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amareilmare

~ la musica del mare: onda dopo onda, nota dopo nota. Un adagio e poi, con impeto, esplode la passione.

amareilmare

Archivi Mensili: luglio 2016

Do, re…

29 venerdì Lug 2016

Posted by paolina campo in libri, pensieri, Salina

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dipinti di Virgilio Lo Schiavo, infanzia, ricordi, Salina

Mi svegliai prestissimo, molto presto, quando ancora la luce del giorno non riusciva ad attraversare il buio della notte. Sentii provenire da fuori un gran trambusto che all’inizio avvertii come rumore, presa da quel torpore che ti imprigiona tra il sonno e la veglia in un equilibrio strano per cui sembri vacillare, senti le vertigini di una caduta libera verso il vuoto, verso qualcosa che non conosci e poi ti svegli e dici  -ecco sono pronta-.  Riconobbi poi un concerto di uccelli, pensai fossero migliaia, che la sera prima avevano trovato rifugio tra i rami degli alberelli del giardino attiguo alla casa. Ognuno, con timbro e tonalità diversa, intonava un canto accompagnato da una sorta di basso continuo diretto dai cani della zona e da alcuni galli che, a distanza, si scambiavano messaggi. Era festa lì fuori, arrivava la luce e gli animali dell’orto pretendevano un nuovo giorno per colmarne le ore. Sentii i primi rintocchi dell’orologio della chiesa di san Lorenzo mentre la luce cominciava a disegnare, sull’azzurro del cielo e sul verde della montagna dei Porri, le linee oblique del campanile. C’era fuori un concerto, una festa, mentre nella stanza si imponeva ancora la notte.

Sei rintocchi in do, un rintocco in re: era passato appena un quarto d’ora da quando avevo iniziato il mio lungo viaggio sulle note dell’orologio della chiesa. Mi assalì la certezza che lungo quella strada avrei trovato l’antidoto alla malattia della casa-nave. L’accanimento a voler rimanere sospesa tra le storie che da lì, da quel letto, si dipanavano fino alla chiesa di san Lorenzo, avrebbe sicuramente sortito una magica ricostruzione così, per incanto o per amore, per rispetto o testardaggine, quella casa sarebbe rifiorita.

Sei rintocchi in do, un rintocco in re. Tutto quello che allora ricordavo si incastrò tra quelle due note e si intrecciò con storie a me fino ad allora sconosciute eppure così intrise del mio passato. In quella chiesa avevo seguito il catechismo e avevo fatto la comunione e la cresima.

Do-re. Cominciai a percepire qualcosa di più. Là fuori quelle note fagocitavano le piccole nubi per rendere libero il cielo, affinché il vento intonasse altre note che lente seguivano il Mediterraneo mentre scivolava verso l’Oceano, verso onde maestose dove una musica selvaggia, primitiva si univa alle povere note. Un bastone sonante, ripulito all’interno da piccoli insetti, accoglieva il canto di una voce che narrava perché il mondo, cantato, potesse continuare a vivere. Dall’Oceano una  nuova melodia sarebbe tornata in quel mare accompagnata dal vento, in tempo per donare la propria arte, per offrire la propria opera.

11024911_10206391520337742_1064957834_oDa bambina ero solita trascorrere parte dei miei pomeriggi nelle sale della sacrestia della chiesa e la mia frequenza era assidua, dato che i miei amici si raccoglievano attorno alle iniziative delle catechiste divenendo ognuno stimolo per l’altro in una catena di bambini che pregavano, cantavano e giocavano ignari della storia di due affreschi che impreziosivano la chiesa e raccontavano del diacono romano, martire nel 258 a.C. e di cui conoscevamo il nome, ne seguivamo i festeggiamenti il dieci di agosto e  guardavamo rispettosi la statua che lo raffigurava con accanto una graticola. Era morto bruciato vivo: che orrore! Il dipinto della volta che sovrastava l’altare rassicurava il nostro animo di bambini, mostrandoci san Lorenzo nella gloria dei cieli.

