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moloMi alzo al mattino…, anzi no! Mi corico la sera programmando quello che ho da fare il mattino seguente: prendere la compressa, guardare oltre i vetri delle finestre l’Etna da una parte e il mare dalla parte opposta e, senza farmi troppo attraversare dai colori che il sole diffonde da est a ovest, prendere il caffè, mettere in moto la lavatrice, uscire per la spesa, andare alla posta e poi dal dentista, tornare a casa, cucinare. Arriva quindi il mattino, bisogna cominciare: mentre la lavatrice lava, riordino la camera da letto dopo avere provveduto a mettere gli auricolari per ascoltare la lettura dei giornali alla radio. Non posso fermarmi. Le mie mani hanno tanto da fare, le mie gambe mi portano in giro per la casa. Seguo in sequenza tutte le azioni che ho programmato la sera prima in una sorta di scaletta per cui ad ogni azione ne segue un’altra perché tutto sia in ordine e nulla venga trascurato. Mi trovo così a ragionare secondo uno schema di numerazione discreta, come direbbe un professore di filosofia appassionato di numeri, o secondo quell’arihtmòs aristotelico per cui il tempo, il mio tempo in casa, risulta essere davvero il movimento secondo il prima e il dopo.

“O Dio, potrei restar confinato pur in un guscio di noce, e credermi il re di uno spazio infinito!” (William Shakespeare, Amleto, FABBRI EDITORI, 2002, pag.115)

Certo, Amleto aveva le sue buone ragioni per desiderare di restare chiuso in un guscio di noce e avere l’illusione di essere il re dell’infinito!

Illusione. Faccio questo, faccio quello. E poi vado qua, e poi ancora vado là come una macchina, perché la mia mente è altrove. E’ lì, appesa all’ultima pagina che ho letto, protesa verso quella che vorrei scrivere, aperta al ricordo del mare, del sole. Ecco, mio caro Cartesio, sembro completamente sdoppiata, sembro la prova vivente, molto casalinga, della tua res extensa e di una res cogitans molto confusa. Devo fare presto: ho fretta, ho fretta assai, direbbe il coniglietto di Alice nel paese delle meraviglie. Ho un appuntamento all’alba e al tramonto con il sole e poi devo mettere in ordine nella mia mente le emozioni che ho provato e pensare a come mi piacerebbe descriverle. Ehi, ti raccomando mente, non dimenticare! Non dimenticare quell’attimo in cui oltre i vetri delle finestre di casa ho visto il sole dipingere il cielo, mentre il vento modellava le nuvole che libere e vivaci sembravano unirsi in un un girotondo, abbracciando i pendii della Montagna o sollevandosi in alto a formare dei vortici di soffice aria colorata. E intanto sul blu del mattino ogni cosa cominciava a tracciare ancora una volta i suoi contorni. Non dimenticare il mare e tutte le volte che ne ho avvertito la freschezza attraverso il suo odore, ne seguivo la danza, ne assaporavo il gusto salmastro e leggevo tra le onde la rabbia, la dolcezza, la superba tenacia. Così, caro Renè Descartes, se anche i miei sogni e i miei sensi dovessero ingannarmi, è certo che accendono

“uno di quei fuochi senza luce…che il fieno accende se lo ripone prima che sia secco e che fanno ribollire il vino novello, se lo si lascia fermentare insieme alla vinaccia.” (Cartesio, Discorso sul metodo, BARBERAEDITORE, 2011, pag.67)