerlo.

-Alzati!-gli comandava il padre-E’ ora di andare a lavoro. E questa sera ricordati di portare il sacco con la farina che ti darà il mugnaio.-

Il piccolo Otto obbediva. Attraversava campi e boschi, stradine e viottoli, sotto la pioggia o il sole cocente. Così ogni giorno, giorno dopo giorno. Andava al mattino e tornava la sera. Un po’ come il suo nome che andava e veniva, da destra verso sinistra e da sinistra verso destra, sempre allo stesso modo. La sua mamma aveva voluto chiamarlo Mariotto e poi Otto.

-Che bello il mio Mariotto! Che dolce il mio Otto!- E si riempiva la bocca con quel nome, così come si riempiva il cuore quando lo abbracciava. Era volata in cielo troppo presto lasciandogli quel nome ridondante e pieno d’amore.

 Una volta la stanchezza lo sorprese e cadde in un sonno profondo, rannicchiato ai piedi di un albero. Si addormentò profondamente. Nel sonno, vide lui stesso aprire gli occhi e stupirsi: un grande uccello gli accarezzava la guancia con il becco e con un’ala lo avvolgeva come per abbracciarlo. Non aveva mai visto un uccello così bello: delle piume di un forte colore azzurro gli coprivano il capo sul quale spiccavano delle piumette ritte colore dell’oro; il petto era di un giallo ocra che si intensificava fino ad assumere un caldo colore marrone; le sue ali verde smeraldo erano grandi e lucenti e la sua coda si apriva a ventaglio con tutte le sfumature del verde, del giallo, del marrone, dell’azzurro mescolato a tanti riflessi d’argento.

-Ciao piccolo! Sei molto stanco, vero?-

-Chi sei?- domandò il bambino

-Sali sulla mia schiena. Ti porto in alto, lassù, nel cielo a vedere quei boschi e quelle campagne che sempre attraversi e di cui mai hai notato la bellezza. Capirai cosa io rappresento.-

Otto accettò fiducioso quell’invito e, in groppa al suo uccello fantastico, si sentì pronto a iniziare il volo, mentre il suo viso si illuminava di gioia per quell’esperienza unica e eccezionale.

-Vedi laggiù quelle macchie colorate sulla montagna? Sono i laghetti dell’orgoglio- gli spiegava l’uccello.

-Quello giallo ocra è il laghetto dell’orgoglio di saper bene usare l’intelligenza; quello marrone è il laghetto dell’orgoglio di saper bene usare la forza fisica; quello azzurro è il laghetto dell’orgoglio di saper bene usare la parola, il linguaggio. Guarda quanto è bello quello argentato, splendente come una pietra preziosa al sole. E’ il laghetto dell’orgoglio di sapere ascoltare il proprio cuore. In ogni laghetto vivono dei folletti molto laboriosi che preparano delle bottigliette di prezioso orgoglio. Tutto il verde che vedi attorno è la vita che scorre, che tutto muove. Vuoi scendere in uno di quei laghetti?-

Otto fece cenno di sì con la testa, mentre sentiva il cuore battere forte e un sorriso a labbra strette nascondeva un’emozione e una felicità mai provate prima. Si immersero nel laghetto giallo e subito dei folletti verdi con cappello e mantellina gialla lo accolsero festosi, invitandolo a visitare il loro laboratorio. Otto rimase stupito nel vedere tante di quelle ampolline, bottigliette e vetrini e altro ancora che servivano perché il liquido fosse confezionato puro e efficace. Intanto il bimbo notava che il suo corpo si copriva a tratti di giallo e più avanzava nel laghetto, più sentiva  crescere dentro di sé una forza nuova. Visitò tutti i laghetti e in ognuno trovò simpatici folletti verdi con cappelli e mantelline di colori diversi a seconda del posto in cui vivevano e lavoravano, e ogni volta tracce di colore gli dipingevano il corpo. Doveva ancora immergersi nel laghetto argentato, ma rimase fermo a guardarlo incantato: era davvero il più bello e sentiva una certa soggezione al pensiero di toccare quello specchio di acqua lucente. Il suo compagno di viaggio lo incoraggiò e insieme si immersero nel lago argentato. I folletti si inchinarono alla vista dell’uccello che maestoso avanzava con Otto sul dorso. I due raggiunsero un laboratorio dove tutto brillava e un alito vitale si spandeva fino a raggiungere il cuore del bambino che si sentì all’improvviso leggero e felice come chi finalmente aveva trovato la cosa più preziosa che avesse al mondo: la voce del suo cuore.

Fu allora che il grande uccello cominciò a parlare:

-Le mie piume sono cariche di liquido che i folletti preparano e poi versano sul mio corpo per mantenere forte il significato della mia esistenza: sono il principe Orgoglio, guai se i miei colori sbiadissero! Tutti gli uomini perderebbero la forza di andare avanti, perderebbero la fiducia in sé stessi. Purtroppo l’uomo a volte è stolto e usa impropriamente tale forza, arrogandosi il diritto di superare il limite di Umiltà. Allora diventa cattivo e rischia di rimanere da solo: non c’è niente di più triste di un uomo solo. Impara Otto a usare l’orgoglio di essere uomo con umiltà e la vita ti regalerà tante gioie che sentirai ogni volta che avrai costruito qualcosa con impegno, mettendo in campo tutte le tue risorse.-

Il bimbo si svegliò all’improvviso, si alzò in piedi e cercò invano il suo amico. Capì che aveva incontrato quella creatura in sogno e che era arrivato il momento di tornare sui suoi passi.

 Il grande uccello tornò spesso nei sogni di Otto e la sua vita, umile, fu sempre costellata dalla soddisfazioni di avere raccolto i frutti del suo orgoglio.