Non ricordo di avere mai fatto attenzione a un altro dipinto che invece raccontava di quel martirio e che esigeva un’attenzione particolare, dato che era necessario alzare lo sguardo verso il tetto della chiesa. L’immediatezza della volta e la statua posta sempre a destra dell’altare, soddisfacevano la mia curiosità sulla storia del santo protettore del paese in cui vivevo. Sarebbe arrivato il tempo in cui le domande si sarebbero moltiplicate e dietro  ogni cosa avrei voluto cercare un senso, un significato e, volgendo lo sguardo verso l’alto, avrei notato anche il dipinto dedicato al martirio di san Lorenzo. E quando mi assalì la sconvolgente percezione di trovarmi nel lungometraggio della vita, scoprii in quel dipinto la forza del dolore, il coraggio di vivere senza scorciatoie. Vidi in quell’affresco i colori intensi della vita tragica, commovente, complicata. Sensata. Una figura mi inquietava in quel quadro. Era senza colore, senza movimento. Era senza espressione, lontana dall’azione, dal dramma che si stava consumando, dall’evento che avrebbe portato poi alla gloria del cielo descritta nella volta absidale. Era dietro tutto il dolore, dietro tutta la ferocia, dietro la magnanimità di un uomo che offriva se stesso per un ideale, per un atto d’amore. Era dietro a tutto questo: era l’indifferenza.

 (A fine giornata)

Foto di Antonio Brundu

Pensieri di una donna, scritti da un uomo

22 venerdì Lug 2016

Posted by paolina campo in libri

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donna, vita

 

Com’è che non hai pianto, com’è che non piangi? Non puoi, forse sei muto? Meglio sarebbe, saresti  in salvo, si dà troppa importanza alle parole, succede che costringono all’esilio, alle prigioni o peggio. Portano peso eppure sono fiato. Guarda come va su quello della nostra asina e quello del bue che ci ospita è più forte e sale più veloce. Pure il nostro, lo vedi? Soffio e va su.

E le parole no, una volta uscite mettono fuori il peso. Quelle di un annuncio ti hanno portato a me, quelle di un profeta danno ordini al futuro.

……….

Dormi? Sì, dormi, non ascoltare tua madre infuriata contro se stessa, afferrata alla gola da un terrore. Dormi, respira sazio, cresci, ma poco, lentamente, vivi, ma di nascosto. Aspetta il tuo primo sorriso per coprirlo, che non abbagli il mondo e ti denunci. Dormi, domani vedrai la prima luce della tua vita e avrai di fianco la tua prima ombra. Dentro di me non ne facevi. Dormi, sogna che sei ancora lì, che la tua vita ha ancora il mio indirizzo. In sogno ci potrai tornare sempre.

Erri De Luca, IN NOME DELLA MADRE

Senza titolo

20 mercoledì Lug 2016

Posted by paolina campo in pensieri

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bimbi, futuro, guerra, tristezza

Non portate più fiori,

per poi farli marcire

e dimenticare.

Non accendete più ceri,

se poi la fiamma si spegne

nella solitudine dell’indifferenza.

Ci dicevano:

“Non dovete avere paura!”

e siamo morti ammazzati.

“Siamo più forti!”

e la speranza e la fiducia in quella forza

si è persa insieme al nostro sangue versato sulle strade.

Sono un bimbo che non c’è più.

Ero un bimbo.

Ero la forza di valori e ideali che sono stati uccisi

dalla maschera del benessere, del potere, del denaro.

Ho sentito qualcuno gridare:

“Siamo in guerra!”

Quale guerra?

Quella subdola e vigliacca che colpisce alle spalle,

ordita da chi dovrebbe proteggerci e

invece ha venduto senza scrupolo le nostre vite?

Sono un bambino,

un bambino che non c’è più.

Ero il futuro.

Vespe, api e…malvasia

20 mercoledì Lug 2016

Posted by paolina campo in Salina

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api, Eolie, lavoro dei contadini, Malfa, Salina, vendemmia, vespe

Se ami la terra, questa ti da soddisfazione

Così mi disse una volta un contadino mentre con orgoglio mi mostrava un campo di rigogliose piante di ortaggi, viti e alberi da frutto. Amare la terra significa innanzitutto rispettare l’avvicendarsi delle stagioni che scandiscono le feste comandate e  il lavoro  nei campi: c’è un tempo per zappare, uno per concimare e uno per seminare. A Malfa, piccolo comune dell’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, con forti e ricche tradizioni contadine, dopo Natale si potano le viti e si ammausa.  Ammausare  nel gergo eoliano significa legare i tralci buoni delle viti che, dopo la potatura, sono stati lasciati appositamente nella pianta perché questa si rigeneri. L’arte di ammausare, che volendo azzardare un’etimologia della parola potrebbe proprio significare usare le mani, è affidata alle donne. Un tempo uomini e donne andavano insieme nella vigna tra gennaio e febbraio: gli uomini avanti a potare e dietro le donne per ammausare. Con l’arrivo della primavera, i tralci si moltiplicano sostenendo i primi racimoli d’uva vestiti di grossi pampini.  Il sole d’agosto completa il periodo di colorazione dell’uva che ora si mostra nera, bianca o dorata e il contadino ha un’altro appuntamento: trascorso il tempo di festa per il santo patrono di Malfa, San Lorenzo, il 10 di agosto, si torna alla vigna per spogliare i grappoli ormai consistenti e mostrarli finalmente a quel sole che li farà completamente maturare. Arriva quindi il tempo della vendemmia, dal latino vindemia, parola formata da vinus, vino e demia, forma del verbo demere, levare via, prendere. Prendendo il vino, si segna il passaggio dall’estate all’autunno e si fa festa per dire arrivederci al caldo sole estivo. L’uva, sistemata nei cuofani, grandi ceste di canne intrecciate, viene portata nei palmenti per essere pigiata e trasformata in mosto. Tutta l’uva, tranne quella dorata, l’uva malvasia, arrivata a Salina nel XVI secolo insieme al culto di Santa Marina.

cuofanu

Questa, una volta raccolta, viene stesa con cura sui cannizzi, letti di canne intrecciate che permettono agli acini un’ottima aerazione durante l’esposizione al sole.

malvasia

Arriveranno le vespe e poi le api. Dopo, l’uva stesa al sole è pronta.

Altra nota di saggezza contadina, appresa mentre passavo da una delle case storiche di Malfa e rimasi incantata dalle rose che circondavano il giardino. I romani piantavano rose in fondo alla vigna per attirare gli insetti perché avevano capito che erano proprio loro a migliorare il vino. Vespe e api sono molto simili tra loro ma hanno delle caratteristiche fondamentali che le distinguono. La differenza che qui interessa a proposito dell’uva è che le vespe sono onnivore, e quindi dotate di forti mandibole, mentre le api succhiano sostanze dolci. Uno studio condotto presso l’istituto di microbiologia dell’Università di Firenze¹, ha dimostrato che i lieviti di fermentazione del vino non sono presenti nelle cantine, ma vengono trasportati da vespe e calabroni nei loro intestini e depositati sugli acini. Le vespe bucano l’acino e rilasciano lieviti di fermentazione. Intanto le api iniziano i loro voli di perlustrazione e quando le loro cugine hanno finito il lavoro di bucare tutti gli acini, tornano all’alveare e segnalano alle compagne il luogo dove trovare abbondante cibo. Un giro a destra e poi a sinistra; testa in giù, testa in su; movimento svelto dell’addome e poi ancora un giro, e le api ballerine indicano la sorgente del cibo, considerata la distanza dall’alveare e la posizione del sole . Il grande filosofo greco, Aristotele, aveva scoperto la danza delle api ma non ne aveva capito il motivo. La danza delle api è un ingegnoso scambio di segnali che lo scienziato Karl von Frisch studiò a fondo, tanto che le sue ricerche gli valsero il premio Nobel nel 1973 proprio per gli studi condotti sul comportamento dei pesci e delle api. Ma torniamo sui nostri cannizzi dove arrivano sciami di api che trovano l’acino rotto e succhiano la soluzione zuccherina permettendo all’acino di rinsecchire invece di marcire. La Natura sa quello che fa. Il contadino può quindi ritirare i cannizzi e quell’uva dorata è pronta per diventare il nettare tanto apprezzato, la Malvasia,  che sa di sole, di mare e di terra vulcanica.²

Dopo la vendemmia, si torna tra i filari e si svecchia, si libera la vite dai tralci vecchi per ricominciare un’altro ciclo dell’uva, di vespe e di api. Ma solo dopo Natale.

L’antica casa eoliana circondata da rose stupende è la casa di Antonio Alizzi che con orgoglio continua a fare tesoro dei consigli del padre che, come tanti altri sull’isola, aveva un rapporto speciale con la terra.

¹http://www.corriere.it/16_gennaio_22/vespe-calabroni-senza-loro-impossibile-fare-vino

²Le foto sono di Antonio Brundu, responsabile culturale della Biblioteca Comunale di Malfa, sempre disponibile e attento sostenitore della diffusione della cultura eoliana.

Il gabbiano triste

12 martedì Lug 2016

Posted by paolina campo in pensieri

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cielo, colori, mare, nuvole, pensiero

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Gli facevano compagnia il sole, il vento e la brezza del mare. Da quando quel giorno non volò più, pensò che voleva essere qualcos’altro. Voleva diventare un’onda. Aveva attraversato il cielo e incontrato le nuvole e dall’alto aveva osservato le onde del mare che alternavano movimenti e suoni mai uguali e sempre vivi ed intensi. Raccontavano, le onde, di sirene incantatrici, valorosi soldati; di intrepidi navigatori e terribili pirati; di uomini, donne, bambini in cerca di un posto sicuro.  Raccontavano la favola del mare che si allungava sulla riva per consegnare al mondo le sue storie e donare ogni volta un abbraccio, un pensiero. Come se il mare avesse in sé la magia di portare a riva un monito, una speranza e trascinare via le cose cattive del mondo. Il gabbiano aveva smesso di volare quel giorno e attendeva paziente e fiducioso di ascoltare l’anima del mare. Certo, non era più tanto giovane, ma la sua mente era ancora vivace e i suoi ricordi erano sempre lì a fargli compagnia. Ma cominciava a sentire una strana tristezza. Era come se si fosse allontanato, non da qualcosa o da qualcuno. No. Era come se si fosse allontanato da sé stesso  e non riusciva più a trovarsi.

-Ecco, forse sono quell’onda. Forse, come onda sarò più felice.-

Un’onda più grande delle altre gli si avvicinò e con voce leggera gli soffiò nella mente qualcosa. Se fosse diventato un’onda, non avrebbe più volato; se lui era un gabbiano, se aveva il manto bianco come quelle onde che tanto amava e gli occhi azzurri come il cielo ed il mare, era perché faceva parte di quell’abbraccio immenso che è la vita. Non era necessario diventare qualcos’altro per trovarsi, bastava porre attenzione al suo tempo, al suo essere un insieme di tante avventure.

-Ehi! Sai che la forma di quel masso dove poggi le zampine ricorda uno dei problemi classici dell’antichità che doveva servire a salvare gli ateniesi dalla peste¹?-

Il mare sapeva tante cose! Il gabbiano, incuriosito, si mise di nuovo alla ricerca, questa volta non di sé stesso, ma di qualcosa che lo avrebbe fatto sentire orgoglioso di quello che era.

¹Duplicazione del cubo o problema di Delo. Nel 429 a. C. la peste decimò la popolazione ateniese. Fu mandata allora una delegazione all’oracolo di Delo per interrogarlo su come potere scongiurare l’epidemia. L’oracolo rispose che era necessario raddoppiare l’altare cubico di Apollo.

Presentazione 8 luglio 2015-Biblioteca Comunale di Santa Marina

09 sabato Lug 2016

Posted by paolina campo in Senza categoria

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amareilmare

8 luglio 2015 0018 luglio 2015 0158 luglio 2015 023

8 luglio 2015. Sono le 17:30. Devo correre a Santa Marina, in biblioteca. Alberto Mazzone, collaboratore volontario del Comune, mi aspetta. Lo trovo sul corso a distribuire ancora volantini per invitare la gente ad ascoltare Paolina Campo. Mi fotografa davanti alla locandina che ha preparato all’ingresso della biblioteca. Penso:-non ha trascurato nulla, è proprio appassionato a quello che fa.-

Corro in sala e mi preparo: metto i cavetti al computer e al proiettore e spero di avere fatto un buon lavoro. Comincia a entrare la gente. Mi intrattengo piacevolmente con le prime persone che hanno accolto l’invito, mentre Alberto ancora è sul corso.

-E’ alla sua prima esperienza?-

-Vive sull’isola?-

-Da quanto tempo scrive?-

Faccio anche io qualche domanda.

-Siete qui in vacanza?-

-Conoscete già Alberto?-

Ma eccolo che arriva. Si comincia.  Presentazione libri Paolina Campo

Il grande protagonista dei miei libri è il mare e le storie che racconto hanno il…

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I miei libri

era
vi racconto
l'uomo di
A fine giornata
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Mare e Montagna

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